Politica & Istituzioni

I primi 100 giorni di Sala guardano alle periferie

Ripristino dell’edilizia popolare. È questa la priorità per i prossimi cinque anni della nuova giunta di Milano. Una manutenzione straordinaria sulla quale sono stati messi 130 milioni di euro. «Il tema dell’abitare è centrale per cambiare la nostra città»

di Redazione

Al termine della prima giunta comunale tenuta a fine giugno al Giambellino, uno dei quartieri simbolo della periferia milanese, quello del bar Gino a cui Giorgio Gaber ha dedicato la sua celebre Ballata del Cerruti, il sindaco Beppe Sala aveva annunciato: «La scelta di tenere la prima giunta in periferia è tutto meno che una sceneggiata, vedrete a breve quello che faremo per le periferie».

Nel frattempo la delega è andata all’assessore ai Lavori pubblici e alla Casa, al docente del Politecnico ed ex presidente del consiglio di zona 6, Gabriele Rabaiotti («cinque anni passano in fretta: per partire a mille, avevo bisogno di uno che conoscesse le persone e le procedure», spiega il sindaco) ed è stato previsto uno stanziamento di 130 milioni di euro. Quella delle periferie, per l’amministrazione Sala, è davvero una partita decisiva, rilanciata con Matteo Renzi che ha siglato con il neo sindaco il “PAtto per MIlano”: un documento con investimenti per 2,5 miliardi di euro su scelte strategiche per il futuro.


Lei ha detto: «Vedrete cosa faremo sulle periferie». Dunque, cosa farete?
Il primo passaggio fondamentale è quello di lavorare sul ripristino dell’edilizia popolare. Il Comune possiede 30mila appartamenti (altri 40mila sono della Regione, ndr). Si trovano quasi tutti in periferia. Abbiamo già approvato in giunta un programma di ripristino degli oltre 2mila alloggi che oggi non possono essere affittati perché non sono a posto. Per tutti i 30mila appartamenti poi porteremo a breve in approvazione un programma di manutenzione straordinaria che coinvolgerà facciate, impianti, ascensori per circa 100 milioni di euro. Stiamo parlando quindi di un pacchetto che in totale vale 130 milioni. Si tratta di un impegno che in tutti questi anni nessuna amministrazione ha avuto il coraggio di prendere, malgrado la grande enfasi che si è messa sul tema. Questi sono soldi veri. Senza investimenti c’è poco da fare. Poi a fianco dell’edilizia popolare occorre mettere in cantiere interventi di edilizia convenzionata e di housing sociale in modo da creare un mix equilibrato dal punto di vista dell’estrazione sociale della popolazione e del valore delle case.

Bastano gli interventi sull’edilizia per cambiare la faccia a una periferia?
È chiaro che non si può immaginare di lavorare solo in un’ottica abitativa. Ci sono almeno altri due temi forti: la sicurezza e la socialità. Su questi piani un ruolo importante lo potranno giocare i nuovi municipi che hanno sostituito le vecchie zone. Nel nuovo assetto i municipi hanno competenze più larghe. A partire dalla giunta del Giambellino di giugno ogni mese ci riuniamo nella sede di un municipio diverso. È l’occasione per fare il punto sui bisogni delle singole periferie che possono essere diverse: mancanza di centri di aggregazione, il tram che non arriva nel quartiere, mancanza di servizi e così via… Dobbiamo fare in modo che l’azione dell’amministrazione sia realmente efficace e a 360 gradi.

Ai municipi sarà concessa autonomia di spesa?
Non è questa la strada. L’autonomia sarebbe un errore. Il nuovo codice degli appalti, che fra l’altro meritoriamente cancella il principio della gara al massimo ribasso, prevede che per partecipare a una gara tu debba essere un ente autorizzato a farlo. In Italia le gare pubbliche sono storicamente un catalizzatore di ricorsi e vicende giudiziarie che a vario titolo rallentano le opere. Se noi concedessimo autonomia di spesa al singolo municipio, ci ritroveremmo nove gare, laddove ne basterebbe una. Diverso è indicare, municipio per municipio, quali sono le risorse dedicate e lavorare coi singoli municipi per individuare le priorità. In questa cornice spetterà proprio a loro la verifica dello stato dell’arte e la supervisione su tempi e qualità dei risultati, quella che tecnicamente si definisce funzione di indirizzo e controllo.

Milano è una città che ha buone capacità di attrarre investimenti privati anche stranieri. Il Comune può immaginare di convogliarne una quota nelle periferie?
La risposta è: certamente sì. Ma non può essere un intervento diretto, di “costrizione”. Quello che possiamo fare è creare le condizioni affinché i privati siano incentivati a investire in quelle aree. E questo avviene se le periferie diventano quartieri che rendono evidente il motivo per cui gli abitanti sono contenti di viverci. E qui torniamo ai punti di partenza: edilizia, trasporti, sicurezza… Le faccio un esempio. Noi non siamo contrari a che si costruisca, il punto fermo però è che a Milano non si può rinunciare a un metro quadro di verde rispetto all’esistente. La chiave di volta è la cosiddetta rigenerazione: ovvero se tu demolisci e poi ricostruisci non paghi oneri di urbanizzazione. È verosimile che per un privato in tante aree dismesse potrà essere conveniente pensare a interventi di questo tipo. Il nostro è un ruolo di facilitatori di interesse privati, ai quali però non possiamo certo sostituirci.

Lei parlava di sicurezza nelle periferie. Su questo piano è decisivo l’assetto che vorrete dare alle strategie di accoglienza dei migranti. Qual è la sua proposta?
Io penso che occorra indirizzare questa povera gente in un luogo identificabile e vigilato, cosicché non si disperdano in modo incontrollato in strutture per lo più precarie. Questo luogo potrebbe essere la caserma Montello.

A metà settembre Matteo Renzi è venuto per concordare il Patto per Milano. Cosa é previsto in quel documento per le periferie?
Nel documento c'é l'impegno di allungare le nostre linee metropolitane, penso per esempio ai collegamenti con Monza .Se allunghiamo la rete, i pendolari non parcheggeranno più nei punti di interscambio vicini ai capolinea che inevitabilmente si trovano in periferia. A giugno poi il Governo ha lanciato un bando sulla riqualificazione urbana al quale noi partecipiamo con un progetto sul quartiere Adriano. Questa è un’altra direttrice del lavoro con l’esecutivo. Infine c’è la sicurezza. Dopo i recenti attentati, ma anche in considerazione del turnover dei migranti e del boom del turismo degli ultimi mesi, credo risulti evidente che non ci siano vigili e militari in numero sufficiente. Al governo chiederemo di avere transitoriamente più militari e, in una prospettiva di medio termine, di poter assumere più vigili. Il Patto è un documento che vale 2,5 miliardi di euro di cui sono già disponibili 600 milioni.


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