Politica & Istituzioni

L’amministratore di sostegno non è in linea con la Convenzione Onu

L'Onu chi ha raccomandato di superare interdizione e inabilitazione, ma anche l'amministrazione di sostegno. Ad alcuni l'invito è sembrato frutto di una mancata comprensione del nostro istituto da parte dei tecnici. Donata Vivanti invece ci spiega perché anche l'amministrazione di sostegno si basa su una logica pre-convenzione: «mette al centro il miglior interesse, non la volontà della persona con disabilità»

di Sara De Carli

«Non c’è stato nessun fraintendimento da parte degli esperti dell’Onu della figura dell’amministratore di sostegno. Anzi, la segnalazione delle criticità che questa figura ancora presenta l’abbiamo fatta noi nel rapporto alternativo. Lì ho chiesto di emendare la legge 6/2004, non di abolire questo istituto, ma la Commissione è stata drastica. D’altronde l’articolo 12 è il nucleo della Convenzione Onu, c’è una grandissima attenzione a livello internazionale ed europeo sul tema, portata avanti soprattutto dalle persone con disabilità psicosociali, che in Europa si autorappresentano, non sono rappresentati dalle famiglie… Ci sono davvero grossi abusi in nome del loro “migliore interesse”. È un passaggio fondamentale, noi siamo un po’ indietro rispetto alla comprensione stessa del cambiamento di prospettiva». A parlare così è Donata Vivanti, vice-presidente dell’Italian Forum on Disability (FID), della FISH, dell’European Disability Forum (EDF) e fra gli autori dello shadow report sull’attuazione della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.

Proprio sull’attuazione della Convenzione a fine agosto l’Italia è stata chiamata fare il punto dinanzi al Committee on the Rights of Persons with Disabilities (CRPD) e aveva destato qualche sorpresa leggere fra le raccomandazioni della commissione l’invito a superare non solo gli strumenti dell’interdizione e inabilitazione ma anche quello dell’amministrazione di sostegno (il presidente di CoorDown, Sergio Silvestre, ce ne aveva parlato qui).

In realtà le associazioni l’hanno scritto nero su bianco nel rapporto inviato a Ginevra, nel capitolo sulle violazioni all’articolo 12 della Convenzione: «both the legal institutions of interdiction/incapacitation, that are still in force, and the current legal institution of Support Administration are based on a concept of protection in the best interest of the person, in contrast with art. 12, which disposes for the recognition of full legal capacity of all persons with disabilities without exceptions, as well as for the provision of support to decision making in the respect of the person’s will», chiedendo poi il superamento di interdizione e inabilitazione e alcune modifiche alla legge sull’amministratore di sostegno, volte in particolare al passare dal concetto di sostituirsi alla persone nella decisione, nel suo milgiore interesse, al concetto di supportare la persona nelle decisioni, nel rispetto della sua volontà, comunque espressa (pp. 42-43 dello shadow report).

Lei ha scritto il report, ci spiega perché l’amministrazione di sostegno è un istituto che viola la Convenzione Onu, come l’interdizione e l’inabilitazione?
La Convenzione all’articolo 12 non parla di sostenere la persona con disabilità nel suo migliore interesse bensì nella sua volontà, comunque venga espressa. Il centro è il rispetto della volontà della persona. La legge sull’amministratore di sostegno invece si fonda ancora sul concetto di protezione del migliore interesse e utilizza concetti negativi come “incapacità”, identificando l’incapacità mentale e l’incapacità legale. Le faccio un esempio: la famiglia decide di inserire il figlio in un programma di ricerca, per il suo bene. Ma lui fa capire chiaramente che non vuole. In questa situazione non è stata rispettata la sua volontà ma solo il suo interesse. Questa non è l’ottica della Convenzione Onu, che parla invece di dare supporto alla persona con disabilità nel prendere decisioni, nel rispetto della sua volontà. Nessuna legge in Italia ad oggi assicura e regolamenta l’accesso a questi supporti al prendere decisioni, in linea con l’articolo 12.

Cosa significa esattamente sostenere la persona nel prendere le decisioni? Chi può farlo?
È ovvio che questo sostegno alla presa di decisione va normato. Non si tratta però di normare un sostegno da parte di un amministratore di sostegno, ma normare un altro tipo di supporto, un sostegno a prendere decisioni, nel rispetto delle volontà. Chi può farlo? Chi può comprendere le volontà, comunque siano espresse, della persona con disabilità? Quelli che le sono vicine, che la conoscono e la capiscono: quindi genitori, parenti, amici, volontari, anche un gruppo di persone allargato. L’amministratore di sostegno è una figura comunque legata al sistema giudiziario, non alla vita e ai bisogni della persona. Ha fatto un percorso giuridico, come si spoglia di queste competenze per mettersi nei panni della persona, come comunica con lei?

Come si fa però a evitare abusi?
Esistono le salvaguardie. La Convenzione Onu chiede che siano stabilite delle salvaguardie, cioè un giudice tutelare o delle figure competenti che prendano in carico il fatto di sorvegliare che il sostegno o la rete di sostegni alla presa di decisioni, che deve essere ufficialmente riconosciuto, faccia la volontà della persona. Le salvaguardie non seguono la persona in tutto ciò che fa, ma verifica precisamente questo rispettare la sua volontà. Ci sono diversi Paesi che stanno lavorando in questo senso, il Belgio ad esempio partiva più indietro di noi, aveva una interdizione molto pesante, ma ha fatto una legge interessante, che prevede un sistema articolato che descrive chi, per quanto tempo e come sostiene la persona.

E se la persona è incapace di esprimersi?
La Convenzione non ammette l’incapacità, tant’è che la persona non è più interdetta, però prevede che il sostegno alle decisioni e le salvaguardie siano proporzionali, quindi il sostegno alla presa di decisione può sovrapporsi al sostegno amministrativo, ma certamente non agisce nell’interesse della persona ma in base alla volontà della persona. È una differenza sostanziale. Tra l’altro la comunità internazionale rivendica anche che la persona con disabilità possa avere la dignità dell’errore. Noi tutti impariamo dall’errore, perché loro no?

Foto Ernesto Ruscio/Getty Imagese for Autism Speaks


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