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Lotta alla povertà, siamo al bivio

«ll reddito di inclusione pensato dal Governo si rivolge esclusivamente ad alcuni poveri e ne lascia scoperta la maggior parte. Il nostro Paese continua così ad essere privo di una misura universalistica contro la povertà assoluta», spiega Cristiano Gori. Il documento dell'Alleanza contro la povertà

di Sara De Carli

La lotta alla povertà in Italia è al suo momento decisivo. La legge delega ha infatti iniziato il suo iter al Senato per la seconda lettura, mentre il Parlamento si appresta a discutere e definire la legge di bilancio per il 2017. Certamente nelle prossime settimane l’Italia vedrà la nascita della prima misura nazionale di contrasto alla povertà assoluta, il REI (Reddito d’Inclusione), ma per quanto questo sia un passo importantissimo – l’Italia è ad oggi il solo paese in Europa, insieme alla Grecia, a non avere una misura nazionale universalistica contro la povertà assoluta – non è ancora il traguardo.

Il REI dovrebbe debuttare nel 2017, con una dotazione stabile di 1 miliardo di euro l’anno già stanziati con la legge di stabilità 2016 (a cui peraltro dovrebbero aggiungersi altri 500 milioni, secondo quanto annunciato nei giorni scorsi dal ministro Poletti). Perché non è ancora abbastanza? Lo spiega bene un dettagliato documento tecnico dell’Alleanza contro la Povertà (che trovare in allegato), che torna a chiedere al Governo e al Parlamento il coraggio di un intervento che non resti a metà.

Per arrivare a tutti i 4,6 milioni di persone che in Italia vivono in povertà assoluta sono necessari circa 7 miliardi di euro. Con il miliardo o miliardo e mezzo stanziato per il 2017 non si arriverà cioè a tutti i poveri assoluti, ma soltanto a un 35% circa di essi, dando priorità alle famiglie povere con figli. Per attivare a tutti gli indigenti sono necessari più soldi, in un progressivo ampliamento della platea dei beneficiari: le scelte sul target dei beneficiari sono strettamente legate a quelle sui finanziamenti. È qui che interviene Piano nazionale contro la povertà, cui la legge delega rimanda: «la definizione del REI, attraverso la delega, e l’elaborazione del Piano nazionale, costituiscono parti complementari del complessivo progetto che sta prendendo corpo per la lotta all’esclusione sociale in Italia», scrive Cristiano Gori, portavoce dell'Alleanza contro la povertà. In sintesi, un vero progetto contro la povertà in Italia è fatto da REI + Piano Nazionale, il REI da solo non basta.

Il Piano nazionale contro la povertà si ferma ad oggi a immaginare quanto accadrà nel 2017, con 1 forse 1,5 miliardi stanziati e il 35% dei poveri assoluti raggiunti. Le decisioni (o le non decisioni) in merito al Piano nazionale sono quindi la vera cartina tornasole della strategia del Governo per il contrasto all’esclusione sociale in Italia nei prossimi anni. «Il Governo Renzi ha avuto l’indubbio merito di “scardinare” lo storico disinteresse della politica italiana nei confronti della povertà, ora si tratta di capire se quell’importante scelta rimarrà isolata o se, invece, verrà seguita dal passo che ancora manca: decidere la progressiva estensione del REI a tutti gli indigenti, accompagnata da un investimento pluriennale sulla dimensione realizzativa che sostenga gli attori del welfare locale nella definizione di un adeguato sistema di risposte. Il momento delle scelte politiche è adesso», continua Gori.

L’Italia cioè è a un bivio, deve decidere se vuole fare una «riforma interrotta» o una «riforma completa». Nel primo scenario «l’Esecutivo non fornisce indicazioni ulteriori rispetto a quelle rese note sinora. L’esito è l’ennesima riforma italiana abbandonata in corso d’opera: il REI si rivolge esclusivamente ad alcuni poveri e ne lascia scoperta la maggior parte. Il nostro Paese continua così ad essere privo di una misura universalistica contro la povertà assoluta», spiega Gori. L’alternativa consiste nel definire un Piano pluriennale, «che incrementi progressivamente le risorse e quindi l’utenza, arrivando nel 2020 a stanziare i 7 miliardi necessari per rivolgersi al totale della popolazione povera». Dire “Piano” significa cioè prendere «subito» precisi impegni riguardanti sia il punto di arrivo del percorso – «il REI come diritto per chiunque sia in povertà assoluta a partire dal 2020» – quanto le tappe intermedie, «dichiarare all’inizio i passi successivi nell’ampliamento dell’utenza, per evitare tensioni sociali».

Non si tratta quindi di chiedere stanziamenti aggiuntivi per il 2017: per la prima annualità secondo Gori sono sufficienti i 2 miliardi complessivi previsti (1 stanziato + mezzo annunciato + le risorse della social card che qui confluirebbero) e «mettere in campo maggiori risorse già all’inizio significherebbe chiedere ai servizi locali di raggiungere una quota troppo estesa di poveri. Un obiettivo apparentemente auspicabile ma che comporterebbe in realtà di operare una trasformazione di ampia portata in un periodo eccessivamente limitato: ne deriverebbero inevitabilmente confusione e difficoltà operative, con contraccolpi negativi sugli utenti e sulla credibilità della riforma».

L’idea di un piano pluriennale, già avanzata da tempo dall’Alleanza, ha quindi dalla sua sia il vantaggio della sostenibilità economica ma soprattutto quello della sostenibilità attuativa. Perché la domanda su cui confrontarsi nelle prossime settimane non è “quanti soldi in più ci saranno nel 2017?” ma “quale progetto vogliamo costruire per un nuovo welfare rivolto ai poveri?”.


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