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Minori stranieri non accompagnati: il “sistema Italia” per loro non si muove

Ci sono in Italia più di 2mila famiglie che hanno offerto la propria disponibilità a ospitare un minore straniero non accompagnato in casa propria. Ma, a tutt’oggi, solo per 17 di loro è stato realizzato un affido. L'allarme di Marco Griffini, presidente di AiBi

di Redazione

In un anno è cambiato poco. «Abbiamo 1.800 famiglie disposte ad accogliere un minore straniero non accompagnato, ma nessuno le considera», scrivevamo su Vita un anno fa. Solo una decina all'epoca avevano concluso l'iter, perché i Comuni preferivano inviare i ragazzini in comunità. Oggi sono 17 i minori che hanno trovato una famiglia. A lanciare l'allarme è Marco Griffini, presidente di AiBi-Amici dei Bambini, intervenuto ieri nel corso della convegno “Dalla Siria all’Italia: bambini migranti in fuga dalla guerra. Le nuove sfide della cooperazione in Siria e l’appello di AiBi per una accoglienza family to family in Italia”, che si è svolto ieri alla Camera dei Deputati: «Ci sono in Italia più di 2mila famiglie che hanno offerto la propria disponibilità a ospitare un minore straniero non accompagnato in casa propria. Ma, a tutt’oggi, solo per 17 di loro è stato realizzato un affido».

Migliaia di morti nel Mediterraneo, di cui 600 bambini solo in questi primi mesi del 2016, l’impegno delle organizzazioni del Terzo Settore, l’appello di papa Francesco a garantire un’accoglienza a misura di bambini ai tanti minori che sbarcano da soli sulle nostre coste… tutto questo non è bastato. I minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia continuano a ricevere la risposta dell’accoglienza in centri spesso non adatti a loro. Il sistema dell’affido family to family, che AiBi aveva lanciato subito dopo il naufragio del 3 ottobre 2013, non decolla. Nonostante le disponibilità di tantissime famiglie, risorse preziose di accoglienza.

Perché? «È evidente che in questa emergenza, diversamente dalle altre emergenze, come quelle della Bosnia, del Kosovo, dell’Albania, dello Sri Lanka negli 90 e 2000», accusa Griffini, «non è scattata la catena della solidarietà istituzionale, quella stupenda collaborazione tra governo, istituzioni e organizzazioni non profit che era sempre stato il fiore all’occhiello della società italiana di fronte a qualsiasi emergenza». Nonostante quindi i 13mila minori all’anno che stanno sbarcando sulle coste italiane da soli (ma nei primi 9 mesi del 2016 si è già superata quota 15mila), «ancora non esiste una cabina di regia unica per la gestione dell’accoglienza dei migranti e ancora non si affronta nello specifico il grosso problema dei minori stranieri non accompagnati».

Per rispondere all’emergenza, AiBi ha realizzato strutture per un’accoglienza giusta dei migranti in Italia ed è intervenuta in Siria con azioni di supporto alimentare e sicurezza psico-sociale dei minori, «ma tutto questo non è potuto avvenire all’interno della cornice di un ‘sistema Italia’», ha sottolineato Griffini. L’occasione per recuperare potrebbe essere un «“Africa Act”, una nuova grande iniziativa in cui far confluire le varie istanze e le forze del non profit impegnate nel continente africano».

Silvia Stilli, portavoce dell’AOI, Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale, ha ribadito come «in un’Europa caratterizzata da muri e fili spinati, la violenza della guerra nelle immagini e nelle storie non sembra suscitare reazioni umanitarie e solidali. Resta al singolo, al gruppo, alla comunità l’indignazione e la volontà di reagire. Bene l’iniziativa di AiBi, come testimonianza e come proposta. Come AOI stiamo lavorando col Ministero degli affari Esteri e Cooperazione Internazionale, all’interno del Consiglio Nazionale della Cooperazione allo sviluppo, affinché possa esserci una cooperazione che tenga conto della coerenza delle politiche e dunque di un allineamento sempre più operativo tra politica estera, politica interna del nostro Paese e politiche europee».

Photo Getty Images