Cooperazione & Relazioni internazionali

Gli imprenditori immigrati, un’opportunità per l’economia italiana

A testimoniarlo l'ultimo rapporto sull’economia dell’immigrazione dal titolo “L’impatto fiscale dell’immigrazione”, elaborato dalla Fondazione Leone Moressa. «Le opportunità per l’Italia sono molteplici. Si pensi all’occupazione creata dalle imprese condotte da immigrati e ai conseguenti benefici per l’indotto», sottolinea Cesare Fumagalli Segretario Generale Confartigianato Imprese. L'intervista

di Monica Straniero

La migrazione continua a portare benefici all’Italia. Lo conferma l’ultimo rapporto sull’economia dell’immigrazione dal titolo “L’impatto fiscale dell’immigrazione”, elaborato dalla Fondazione Leone Moressa. Dall’indagine risulta che ogni anno gli immigrati versano alle casse pubbliche quasi 11 miliardi di contributi previdenziali, che equivalgono a 640mila pensioni italiane, ai quali vanno aggiunti 7 miliardi di Irpef. Di contro, i 5 milioni di stranieri che vivono in Italia costano allo stato circa 15 miliari di euro, che corrispondono all’1,75% della spesa pubblica. In termini di valore aggiunto, l’anno scorso la ricchezza prodotta dagli stranieri è stata dunque pari a 127 miliardi di lire, l’8,8 per cento del totale. Significativo anche lo sviluppo dell’imprenditoria straniera: nel 2015 si contano 656 mila imprenditori immigrati e 550 mila imprese a conduzione straniera. Negli ultimi anni, dal 2011 al 2015, mentre le imprese condotte da italiani sono diminuite del 2,6%, quelle condotte da immigrati sono invece aumentate del 21,3%. Una realtà che, a livello nazionale, rappresenta l’8,7% dell’imprenditoria totale, e supera il 10% in molte regione del centro -nord. I marocchini costituiscono l’11% del totale degli imprenditori stranieri presenti in Italia. La seconda nazionalità immigrata è quella cinese, pari al 10% dei titolari di impresa. Seguono quella rumena, pari al 9,5% del totale e quella albanese che costituisce il 6,1%. Mentre i principali settori per presenza di imprenditori immigrati sono il commercio (35%), le costruzioni (21%) e i servizi alle imprese (14%).

«I dati testimoniano la crescente importanza dell’imprenditoria immigrata nel sistema produttivo autoctono», sottolinea Cesare Fumagalli Segretario Generale Confartigianato Imprese. «Le opportunità per l’Italia sono molteplici. Si pensi all’occupazione creata dalle imprese condotte da immigrati e ai conseguenti benefici per l’indotto, alla nascita di nuovi servizi rivolti tanto ai connazionali quanto agli autoctoni, alla possibilità di costruire sinergie con i paesi d’origine e di attrarre nuovi investimenti».


In quale contesto si sta sviluppando l’imprenditoria immigrata?
Molta imprenditoria immigrata, al pari di quella autoctona, deriva da condizioni costrittive, nel senso che in assenza di altre possibilità, si decide di intraprendere un’attività in proprio. In molti casi i nuovi imprenditori avviano un’azienda in settori in cui sono stati dipendenti o si uniscono in società a parenti e amici. Se si analizza la realtà degli imprenditori immigrati attivi nel cosiddetto Made in Italy, si osserva che esistono molti casi, oltre a quello celebre dell’imprenditoria cinese di Prato, in cui la componente imprenditoriale immigrata interagisce positivamente con quella autoctona contribuendo al mantenimento del settore. Tuttavia resiste la tendenza dell’imprenditoria immigrata a inserirsi in settori dismessi del tessuto produttivo locale, ormai svuotati dalla crisi.

Come possono essere aiutate le imprese immigrate ad uscire da quella condizione che lei definisce di “atavica subalternità” rispetto all’imprenditoria locale?
La sfida è passare a forme più evolute di organizzazione aziendale. Ad esempio le reti parentali che rappresentano il capitale fiduciario di partenza possono diventare da un certo punto in poi un ostacolo allo sviluppo dell’imprenditoria immigrata. È necessario quindi intervenire nella direzione di un più inteso sfruttamento dell’investimento imprenditoriale fatto dagli immigrati. La strategia prevede, tra le altre cose, un maggiore coinvolgimento nei processi di sviluppo dei sistemi produttivi locali, l’integrazione con i sistemi scolastici e universitari locali e l’accesso a forme di finanziamento che non siano legate a condizioni di eccezionalità. Le banche hanno infatti ideato prodotti ad hoc per gli immigrati imprenditori che invece dovrebbero accedere al credito riservato alle imprese nascenti. L’imprenditoria immigrata non deve essere percepita come una situazione marginale, ma come fatto specifico e non secondario.

Nonostante l’insieme delle impese immigrate contribuiscano alla creazione del 6,5 % del valore aggiunto nazionale, l’Italia stenta ad avviare processi di reale integrazione di questa ingente risorsa…
Temo di sì. Peraltro le immigrazioni non si esauriranno nel breve periodo, sarebbe bene quindi prepararsi ad affrontare cambiamenti importanti. Purtroppo in Italia, prevale ancora l’approccio emergenziale che caratterizza soprattutto l’informazione italiana. L’immigrazione è anche un fenomeno economico che non sempre restituisce saldi positivi ma che impone di costruire un nuovo patto sociale fatto di diritti e doveri tra cittadini immigrati e società di accoglienza.


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