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Art Spiegelman: «Le nostre immagini siano ponti, non muri»

Dietro ogni immagine c'è un mondo. Ma dentro ogni immagine c'è un ponte. Ce lo racconta il premio Pulitzer Art Spiegelman

di Marco Dotti

Tra le ricorrenze di oggi, 15 febbraio, il compleanno di Art Spiegelman. Nato nel 1948 a Stoccolma da genitori ebrei scampati a Auschwitz, Spiegelman ha lavorato per il New Yorker, Village Voice, New York Times. Ma la sua fama è legata, soprattutto, al capolavoro Maus.
Riproponiamo oggi un’intervista di Marco Dotti apparsa su
Vita nel 2008.

Che cosa succede allo sguardo o in un'epoca sempre più «post-narrativa», quando le parole da sole non bastano a rendere l'immagine del mondo? Quando le immagini del mondo sovrastano il mondo stesso?Autore del celebre Maus, titolo che segna una svolta nell'arte del fumetto, primo “non giornalista” a vincere il prestigioso Premio Pulitzer, codirettore della rivista “Raw”, Art Spiegelman è nato a Stoccolma nel 1948. Suoi disegni e fumetti sono apparsi su numerosi quotidiani e riviste, dal "New York Times" al "Village Voice" fino al "New Yorker", in Italia, oltre che per Maus, è celebre per L'ombra delleTorri (Einaudi, 2004) e Be a Nose! (Einaudi 2010).

In un articolo titolato Drawing Blood, pubblicato nel 2006 su "Harper's Magazine", Spiegelman si era espresso con chiarezza e competenza sulla questione dell'arte irriverente e dei limiti della critica partendo dallo spinoso caso delle 12 vignette ritenute irriverenti nei confronti del Profeta e pubblicate sul quotidiano danese Jyllands-Posten. Oggi, anche questo suo lavoro è tornato – se mai era passato, ça va sans dire – di drammatica attualità.

La grafic novel – chiamiamola così, per ora – resiste. Forse è la sola che riesce a rendere (non solo a “reggere”) l'impatto con la complessità e le diversità, sempre più articolate, nel nostro mondo. Proprio in queste ore, mentre le immagini di morte ci inseguono da uno schermo all'altro nel loro flusso ininterrotto, ci rendiamo conto che la nostra fame di immagini ha bisogno di ben altre immagini e di ben altro racconto…
Le confesso che ho iniziato a disegnare da piccolo, proprio per questa ragione: trovare un rifugio contro la diversità, cercare uno spazio altro, un'altra dimensione, contro la reductio ad unum e tutto ciò che non ci sta dentro, è svilito, marginalizzato. Devi trovarti degli spazi, lavorarci dentro, senza che costituiscano delle gabbie. Questa dimensione altra, ma senza fuga, la devo anche a un problema fisico. Ho un difetto della vista che mi impedisce di cogliere la tridimensionalità e, questo, mi ha sottratto ai giochi agonistici tipo baseball o football. Ho cercato un altro campo di gioco, e l'ho trovato sulla carta, nelle bibilioteche e nella letteratura. L'ho trovato nel fumetto, perché graphic novel, in fondo, è una definizione data dal marketing. La distinzione tra graphic novel e fumetto non è netta, anche se forse la graphic novel è semplicemente una striscia che ha delle ambizioni.

La tecnologia oggi sembra occupare ogni spazio, però, non lasciandone molto alla fantasia…
È molto difficile, ma non sono contrario alla tecnologia. Non ho allergie, in questo senso. Fumo tabacco e sigarette elettroniche, senza distinzioni e senza problemi. Mi interessano i ponti, però, non le esclusioni. I cosiddetti “fumetti” sono proprio questo: un ponte. Sanno coniugare il linguaggio dell'immagine e il linguaggio del testo e permettono al lettore di arrampicarsi fin dentro l'anima e la testa dell'altro. Puoi capire la situazione, puoi osservare una persona mentre parla e agisce in quella situazione e, al tempo stesso, metterti nella sua posizione, vedere il mondo con i suoi occhi. Questo trovo sia straordinario.

. I cosiddetti “fumetti” sono proprio questo: un ponte. Sanno coniugare il linguaggio dell'immagine e il linguaggio del testo e permettono al lettore di arrampicarsi fin dentro l'anima e la testa dell'altro. Puoi capire la situazione, puoi osservare una persona mentre parla e agisce in quella situazione e, al tempo stesso, metterti nella sua posizione, vedere il mondo con i suoi occhi.

Art Spiegelman

Siamo saturati da immagini eppure abbiamo sempre più bisogno di immagini e segni…
Per quanto mi riguarda, io mi esprimo con disegni e parole anche a casa mia. Sul mio frigorifero, ad esempio, c'è un fumetto che mi ricorda che devo portar fuori la spazzatura. Se fosse solo scritto, senza disegni, forse quel foglio non lo guarderei nemmeno. Per tornare alla domanda, va poi detto che non solo la tecnologia “chiude” spazi, ma anche una certa proiezione del mondo adulto su quello dei bambini lo fa. I bambini disegnano naturalmente, lo fanno senza troppi problemi. È dopo e solo dopo che qualcuno dice loro che “non si fa” e smettono di disegnare. Forse il fumetto ci riporta al prima, per questo lo amiamo.

In Maus il mondo era crudele, ma ancora relativamente divisibile tra gatti e topi. Oggi è ancora così? Siamo tornati al tempo delle divisioni radicali?
Sì, ci sono ancora i gatti da una parte e i topi dall'altra. Quanto meno dal punto di vista economico. Il 99% della popolazione è composto da topi, l'1% da gatti. Ogni paese, in particolare, ha i suoi topi e i suoi gatti. Anche l'antisemitismo sta tornando, e continua a crescere. Succede in particolare in periodi critici, come questi, di difficoltà economica. Di fronte a quanti stermini di massa, in questi anni, abbiamo detto “mai più!” e poi continua a succedere?. Ecco un punto su cui fermarci tutti e riflettere.

In copertina: Art Spiegelman (fotografia di B. Langlois/Afp/Getty Images)


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