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Cooperazione & Relazioni internazionali

L’Italia che dobbiamo salvare

Lo scrittore Luca Doninelli ci accompagna sui luoghi del terremoto, luoghi che dicono la nostra anima e il nostro posto nel mondo. Un'anima da non smarrire

di Luca Doninelli

Nell'agosto del 2015, essendo tutti un po' a corto di soldi, Riccardo, Nicoletta, Cicci, mia moglie e io decidemmo di conoscere meglio l'Italia, visto che i viaggi programmati all'estero (Lisbona, Bordeaux, Sarajevo) erano diventati troppo cari.

E se partissimo alla scoperta della dorsale appenninica?, propose Ric. Ci spiegò come Roma, con la sua secolare tirannia, avesse gettato nell'ombra le Marche, l'Abruzzo. Già Gadda lo diceva, e a riprova ci lesse alcuni passi de Le meraviglie d'Italia. Da anni sentivamo dire che Ascoli Piceno è una delle città più belle d'Italia, ma occupati come eravamo a visitare Barcellona o Edimburgo o Marrakesh non ci era mai venuto in mente di andarci.

Trovammo un modesto agriturismo sulle pendici dei Sibillini, dalle parti di Amandola, e per una settimana esplorammo questa terra aspra e bellissima, macinando centinaia di chilometri fra saliscendi e tornanti alla scoperta di luoghi che mai avevamo immaginato, e che tuttavia formano il cuore, il nucleo di quello che tutti gli abitanti del mondo visualizzano davanti a sé quando sentono la parola "Italia".

Solo perché conosciamo (sommariamente) Roma, Firenze, Venezia, Napoli, Palermo, Verona, Siena – forse per questo noi conosciamo l'Italia? L'Italia è un mistero senza fine. Noi visitammo Ascoli, Fermo, facemmo il bagno a Sirolo, ma poi esplorammo quella parte, tra Lazio Umbria e Marche, sulla quale si è accanito il terremoto più cattivo e insaziabile che si possa immaginare.

Visitammo Norcia, la Cattedrale, poi cercammo qualcuno che potesse mostrarci una pieve con due commoventi, rudimentali rosoni, ma l'uomo che aveva le chiavi quel giorno non poteva perché era a pranzo da sua sorella, a trenta chilometri. Partimmo allora per Sant'Eutizio, sede di uno dei più antichi e importanti monasteri della cristianità. Conservo ancora con orgoglio nel mio cellulare le immagini di questo paradiso – di bellezza e di conoscenza – con le nostre donne belle e sorridenti davanti all'ingresso della piccola chiesa del monastero.

Oggi quella chiesa è in parte crollata, così come non esistono più la chiesetta che cercammo inutilmente di visitare e nemmeno la Cattedrale di Norcia.

Adesso la ragione di quel viaggio si è fatta più chiara. Avremmo potuto visitare altri luoghi, altrettanto belli. Viterbo, Lecce, Siracusa, per dire i primo nomi che mi vengono in mente. Gubbio. Ma anche Bergamo – visitate Bergamo, è meravigliosa. Pensate se un giorno tutte queste meraviglie non ci fossero più. Che ne sarebbe di quella cosa che chiamiamo Italia?

Bene. Adesso sono qui per dirvi che l'Italia sta già cominciando a non esistere più, perché le cose che ammirai in quei giorni nemmeno tanto lontani non esistono più. Restano solo fisse nella mia memoria, a comporre la parola "Italia" non meno di come la compongono il Duomo di Milano, la Cupola del Brunelleschi e la Cappella Sistina.

E mi domando: cosa le rese possibili? Come mai in una terra così dura, spesso teatro di guerre e di invasioni, mai tranquilla, mai troppo a lungo in pace, tanto che già Dante la chiamava "di dolore ostello" e Petrarca invocava "Pace, pace!", al modo in cui si invoca la cosa più desiderabile e più rara – come mai, dicevo, proprio questa terra è stata capace di produrre tanta bellezza? Come mai in Italia più che nel resto del mondo natura e cultura hanno saputo produrre un unico incomparabile concerto? Perché Foscolo ha potuto dire che "le convalli, popolate di case e d'uliveti (cioè del duro lavoro degli uomini)/ mille di fiori al ciel mandano incensi"?

La ragione più semplice, più limpida si trova dipinta nella celeberrima Allegoria del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti, a Siena, e tradotta in parole suona così: a dispetto di tutti i mali e di tutti i dolori, a dispetto di tutti gli orrori delle nostre biografie e di quelli prodotti dalla Storia, l'Italia è stata popolata per secoli da uomini persuasi che la vita, così com'è, valesse la pena di essere vissuta, e dovesse essere perciò più bella possibile, più umana possibile.

Vivere una vita umana qui, dove siamo e così come siamo. Nessun miracolo è più grande di questo, nemmeno se mio padre tornasse tra i vivi. L'Italia è questa cosa: un progetto unico, irripetibile, fondato sull'idea che stare al mondo è una cosa bella e buona.

Per favore, facciamo di tutto per salvarla, per salvare questo progetto che noi, italiani di oggi, non siamo più in grado di ripetere. Diamoci una mano. Forse la tragedia del terremoto ci può aiutare quantomeno a capire.


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