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Papa Francesco accoglie i detenuti a San Pietro

Domenica 6 novembre, in Piazza San Pietro a Roma, Papa Francesco incontrerà oltre mille detenuti. Tra loro anche una delegazione del carcere di Padova. «Il valore del gesto è altissimo, è il più impopolare di tutti quelli vissuti nell'Anno Giubilare. Il Papa chiamerà a sé i detenuti e dirà al mondo intero: “Vedete che, se li amate, non fan più paura?», dice a Vita.it Marco Pozza, cappellano al Due Palazzi

di Anna Spena

Arriveranno da tutta Italia e da altri 11 nazioni: mille detenuti accolti in Piazza San Pietro a Roma per il Giubileo dei carcerati voluto da Papa Francesco – uomo coraggioso – che si terrà domani, sei novembre. Il Giubileo arriva verso la fine dell’anno Santo della Misericordia che Francesco ha fatto partire lo scorso 8 dicembre. Il 20 novembre l’anno si concluderà ma le cose fatte no. Vita.it intervista Marco Pozza, cappellano al Due Palazzi, penitenziario di Padova, che andrà a Roma con una delegazione di 27 carcerati.

La sua esperienza come cappellano nel carcere di Padova?
La mia storia è semplice: è quella di un ragazzo che pensava d'essere perfetto, consapevole che gli sbagli esistono ma certo che a sbagliare fossero sempre gli altri: “Chiudeteli dentro e gettate la chiave”, ero uno di questi. Poi un giorno sono entrato in un carcere e ho fatto una scoperta assurda: che ciò che conoscevo di loro era la letteratura, ma loro non li avevo mai incontrati. Quel giorno ho provato un'intellettuale vergogna: sono andato dal vescovo e, forte del mio dottorato in Teologia, ho chiesto di spendere degli anni del mio sacerdozio con loro, a riparare le offese perpetrate. È iniziata così la più bella delle avventure che mai avrei immaginato: camminare verso la Terra Promessa esattamente con coloro che avevo sempre disprezzato. Non voglio che nessuno cerchi scuse al male commesso. Non voglio nemmeno che qualcuno, però, ne approfitti della loro condizione per farsi bello di fronte al mondo. Quando sono entrato in carcere, un vescovo dei poveri mi ha fatto dono di una frase struggente di don Primo Mazzolari. Me la sono scritta nel cuore: “C'è qualcuno che, per guadagnarsi il titolo di benefattore, per farsi pagare il servizio di recupero, lo butta a terra il povero e lo fa a pezzi, l'uomo”. Il mio sogno è servire i poveri, non servirmi dei poveri. La mia fortuna è che quando inizio a servirmi di loro, me lo rinfacciano. E io gli dico loro grazie: scopro che, in loro compagnia, divento più uomo anch'io. Non lo faccio per loro quel poco di bene che mi riesce: lo faccio perché, facendolo, sto meglio io. Se, poi, riesco a far star bene qualcun altro, il merito è di Dio: con strumenti precari, è ancora capace di firmare dei capolavori mozzafiato.

Che cos'è per lei il giubileo dei carcerati?
L'occasione per rivivere la struggente storia della vita di Francesco d'Assisi, quella che racconta dell'incontro col lupo di Gubbio. La prima parte della storia è nota: Francesco ammansisce il lupo. La seconda parte è un po' meno nota, forse perché è anche la più imbarazzante. Ammansito il lupo, torna a Gubbio e assicura alla gente che il lupo non farà più paura. Quando il lupo morirà, i cittadini si scopriranno con le lacrime agli occhi: si erano affezionati al lupo, non faceva più paura. Papa Francesco domenica – anche se la storia è iniziata col suo primo gesto da pontefice, il lavare i piedi ai detenuti di Casal del Marmo – farà lo stesso: chiamerà a sé i detenuti, che sono i lupi della società, e dirà al mondo intero: “Vedete che, se li amate, non fan più paura?”. Ai lupi, però, non farà sconti: la sua misericordia non è Grazia a basso costo, il male arrecato non sarà mai una scusante.

Che valore ha questa decisone del papa di dedicare un giubileo solo ai carcerati?
Il valore del gesto è altissimo, il gesto è il più impopolare di tutti quelli vissuti nell'Anno Giubilare: siccome nessuno obbliga a seguire Cristo, allora chi lo segue badi bene di non travisare o tentare di alleggerire il suo Vangelo. Se Cristo, parlando di sé in terza persona, si è nascosto più d'una volta nelle vesti del carcerato d'andare a trovare, allora significa che nella povertà del carcerato – che è la povertà più difficile da decifrare, da tradurre – è nascosto Cristo. Chi vuol credere, creda. Tutto il resto è annuncio di salvezza: l'uomo può sbagliare, l'uomo può risorgere. Qualsiasi uomo. Ecco perché – prendendo a prestito il titolo di un toccante docufilm prodotto da TV2000 – è necessario “Mai dire mai”. Lo dica il detenuto: mai-dire-mai ad una possibile risurrezione. Lo ripeta a se stesso ogni cittadino: mai-dire-mai quando uno pensa che “tanto il carcere è un qualcosa che non mi tocca”. Viviamo tutti molto più vicini al carcere di quello che pensiamo. Il Giubileo dei Carcerati, dunque, come occasione per prendere consapevolezza del nostro limite di creature.

Lei sarà a Roma con dei detenuti?
Ci saremo anche noi di Padova, con 27 fratelli-carcerati: saremo pellegrini in mezzo a centinaia di altri detenuti provenienti da altre nazioni. In cammino con volontari, catechisti, uomini, donne di buona volontà, condivideremo fatiche e apprensioni della vita di galera. Ci metteremo in ascolto delle parole del Papa e cercheremo di aiutare questa gente a credere che, se lo vorranno, assieme a Dio potranno un giorno diventare quegli uomini che, forse, non sono stati nel loro passato. Se non accetteranno, rispetteremo la libertà d'ogni creatura.

Ogni porta di cella è porta santa per decisione del papa. Com’è stata vissuta dai detenuti questa cosa?
Tutto l'Anno Della Misericordia è stato vissuto con questo spirito: non c'è stato nulla di eccezionale per noi, eccetto la consapevolezza che nella nostra miseria quotidiana è nascosta una possibile risurrezione. Invece è stato nelle migliaia di persone, che la domenica sono entrate ad incontrare la parrocchia del carcere, che abbiamo scorto una sorta di annunciazione: l'accorgersi che nel luogo dove il peccato abbonda, la Grazia sovrabbonda. Il vescovo Claudio ha voluto che la nostra chiesa del carcere diventasse una delle cinque chiese giubilari della Diocesi di Padova: più che un privilegio, una responsabilità. Che il popolo detenuto ha vissuto come un gesto di vicinanza della Chiesa intera.

Il Carcere di Padova è all’avanguardia per esperienze lavorative dei detenuti. L’esempio lampante è quello della Cooperativa Giotto. Questo è un modo per abbattere la recidiva?
C'è un solo modo per tentare d'abbassare la recidiva in carcere: aiutare il detenuto a trovare un senso alla sua detenzione. Ecco, allora, che il lavoro, la scuola, i percorsi di fede diventano strumenti stupendi attraverso i quali l'uomo può tornare a diventare protagonista della sua storia. A voler essere onesti, però, c'è una condizione che sta ancor prima di tutto. Ed è la volontà della persona detenuta di cambiare. Senza quella, il nostro impegno appassionato altro non è che la versione moderna della fatica di Sisifo. Che, comunque, racconta il cuore di chi quotidianamente investe tempo e risorse: alla fine ciò che importa non è vincere, ma portare a casa ogni sera la bellezza di averci riprovato. Nonostante i tanti giorni in cui il vento soffia contrario. Altri giorni, invece, a poppa.


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