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Capire Trump o perderci per sempre

Quasi 1/3 degli elettori americani (41 milioni) ha già votato e, in attesa del verdetto elettorale che arriverà mercoledì, ancora non abbiamo capito chi è, ma soprattuto cosa e chi rappresenta Donald J. Trump. Intervista a Marco Luigi Bassani

di Marco Dotti

Si fa presto a dire Trump. Si fa ancor prima a storcere il naso. Ma poi, i conti non tornano e i guai restano. E sono grossi, grossissimi guai per tutti. Soprattutto se non si mette in gioco quel po' di franchezza, rigore e conoscenza a medio raggio senza la quale anche navigare a vista diventa difficile. La conta dei voti avverrà martedì alle 7 di sera – l'una del mattino in Italia – e i sondaggi, finora, non hanno certo dato una mano. Ma comunque vadano le cose, Donald J. Trump ha già cambiato, forse inesorabilmente, il mondo della politica e la nostra percezione di quel mondo.

Di certo, questo oggetto misterioso catapultato da un altrove che ancora stentiamo a definire, è destinato a interrogarci a lungo. Abbiamo chiesto al professor Marco Luigi Bassani di aiutarci a capire. Nato a Hinsdale, in Illinois, studente a Berkeley, Pavia, Pisa, allievo di Gianfranco Miglio, profondo conoscitore del sistema federale statunitense, della vita e delle opere di Thomas Jefferson – al quale ha dedicato due corpose monografie – e di quei risvolti storia americana che spesso sfuggono alla vulgata, Marco Luigi Bassani oggi insegna Storia delle dottrine politiche all'Università Statale di Milano.

Che cosa non abbiamo capito di quanto sta accadendo negli Stati Uniti?
Da un lato l’errore è stato quello di guardare gli Stati Uniti facendoceli raccontare dai quattro “americanisti” ufficiali che abbiamo in Italia, dai Rampini ai Severgnini. Dall’altro, ed è l’errore fondamentale, c’è il fatto di aver cercato di leggere queste elezioni americane guardando la storia americana. In questo caso, invece, per comprendere quello che sta accadendo negli Stati Uniti bisogna guardare ciò che è accaduto in Europa. Nel 2015 è infatti successo qualcosa, dal punto di vista politico, che ha ribaltato i rapporti tra Europa e Stati Uniti.

A che cosa si riferisce?
Mi riferisco a ciò che è successo con l’immigrazione nell’estate del 2015, unito al fatto che la Merkel abbia aperto completamente le frontiere ha portato a una “europeizzazione” della politica americana, cioè a una paura dell’invasione. L’appoggio – comunque vadano a finire le elezioni – da parte di metà degli Stati Uniti a un personaggio come Donald Trump deriva da questo: dal timore della scomparsa di quell’America come noi la conosciamo.

Fino a ieri, potevamo leggere una disputa elettorale basandoci sul “giusto ruolo” del governo nell’economia, ovvero Stato e quanto mercato dovevano esserci. Oggi?
Oggi siamo davanti a due gruppi statalisti. Sia la coalizione della Clinton sia quella di Donald Trump sono statalisti. Divergono sul fatto che la coalizione della Clinton è per lo statalismo open borders, mentre l’altro è uno statalismo classico di destra: salvataggio del welfare state attraverso la chiusura delle frontiere.

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Chi vota per Trump?
Se votassero solo i bianchi poveri, Trump avrebbe l'85% dei voti. I bianchi poveri, soprattutto maschi, votano per lui. Lo votano per tantissimi motivi: perché odiano la Clinton, perché si sentono maggiormente tutelati, perché, nella globalizzazione, pensano di essere la parte perdente.

Non c'è dubbio, dunque, che Trump sia stato raccontato male…
Soprattutto senza problemattizzare in alcun modo ciò che rappresenta. È stato raccontato esattamente secondo lo schema della Brexit: «sono brutti, sporchi, ignoranti e cattivi e agiscono di conseguenza».

Che cosa c'entra la Brexit?
Il racconto della Brexit si sovrappone completamente al racconto totale su Trump. Oltretutto, in Italia hanno solo copiato quello che raccontavano i giornali americani. Tra l'altro, sui primi 100 giornali americani nessuno ha fatto l'endorsement per Trump. Questo significa che è stato trattato come un appestato e un razzista.

Trump non è razzista?
Non lo so, dico che non c'è una frase di un suo discorso che possa essere qualificata come autenticamente razzista. La questione della chiusura dei confini, tra l'altro, una tematica globale. Nessuno, tranne che in Italia, vuole vivere open borders. Sicuramente è protezionista, il libero mercato gli interessa molto poco – cose che lo differenziano dal conservatorismo classico – ma non ha nulla, proprio nulla di quanto le élites progressiste vanno dicendo.

Ammetterà che è politicamente scorretto?
Ecco, questo è un punto. Comunque vada il politically correct con Trump finisce. C'è stato un periodo, negli Stati Uniti, in cui non si poteva nemmeno dire "fried chicken", pollo fritto, perché era il cibo preferito dai neri e, di conseguenza, finivi all'interno di una categoria sospetta. Questa polizia del pensiero finisce con Trump, che vinca o meno.

Sui media è stato tracciato un profilo psicopatologico esplicito di Trump: megalomane, mitomane, psicopatico… Non è un po’ troppo per affidargli le chiavi della politica estera della principale potenza globale?
Al contrario, se c’è qualcosa che spaventa poco è proprio la sua politica estera. L’interventismo della Clinton potrebbe portarci invece alla catastrofe. Non possiamo dimenticare quanto è successo in questi 8 anni di presidenza Obama-Clinton. Pensiamo che 8 anni fa, la Russia era una potenza regionale, oggi i due ci hanno consegnato un mondo che assomiglia sempre più a quello di una seconda guerra fredda, con la Russia diventata attore globale. Per la pace mondiale, io sarei più tranquillo con Trump che con la Clinton… Lei è la vera guerrafondaia, che andava dalla Bosnia a ogni luogo dove c’erano bombe da lanciare… La Clinton è una emanazione di certi circoli progressisti e guerrafondai del nord est..

La parabola progressista iniziata con Clinton marito giunge forse alla sua fine o, quanto meno, al suo disvelamento?
Molti dicono che ciò che conta è la battaglia culturale. Negli Usa è in corso una battaglia a tutto campo delle élites progressiste per distruggere le radici cristiane diffuse nel Paese. Da qui la storia dei matrimoni gay e via dicendo. Pensiamo che il 65% degli americani va a una funzione religiosa ogni domenica. Per le élites culturali del nord est conta distruggere questo legame. Se dovesse vincere Trump, a mio avviso, sarebbe anche una reazione a questo tentativo di distruggere le radici culturali del Paese. Queste élites sono rappresentate dal nord est, dalla California e da Hollywood: se uno guarda i film di Hollywood pensa che l’America sia un Paese anticristiano.

Non è così?
No. Tra l’altro, pensiamo che mai i numeri delle primarie erano stati così alti. Sono andati tutti a votare in massa e ci sono segnali strani, tipo gli amish che sono andati a registrarsi per la prima volta al voto…Se gli amish vanno davvero a votare per salvare la libertà religiosa, Trump potrebbe vincere anche in Pennsylvania. E gli evangelici si potrebbero muovere anche per Trump che, nonostante tutto sembra loro il meno peggio.

Non lo fecero con Romney, il candidato repubblicano alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti d'America del 2012
Ma lui era mormone.

L’era Obama è tramontata, dunque…
È stata la peggiore presidenza degli Stati Uniti. Ha preso l’America con il nemico fondamentalista e ce la riconsegna con un Califfato. Il debito pubblico è aumentato del 40% in 8 anni. L’unico vantaggio che aveva era di essere nero. Ma anche qui, il disastro. Doveva mettere per sempre alle proprie spalle il conflitto razziale che datava da due secoli. Invece… Oltretutto ha reinventato la Russia, che ha un Pil di poco superiore a quello italiano, ma con la sciagurata politica anti Assad sua e della Clinton. Nei dibattiti del 2012, Mitt Romney affermava che «il nostro peggior nemico è la Russia». Obama allora rideva, ma stava già scavando la fossa al mondo.

Immagine in copertina: Getty Images​


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