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Terzo settore: una buona riforma, ma attenzione alla specificità del volontariato

Mario Di Bella, coordinatore dell'area Consulenze delle Misericordie: «Da elogiare lo snellimento delle procedure relative al riconoscimento giuridico e i criteri di tenuta dei bilanci, ma occorre conto delle peculiarità delle associazioni di volontariato, dove spesso siamo in presenza di molta buona volontà ma bassa patrimonializzazione e dell’assenza ancor oggi, di una codificata ed apposita modalità di attribuzione del “merito di credito”». Che poi invita a superare il principio della strumentalità dell'attività commerciale

di Mario Di Bella

Con la legge 106/2016, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n.141 del 18 giugno 2016, “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale”, prende il via il percorso di scrittura dei decreti delegati che dovranno sciogliere alcuni nodi della riforma sui quali sarà necessario un sereno confronto, il più ampio coinvolgimento e una attenta discussione.

La lettura della delega presenta sicuramente aspetti interessanti e spunti di riflessione importanti, anche se non posso non rilevare una scarsa attenzione riguardo agli aspetti di promozione e sviluppo delle Organizzazioni di volontariato, al quale il legislatore ha voluto dedicare, assieme alle associazioni di promozione sociale e al mutuo soccorso, esclusivamente l’art.5, dalla cui attenta lettura si scorge però che l’interesse e l’attenzione si rivolge prevalentemente ai Centri di servizio. Ci sono certamente molti aspetti positivi, partendo dalla definizione di Terzo settore che fa “indossare”, agli enti che vi apparterranno, un vestito cucito in sartoria per innumerevoli e variegati attori e per svariate forme di espressione del privato sociale. Non manco però di far notare che, le “prove in camerino”, delineate poi negli articoli, a mio modo di vedere hanno però avuto declinazioni rivedibili.

Come non elogiare i tentativi relativi allo snellimento delle procedure relative al riconoscimento giuridico che tanta preoccupazione e responsabilità generano e provocano ai molti volenterosi, ma spesso poco applicati, amministratori specie delle piccole associazioni a base esclusivamente volontaristica, introducendo però una verifica del rapporto tra patrimonio e indebitamento, che sarà bene che tenga conto delle peculiarità delle associazioni di volontariato, dove spesso siamo in presenza di molta buona volontà ma bassa patrimonializzazione e dell’assenza ancor oggi, di una codificata ed apposita modalità di attribuzione del “merito di credito” alle organizzazioni di volontariato, nonostante alcuni tentativi degli operatori.

Così come non applaudire per le previsioni relative alla trasparenza e alla pubblicità dei bilanci e degli atti fondamentali dell’ente, così come per criteri di tenuta della contabilità e dei rendiconti, stando però molto attenti in sede di scrittura dei decreti delegati che tali obblighi dovranno essere ben contemperati con le dimensioni dell’ente e con la sua attività per non divenire inutili complicazioni o balzelli assai improbabili per le piccole realtà.

Allo stesso modo positivo il riscontro relativo all’istituzione di un Registro unico nazionale del Terzo settore, nonché la valorizzazione delle reti associative di secondo livello che molto possono fare, conoscendo in profondità le peculiarità dei propri interlocutori, per sostenere e monitorare le attività degli appartenenti alla rete.

Un ruolo fondamentale sarà giocato dall’applicazione dell’art.9 relativo alle misure fiscali e di sostegno economico. Su questo articolo si dovrà fare definitiva chiarezza in relazione all’annosa questione relativa alle finalità degli enti e alla relazione di tali finalità rispetto alle attività esercitate. In tal senso oggi la maggior parte dei problemi che si possono incontrare imbattendosi in una attività di accertamento nei confronti di una organizzazione di volontariato, riguarda la valutazione dell’attività posta in essere e la sua diretta o indiretta strumentalità alle finalità dell’ente. La riforma prevede che sia la “finalità” e non “l’attività” che qualificherebbe un ente non commerciale come tale. A mio avviso dovrebbe essere comunque mantenuto il concetto di prevalenza dell’attività non commerciale, a prescindere dalla strumentalità al raggiungimento del fine istituzionale e, soprattutto, che questo concetto, da tempo avvertito anche dal nostro sistema economico e già sperimentato in altri paesi, debba valere anche per le organizzazioni di volontariato, oramai da troppo tempo attanagliate dall’anacronistico concetto legato al decreto sulla marginalità delle attività che, già al tempo della sua uscita (D.M. 25.5.95), si presentava già avulso da quanto stava accadendo nel contesto in cui si doveva inserire.

In foto: operatori delle Misericordie di Isola Capo Rizzuto

*​L'autore è dottore commercialista, revisore contabile e Formatore, esperto in Economia e Diritto degli enti del terzo settore è coordinatore dell'area Consulenze della Confederazione Nazionale dell'e Misericorde d'Italia. L'articolo che pubblichiamo è comparso sul numero 3/2016 di GialloCiano, l'houseorgan della confederazione


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