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Bonomi: «La vittoria di Trump? Il frutto di una narrazione lontana dalla realtà»

Per il sociologo «tutto dipende dal punto di osservazione. Analizzare i mutamenti profondi della composizione sociale è il solo modo per capire anche le fenomenologie della politica. Se non ci si occupa degli impauriti e dei rancorosi e nel contempo si rimane autoreferenziali, non si può andare molto lontano»

di Aldo Bonomi

Tutti si chiedono come sia stato possibile, da parte dei professionisti, non accorgersi di quello che stava succedendo. Io credo che dipenda, come sempre, dal punto di osservazione. Perché se il punto di osservazione è tutto politico alcune cose sfuggono e soprattutto sfuggono eventi che sembrano non previsti dall’autonomia del politico. Non dimentichiamoci che quando parliamo di politica è giusto scomodare Max Weber, che diceva «l»a politica come professione. E quindi capisco che per i politologi, per i sondaggisti, che ormai sono da considerare un tutt’uno con le forme della politica e anche con i commentatori e i mezzi di comunicazione, ovviamente la cosa può sembrare una sorpresa.

Ma se uno introduce un altro punto di vista, e il punto di vista è quello di mettere in mezzo tra economia e politica la società, alcune cose sono meno sorprendenti. Detto in un altro modo, io che non sono politologo né sondaggista e nemmeno un operatore dei mezzi di comunicazione, ho sempre sostenuto che analizzare i mutamenti profondi della composizione sociale, e come questa composizione sociale si scompone e si ricompone, aiuta a capire anche le fenomenologie della politica.

Allora se si usa un altro paradigma, adeguato alla dimensione americana e anche dell’epoca che stiamo vivendo, a me pare che questo meccanismo economia-politica aveva fatto un link forte che sta dentro la logica dei flussi. Se uno leggeva la logica dei flussi economici e il loro legame con la politica, che era loro subalterna, non c’è dubbio che dava per scontato che la Clinton avrebbe vinto.

Quando parlo di flussi parlo di finanza, transnazionali e internet company. Solo per citare tre tipologie che sostenevano la Clinton. Però il vero problema è che i flussi impattano dei luoghi e li cambiano socialmente, economicamente, antropologicamente e culturalmente. Ovviamente avrete notato che è riapparso nei commenti di questa notte quello che viene chiamato “l’anello della ruggine”, riferendosi alle zone colpite dalla crisi della manifattura e dei modelli tradizionali che avevano portato ad una composizione sociale in sofferenza. Altrettanto vale guardando la cartina delle previsioni elettorali: le due coste date per scontate alla Clinton, luoghi dove c’è l’altra composizione sociale, quella della finanza, delle libere professioni e della Silicon Valley. Poi c’era questo corpaccione intermedio, tutto rosso, che tutti chiamano America profonda. Il problema è che nella composizione sociale c’era un fetta in sofferenza. Qualcuno, penso a Sanders, l’aveva intercettata con un linguaggio non “virulento” e “populista”. Lui aveva colto questa dimensione e aveva cercato di collegarsi ad essa. Si tratta di fenomeni che in piccolo abbiamo avuto anche noi. Perché quando la nostra composizione sociale è cambiata abbiamo visto avanzare il berlusconismo e il leghismo. Quindi io dico che se uno analizza flussi e luoghi e non dimentica quella composizione sociale in sofferenza, e magari le si rivolge con un racconto adeguato, che parli alla loro rabbia, i risultati sono quasi sicuri. E non possono sorprendere.

È per questo che raccomando sempre di tenere in conto la composizione sociale. Cose elementari come quanti sono i poveri, i disoccupati e i sofferenti.

C’è poi un secondo punto, più di contesto. I flussi avevano bisogno di una dimensione di globalizzazione dispiegata mentre invece attualmente il vero problema geopolitico è che siamo in presenza di un rinserramento rispetto ai processi della globalizzazione. E questo è stato un altro fenomeno dimostrato dalla Brexit in cui c’era una composizione sociale magmatica e violenta. Li abbiamo trattati come se fossero “dei nostalgici e dei conservatori”. Ma non si tratta solo di nostalgia e conservazione. Ci sono anche paura e incertezza. Un fenomeno di cui, mai come oggi, bisogna occuparsi. Se non ci si occupa degli impauriti e dei rancorosi e nel contempo si rimane autoreferenziali, non si può andare molto lontano. È come se immaginassimo di andare alla ruote della fortuna dell’innovazione e ci trovassimo alla ruota del criceto della gig economy. Se uno racconta che c’è la ruota della fortuna ma poi nella realtà c’è la ruota del criceto non deve stupire che i risultati siano questi.


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