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Cure palliative: un diritto garantito ancora a pochi

Oggi accede alle cure palliative il 30% dei malati oncologici, che di loro rappresentano solo il 40% di quanti avrebbero bisogno e diritto alle cure palliative: troppo poco. Colpa di un modello ancora poco flessibile e della scarsa conoscenza del diritto a vivere con dignità il tempo che resta. Per questo la Federazione Cure Palliative lancia la sua prima campagna di comunicazione

di Sara De Carli

Le cure palliative in Italia sono un diritto, ormai da sei anni. Eppure, nonostante la legge 38/2010, ancora oggi accede ai servizi di cure palliative soltanto il 30% delle persone affette da tumore: i malati con patologie differenti e i bambini restano ancora praticamente esclusi. Per questo, in occasione della XVII Giornata Nazionale delle Cure Palliative che si celebra l'11 novembre, la Federazione e Cure Palliative lancia la sua prima campagna promozionale, “Vivila tutta”, firmata dall’agenzia McCann Health.

È una campagna per promuovere un servizio e un diritto, non per raccogliere fondi: «La Federazione ha deciso di fare questo investimento perché nonostante il molto che è stato fatto in questi anni, ancora molte persone pensano che le Cure Palliative siano inutili o poco efficaci oppure soltanto per i pazienti oncologici giunti alla fine della vita», spiega Luca Moroni, presidente della Federazione. «La campagna, corredata anche da cinque “vero o falso sulle cure palliative”, vuole chiarire invece che esse coniugano terapie finalizzate al controllo dei sintomi con il necessario supporto psicologico e relazionale». L’immagine e i toni della campagna sono volutamente positivi: «vogliamo dare un messaggio di vita, cioè che vivere con dignità il tempo di vita che resta è possibile, giusto e doveroso, in ogni territorio del nostro Paese. Dare ai cittadini la consapevolezza che esiste l’opportunità di convivere con una malattia inguaribile, con dignità», continua Moroni.

Vogliamo dare un messaggio positivo, cioè che vivere con dignità il tempo di vita che resta è possibile, giusto e doveroso, in ogni territorio del nostro Paese.

Luca Moroni

Colpisce però che ad accedere alle cure palliative siamo oggi solo il 30% delle persone affette da tumore: «il dato è questo, accedono sostanzialmente solo i malati oncologici, che in base ai dati OMS rappresentano il 40% del bisogno potenziale», spiega Moroni. In pratica oggi accede alle cure palliative il 30% di una fetta di malati che rappresenta solo il 40% di quanti ne avrebbero bisogno e diritto: troppo poco. Come si spiega? «Perché il modello che si è sviluppato in prevalenza è disegnato sul malato oncologico in fase avanzata, abbiamo molti servizi ad alta intensità e forse ad eccessiva rigidità. Assistere i malati non oncologici significa servizi domiciliari più flessibili, consulenza in ospedale, nelle RSA, in ambulatorio, tenere in carico più a lungo e con gradualità. Per realizzare appieno questo diritto esistono ancora importanti ostacoli: organizzativi, legati allo sviluppo della rete dei servizi; formativi, perché la formazione universitaria non è mai partita come la legge prevedere; culturale».

La campagna sarà presentata domani nel corso dell’incontro “VIVILA TUTTA: Il diritto alle Cure Palliative” (venerdì 11 novembre 2016, ore 10, Sala di Rappresentanza dell’Università degli Studi di Milano, via Festa del Perdono 7, qui il programma), che farà il punto sullo stato di attuazione della legge 38/2010 in Italia («l’intesa del 25 luglio 2012, la più importante, è stata formalmente recepita ma è ancora inattuata», denuncia Moroni), con le conclusioni affidate a monsignor Nunzio Galantino, Segretario Generale CEI, che parlerà dell’etica del limite. «Preoccupa in particolare il crescente divario tra regioni quasi prive di hospice e altre che stanno ormai sviluppando delle reti integrate, capaci di assicurare al malato un costante accompagnamento nel percorso di malattia e di cura», continua Moroni, che racconta di regioni con 67 hospice (come in Lombardia) e regioni che quasi non ne hanno, ma soprattutto di come nella maggior parte delle regioni le cure domiciliari non siano state accreditate e le ONP erogano direttamente le cure domiciliari lo facciano attraverso le con convenzioni più originali e con l’onere economico a totale o prevalente carico dell’associazione stessa.

Per quanto riguarda nello specifico la Lombardia, Giada Lonati (direttore sociosanitario di Vidas) e Gianpaolo Fortini (responsabile della Struttura di Terapia del Dolore e Cure Palliative ASST Sette Laghi) parleranno del ruolo del terzo settore nella progettazione e nello sviluppo del welfare lombardo e di una proposta operativa per un modello integrato di cure palliative. Per un anno infatti un gruppo di lavoro congiunto di non profit lombarde attive nelle cure palliative e Regione Lombardia (in Lombardia le cure palliative sono divise al 50% tra pubblico e non profit, operando su binari paralleli ma totalmente separati) ha lavorato per identificare le soluzioni migliori di entrambi i mondi e gli errori fatti. L’obiettivo era quello di identificare un modello che fosse la convergenza del meglio di ciascuno dei due modelli, in coerenza con riforma che ha portato un assessorato unico, integrato: «un modello quindi che integra l’ospedale e il territorio, il sanitario e sociale. Questa proposta operativa è stata consegnata alla direzione generale dell’assessorato del welfare e vorrebbe essere un contributo in vista della delibera che ridisegnerà il sistema delle cure palliative lombarde, attesa entro fine mese», anticipa Moroni.


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