Cooperazione & Relazioni internazionali

Trump, non è una sconfitta per il femminismo

Il 53% delle donne bianche americane ha votato Trump nonostante i suoi ripetuti e numerosi commenti sessisti. Perché? L'abbiamo chiesto alla femminista e scrittrice Lea Melandri che non si è stupita di questo risultato: «Lui parla il linguaggio dei loro mariti con tutti gli “orrori” della lingua comune. Troppe donne sono ancora legate a quella visione del mondo maschile e maschilista, anzi, fanno loro da tramite»

di Anna Spena

L’avevamo sperato. Ci avevamo creduto: una donna presidente degli Stati Uniti d’America. Le cose sono in un altro modo, forse inaspettato. Ma non è questo il punto. Donald Trump è diventato il nuovo presidente degli Usa anche grazie al supporto di molte donne: il 53% per essere chiari.

Il 53% delle donne bianche americane ha votato Trump; le afroamericane hanno preferito Hillary – solo il 4% ha dato la sua preferenza a lui – anche se, in generale, la loro affluenza ai seggi è stata bassa.

Ma perché le donne – oggetto di numerosi commenti esplicitamente sessisti da parte nel neo eletto – hanno comunque deciso di schierarsi per e con lui? L’abbiamo chiesto a Lea Melandri, femminista, scrittrice e presidente della Libera Università delle donne, che – prima di ogni cosa sottolinea: «Sia chiaro, la vittoria di Trump non è la sconfitta del femminismo!».

Lea a chi avrebbe dato la sua preferenza?
Io avrei votato per Hillary, ma badate bene, è difficile immaginarsi lì. Trump è un personaggio che con tutte le sue dichiarazioni è stato in grado di piegare in chiave – decisamente conservatrice e regressista – anche tutti i malumori – reali e seri del popolo americano.

E Hillary?
La Clinton è più lontana dalle condizioni diffuse del malessere e quindi a mio avviso lei è portatrice di un modo di fare politica “tradizionalmente” inteso

Tra i “due mali”, però, si sarebbe potuto scegliere quello minore…
Tante donne hanno votato così: scegliendo il male minore.

Ma tante – evidentemente – non l’hanno fatto…
Sicuramente l’elezione di Hillary Clinton avrebbe avuto un valore simbolico importante. Però a noi non mancano ruoli di donne al potere. Pensiamo alla Cancelliera Angela Merkel oppure a Federica Mogherini. Ma questo non cambia la situazione delle donne…

In che senso?
Il processo di emancipazione non è anche un processo di liberazione.

Ci spieghi…
Riusciamo ad emanciparci. Però il problema è che dopo averlo fatto non facciamo che far nostro quel modo di pensare “maschile”. A volte le donne per prime sono portatrici di questa visione dominante. Ecco vede la Clinton non è portatrice di una visione diversa. Sarebbe stata sì il male minore, ma nell’ottica femminista non credo che una sua elezione avrebbe cambiato seriamente le cose. In America lei non ha raccolto una serie di tematiche vicine al femminismo…

Sì però la questione resta, il 53% delle donne bianche americane, ha votato Trump. Non dovrebbe scattare una sorta di “orgoglio femminista”?
Non mi meraviglio, l’orgoglio presuppone una consapevolezza di sé. Di libertà di pensiero che ancora non c’è. Troppe donne sono ancora legate a quella visione del mondo maschile e maschilista, anzi, fanno loro da tramite. È un lavoro solo agli inizi quello della presa di coscienza femminile che prende le distanze da quei ruoli di moglie e madre cha hanno naturalizzato e interiorizzato. La verità è che Trump parla il linguaggio dei loro mariti, della gente comune – con tutti gli “orrori” della lingua comune. Hillary parla una lingua del “politicamente corretto” e le donne non si riconoscono in questa lingua. Continuiamo la battaglia però, andiamo alla radice dei corpi.


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