Cooperazione & Relazioni internazionali

Immigrazione: quando la destra ha ragione (e semmai certi argomenti le andrebbero tolti)

Quando da destra sentiamo dire - in maniera strumentale - che in Italia non arrivano tutti “profughi” e che spendiamo troppi soldi, è inutile rispondere che non è vero. Non ha senso e soprattutto non è utile. Va preso atto che qualcosa davvero non va, non funziona, e semmai vanno proposte delle soluzioni non strumentali a un problema oggettivo

di Marco Ehlardo

Quest’anno in Italia sono arrivati oltre 160.000 migranti (ad ora). Di questi una gran parte ha fatto domanda di Protezione Internazionale. Molti vengono da zone di guerra o grave insicurezza (Libia, Afghanistan, Siria e altri); altri da Paesi dove vengono lesi i diritti umani; altri, molti, da Paesi con povertà diffusa, nella (legittima) speranza di cambiare la loro vita. Se per i primi la concessione della protezione è quasi automatica, e per i secondi ci sono ottime speranze, per i terzi la domanda di asilo è solo l’ennesimo calvario del loro percorso migratorio. Ma d’altronde non hanno scelta, non essendoci sostanzialmente altri modi di ingresso legale in Italia. Da qui la forte crescita, negli ultimi periodi, dei dinieghi alle domande di protezione. Su questo la destra ha ragione: sono dati obiettivi. Se negli anni passati la percentuale di coloro che ottenevano una forma di protezione (compresa la sussidiaria e l’umanitaria) era ben superiore al 50%, di recente questi numeri sono in continuo calo. A settembre siamo ad un 42% di esiti positivi (di cui un 24% di protezioni umanitarie, che con l’asilo hanno poco a che fare) contro un 58% di negativi. Con quali conseguenze?

Storie per sopravvivere

La prima è il sovraccarico di lavoro a cui sono costrette le Commissioni Territoriali per il riconoscimento della Protezione Internazionale sparse in varie città italiane. Centinaia di interviste al giorno, per ascoltare le storie dei richiedenti e decidere se ci sono i requisiti per la protezione. Chi sa di non avere questi requisiti, deve giocoforza inventarsi una storia. Ma purtroppo queste storie girano, e molti finiscono per raccontare sempre le stesse. Non c’è nessun giudizio negativo su questo da parte mia: al loro posto farei (e faremmo tutti) lo stesso. Ne ho raccontate molte di queste storie nei miei libri, sentite in tanti anni.

C’è l’immancabile zio cattivo che vuole uccidere il nipote per rubargli la terra (che purtroppo, tra l’altro, anche fosse vero non sarebbe un requisito valido per ottenere protezione in Italia). C’è la solita setta di cui il richiedente è sempre il figlio del capo supremo (una setta con decine di capi supremi, a quanto pare), ed alla morte del padre gli viene imposto di prenderne il posto, lui si rifiuta e fugge. C’è il Paese in cui l’omosessualità è reato (vero), e tutti quelli che arrivano da lì si dichiarano omosessuali, tanto che viene da chiederti come faccia qual Paese a non avere un tasso di natalità pari a zero.

E tante altre come questa. Ha senso impegnare così tanto tempo inutilmente? Con le attuali normative va fatto, perché è un (sacrosanto) diritto di tutti i richiedenti essere ascoltati dalle Commissioni. Che abbia senso, però, è un altro discorso. In più c’è il rischio, ad esempio, che in questa confusione il rifugiato vero si ritrovi confuso con quelli che non lo sono e riceva un diniego anch’egli.

Per fortuna, per limitare questo rischio, molte Commissioni svolgono interviste attente con tutti i richiedenti, e per questo motivo lunghissime; ma questo non fa che aumentarne il carico di lavoro e i tempi per le decisioni (e di accoglienza del richiedente). Andrebbe, dunque, data la possibilità ai cosiddetti “migranti economici” di accedere ad altri percorsi di ingresso legale, più convenienti della domanda di asilo, permettendo così alle Commissioni di concentrarsi di più sui casi di domande di protezione effettivamente plausibili.

Il richiedente asilo ha diritto all’accoglienza, cosa che è e rimane giusta. Ma così bisogna trovare posto anche a migliaia di persone che, in realtà, richiedenti asilo sono solo formalmente. E quando la domanda di asilo viene respinta in prima analisi, ci sono sempre i risorsi per via giudiziaria, ed i tempi di accoglienza si allungano ancora.

Il sovraccarico dell'accoglienza

La seconda conseguenza è il sovraccarico del sistema di accoglienza, in tutte le sue forme (CARA, SPRAR, CAS). Il richiedente asilo ha diritto all’accoglienza, cosa che è e rimane giusta. Ma così bisogna trovare posto anche a migliaia di persone che, in realtà, richiedenti asilo sono solo formalmente. E quando la domanda di asilo viene respinta in prima analisi, ci sono sempre i risorsi per via giudiziaria, ed i tempi di accoglienza si allungano ancora.

Questo costa, e costa tanto. Anche su questo la destra ha ragione, e fa gioco facilmente sulle difficoltà economiche degli italiani per sollecitarne un razzismo che è sempre latente. Quindi, quando da destra sentiamo dire (in modo certamente strumentale, figuriamoci) che in Italia non arrivano tutti “profughi” e che spendiamo troppi soldi, è inutile rispondere che non è vero. Non ha senso, e soprattutto non è utile. Va preso atto che qualcosa così non va, non funziona, e semmai vanno proposte delle soluzioni da sinistra. Che non può essere “apriamo la porta a tutti”, perché è altrettanto ideologico del “chiudiamo la porta a tutti”. Ed i migranti di discussione ideologiche non ne hanno bisogno affatto.

Che cosa vogliamo?

Torniamo al solito punto: ci sono altri modi legali di arrivare in Italia? Vogliamo crearne qualcuno? Vogliamo fare in modo che si possa chiedere l’ingresso in Italia per lavorare? Vogliamo tornare almeno al sistema delle quote, che erano insufficienti e strutturate in modo ridicolo ma almeno davano un piccolo sfogo al problema e, se non altro, servivano a far emergere almeno una parte del lavoro nero?

Inutile fare una legge contro il caporalato se poi i motivi per cui lavoro nero e caporali sono così diffusi non vengono affrontati e risolti. Vogliamo, ancor meglio, prevedere un sistema europeo per cui si può venire in cerca di lavoro su tutto il territorio dell’UE (a prescindere dal luogo di arrivo), magari con un sistema di quote continentale invece che locale? Vogliamo, in definitiva, gestire finalmente il fenomeno, invece di lasciare che le cose restino così per poter continuare il teatrino politico e mediatico dei pro e dei contro? Questo è, a mio avviso, il modo di affrontare il tema dell’immigrazione da sinistra e togliere argomenti alla destra. Limitarsi al “va tutto bene” o ai “fratelli e sorelle migranti” non risolve nulla.

Anzi, alla fine, rischia di sfociare in un inconsapevole collaborazionismo con la parte più xenofoba della nostra politica e della nostra società.

Immagini: Getty


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