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Dopo la piccola Maria Sole, chiediamo più culle per la vita

Maria Sole è la neonata abbandonata due giorni fa a Villa Literno. Ad aprile 2015 un'altra bimba era stata ritrovata davanti a un bar. «Chiediamo una legge che preveda una regolamentazione delle culle per la vita e una collocazione di esse in numero adeguato. Se ce ne fossero state di più, forse Maria Sole non sarebbe stata abbandonata sul banco della frutta»

di Sara De Carli

Maria Sole è l’ultima bimba: è stata ritrovata la mattina del 30 novembre a Villa Literno, avvolta in una coperta, abbandonata in una scatola, fuori da un negozio di frutta e verdura. Aveva fra le 48 e le 72 ore di vita. È stata portata al Pineta Grande Hospital, dove medici e infermieri hanno scelto per la piccola il nome di Maria Sole. Di lei (dov'è la Carta di Treviso?) è stata anche diffusa e pubblicata una fotografia. Un’altra neonata era stata ritrovata, sempre a Villa Literno, nell’aprile 2015, fuori da un bar. A Milano, a fine gennaio 2016, il piccolo Giovanni fu abbandonato invece nel nella “Culla della vita” della Clinica Mangiagalli. La sua mamma lasciò due pannolini, un barattolo di latte in polvere, un cartoncino con le vaccinazioni fatte e la data di nascita: 20 novembre 2015.

A Villa Literno una culla per la vita non c’è. «Ce n’è una a Napoli, è troppo poco», riflette Marco Griffini, presidente di AiBi. Anche AiBi ha una culla per la vita, all’interno di una sua struttura: si chiama “Chioccia” ed è a Pedriano, in provincia di Milano. L’ha chiamata così un muratore che lavorava alla realizzazione del gabbiotto in cui si trova la culla: «”Presidente, questa culla sarà come una chioccia per i neonati”, mi disse. È un nome perfetto, che dà l’idea dell’accoglienza materna», spiega Griffini.

La culla per la vita di AiBi è aperta dal 1 dicembre 2015 e in questi dodici mesi nessun bambino per fortuna vi è mai stato abbandonato. «La culla per la vita è innanzitutto un segno di speranza, è scegliere la vita anche nell’abbandono, un segno per dire che c’è la possibilità di far vivere quel bambino, anche dentro la scelta dolorosa dell’abbandono. Questo è il primo compito delle culle, che a volte offrono anche un servizio concreto», dice Griffini. Una mappa completa delle culle per la vita in Italia non c’è: quelle mappate dal Movimento per la Vita sono circa 50 e «se ce ne fossero di più e se fossero più conosciute, forse più mamme potrebbero sceglierle», considera il presidente di AiBi. Il parto in anonimato in ospedale, infatti, che sarebbe la scelta più sicura per tutti, mamma e bambino, in realtà «non so se è la strada giusta. Le donne devono conoscere questa possibilità e devono fidarsi. Forse è più semplice entrare in contatto con queste donne attraverso delle “case” per partorire in anonimato, in sicurezza ma in una casa, non in ospedale, è un progetto a cui stiamo pensando».

Due sono le riflessioni di Griffini a margine del caso di Villa Literno: la prima è che chi lascia il bambino nella culla per la vita «non deve essere perseguito per abbandono di minore, tu lo porti in quel luogo perché sai che lì le procedure di accoglienza sono sicure, con l’obiettivo che qualcuno lo ritrovi immediatamente e si prenda cura di lui. La legge ad oggi non prevede questa garanzia perché non prevede le culle, vige l’abbandono del minore, può capitare che scatti una ricerca della madre che abbandona il figlio che non serve a nessuno. Sì, questa è la richiesta di una legge che preveda una regolamentazione delle culle per la vita e una collocazione di esse in numero adeguato. Se ce ne fossero state di più, forse Maria Sole non sarebbe stata abbandonata sul banco della frutta». La seconda riguarda la proposta di legge per il riconoscimento delle proprie origini: questa cosa «potrebbe spinge la madre ad abortire o ad abbandonare il neonato senza lasciare traccia, chi decide per il parto protetto deve essere protetta in questa sua scelta, altrimenti il rischio è che le donne preferiscano partorire sole, con conseguenze rischiose per loro e per il figlio».

Foto Getty Images


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