Politica & Istituzioni

Scuola, ripartiamo dall’inclusione

La stagione della Buona Scuola ha creato malessere tra gli insegnanti. Occorre ripartire affrontando il limite con cui la scuola si misura: l’incapacità di includere tutti e tutte, dando le basi per inserirsi nel mondo del lavoro. Per WeWorld la priorità su cui deve lavorare la scuola sono inclusione e pari opportunità

di Marco Chiesara

È nato da poche ore il Governo Gentiloni e ci si chiede se supererà il voto di fiducia al Senato e quanto poi potrebbe durare. C’è quindi il rischio di non valutare il compito a cui Ministri e Ministre sono chiamati. In particolare la neo Ministra dell’Istruzione, Università e Ricerca, Valeria Fedeli, è chiamata a non sottovalutare il bisogno di “normalità” di cui la scuola ha bisogno.
La stagione della Buon Scuola, comunque la si giudichi, ha creato malessere tra gli insegnanti con la miriade di novità di breve respiro e non affrontando in profondità il limite con i quali la scuola si misura: l’incapacità di includere tutti e tutte, dando le basi per inserirsi nel mondo del lavoro.

Andiamo per ordine: il malessere degli insegnanti. La scuola ha bisogno soprattutto di meno burocrazia, meno progetti estemporanei e più fiducia negli insegnanti e nei dirigenti, che hanno tutti gli strumenti che l’autonomia concede per dare il meglio di loro stessi e trarre il meglio dalle nuove generazioni. Ciò che disturba di più il mondo della scuola è l’innovazione senza un fine, la rincorsa dell’eccellenza estemporanea che dimentica l’importanza del fare bene il normale lavoro quotidiano, che ha un solo fine: far emergere le competenze che tutti hanno. Invece la continua vessazione di incombenze burocratiche per micro progetti ed emergenze annullano gli effetti positivi dell’autonomia. Questo lo abbiamo imparato bene nel lavoro costante e quotidiano con le scuole, nostri partner indispensabili nei progetti per contrastare la povertà educativa ed educare i cittadini di domani: la Buona Scuola al di là delle intenzioni dei proponenti ha finito per non riconoscere che serve pazienza per cambiare e che i cambiamenti che contano hanno bisogno di tempo.

Non sappiamo se la neo Ministra avrà tanto tempo a disposizione, probabilmente ne avrà assai meno di quanto ne ha avuto la Ministra Giannini, ma ha sufficiente sguardo lungo per capire che senza il consenso degli insegnanti e dei dirigenti non si fa della “buona scuola” e questo consenso si ottiene facendo bene le cose semplici che durano nel tempo. Ne indichiamo due, per brevità: inclusione e pari opportunità.

1. Inclusione
La scuola italiana non è in grado di mediare le crescenti diseguaglianze che la crisi sta creando: i nuovi poveri sono soprattutto poveri dal punto di vista educativo. È facile prevedere dal reddito dei genitori il destino scolastico dei figli. “Chi ha può” e accede ai licei, “chi non ha non può” e non completa nemmeno le scuole professionali. Non c’è differenza tra Nord e Sud, se non nel fatto che al Nord sono soprattutto i figli dei migranti ad ingrossare le fila degli espulsi dalla scuola ed al Sud sono gli italiani che, anche quando giungono al termine del percorso scolastico indenni, sono poveri di competenze spendibili, come ci ricordano puntualmente Invalsi e l’indagine Pisa. Solo una forte integrazione tra scuole, territori e famiglie che veda una alleanza con il terzo settore e che sappia affrontare la povertà educativa può cambiare un destino escludente che pare segnato. Non servono nuove risorse europee o nuovi piani nazionali, ancor meno tanti rivoli di micro progetti, basterebbe dare alle scuole alcune certezze: scuole aperte, integrazione tra scuola ed extra scuola, sostegno all’inclusione non sono formule emergenziali ma la normalità del lavoro quotidiano in tutte le scuole. Perché ciò accada sarebbe sufficiente eliminare le incombenze burocratiche che ricadono sulle scuole per micro progetti straordinari, con cui il Miur si è caratterizzato in questi anni, e dare priorità al sostegno alla inclusione di qualità per tutti.

2. Pari opportunità
Come hanno mostrato le indagini di WeWorld e come ben sa la neo Ministra Valeria Fedeli che in questi anni è sempre stata molto attenta al tema, esiste un vuoto sociale ed economico che il nostro Paese non riesce ancora a colmare: la parità tra uomini e donne sul piano sociale, economico e lavorativo. L’educazione alle pari opportunità, politiche che dall’asilo nido all’Università consentano alle donne di accedere senza timore al lavoro, avrebbero un impatto sulla crescita di svariati punti di Pil. Ma ciò è possibile solo se fin dai banchi di scuola si educa alle pari opportunità. Anche in questo caso non servono né risorse eccezionali né piani emergenziali. Basterebbe che i milioni di euro che il Miur destina alla scuola vengano indirizzati nel rafforzare le competenze di insegnanti e dei dirigenti quali formatori alle pari opportunità e nel creare occasioni di vera co-progettazione nel lungo periodo tra scuole, famiglie, studenti e terzo settore.

Una scuola normale dunque è possibile, senza spendere un euro di più, basta volerlo, con due grandi armi per crearla davvero questa Buona Scuola: l’inclusione per tutti e le pari opportunità.

Marco Chiesara, Presidente WeWorld onlus

Foto T. Lohnes, Getty Images


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA