Cooperazione & Relazioni internazionali

6000 morti per le strade: la sporca guerra delle Filippine contro i narcos

Oltre 6000 morti in circostanze poco chiare e la promessa di 5-6 esecuzioni di narcotrafficanti al giorno: sono questi i segnali che non lasciano tranquilla la comunità internazionale, l’Onu e le organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International circa il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte. Ma lui tira dritto: e una legge per reintrodurre la pena capitale è già in Parlamento

di Gabriella Meroni

Oltre 6000 morti in circostanze poco chiare e la promessa di 5-6 esecuzioni di narcotrafficanti al giorno: sono questi i segnali che non lasciano tranquilla la comunità internazionale, l’Onu e le organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International circa il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte. Saiòto al potere lo scorso giugno, l’energico uomo politico ha vinto le elezioni promettendo ordine e pulizia dalla piaga del narcotraffico, anche attraverso la reintroduzione della pena di morte, che l’arcipelago aveva messo al bando dal 2007 firmando un patto con le Nazioni Unite, e accettando una clausola che proibisce la restaurazione della pena capitale. Per questo l’alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Zeid Ra'ad Zeid al-Hussein, ha inviato una lettera ufficiale lo scorso 6 dicembre al portavoce del governo Pantaleon Alvarez e al presidente del senato Aquilino “Kiko” Pimentel III in cui esprime la sua preoccupazione riguardo le intenzioni del presidente. Ad aggravare il tutto è la lista dei famigerati reati punibili con la pena di morte, tra cui compaiono, oltre a tutti quelli legati alla droga, anche la pirateria e il furto d'auto, reati considerati di peso assai inferiore nella maggior parte del mondo. Anche per questo Amnesty International ha lanciato una campagna internazionale per fermare la reintroduzione della pena di morte nel paese.

Ma Duterte tira dritto, come ha ripetuto il 19 dicembre intervenendo alla festa per il 38esimo compleanno del pugile Manny Pacquiao: «Saranno giustiziati cinque o sei criminali al giorno», ha promesso. «Ridatemi la pena di morte, e organizzerò esecuzioni giornaliere. Voi distruggete il mio Paese, e io distruggo voi». E non sono solo parole: un progetto di legge in questo senso dovrebbe essere discusso in Parlamento a gennaio, e ha già scatenato le proteste dei leader della Chiesa cattolica nelle Filippine, che hanno definito "barbaro" il capo di stato.

E il popolo che ne pensa? Secondo un sondaggio dell'istituto Social Weather Survey (Sws), quasi 8 filippini su 10 (il 78%) si sono detti preoccupati che qualcuno nella loro famiglia possa essere ucciso nella guerra contro le droghe illegali, anche se l'85% ha dichiarato di essere soddisfatto della campagna presidenziale e crede che aiuterà a diminuire la gravità del problema della droga nel paese. C'è poi un importante 94% che ritiene sia importante che i sospetti tossicodipendenti e narcotrafficanti siano catturati vivi, mentre la tendenza governativa sembra andare in tutt’altra direzione: dalla fine di giugno, più di 2.100 persone sono state uccise dalle forze dell'ordine in operazioni antidroga, mentre almeno altre 3mila sono state eliminate in circostanze non chiarite. La maggior parte delle vittime di questi "morti sotto inchiesta" sono stati poi trovati in strada, molti legati con del nastro adesivo e con un cartello con scritto: "Sono un pusher. Non essere come me" (come mostra la foto pubblicata dal Daily Mail).


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