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Filantropia e valutazione: un processo di apprendimento organizzativo

Nel campo della filantropia istituzionale e in particolare erogativa, dove le valutazioni di impatto sociale sono tema digerito già da tempo e non solo dentro ai confini nazionali, si sperimentano esercizi di valutazione. Ma spesso si dimentica il legame tra processi e outcome

di Elisa Ricciuti

È da un po’ di tempo che assistiamo con entusiasmo al dibattito sulla valutazione d’impatto sociale nel terzo settore. Questo tema, di per sè non nuovo, ha portato però nuovo fermento: se non proprio nuovi modelli, almeno la necessità di chiarirsi e condividere linguaggi, prassi e metodi consolidati di valutazione (si veda ad esempio il recente Glossario “Le parole dell’impatto” di Social Value Italia). Quindi tutto bene. Nel campo della filantropia istituzionale e in particolare erogativa, dove forse le valutazioni di impatto sono tema digerito già da tempo e non solo dentro ai confini nazionali, si sperimentano esercizi di valutazione di outcome o impatti. Eppure, nel tentativo di valutare l’outcome dell’attività erogativa, poco si guarda ai processi interni che strutturano tale attività: processi decisionali strategici (strategy-making) ed erogativi (grant-making) sui quali si basa l’attività cuore dell’organizzazione, e che sono molto rilevanti anche per la spesso citata Teoria del Cambiamento.

Da anni, alcuni studiosi di filantropia internazionale – in campi come la salute, il peace-keeping o lo sviluppo di alcune zone del Mondo – lamentano il fatto che mentre l’attenzione ai grandi temi “di sistema” è elevata (come il ruolo della filantropia in rapporto alle istituzioni pubbliche, il coinvolgimento o meno delle comunità nella definizione delle priorità di investimento, e così via), lo sguardo interno al nitty-gritty dei processi erogativi è estremamente limitato. Uno studio, ad esempio, sottolinea che comprendere come le fondazioni arrivino a prendere le proprie decisioni erogative nei confronti dei loro beneficiari sia indispensabile per un’analisi fruttuosa del ruolo delle fondazioni stesse (Aksartova 2003). Altri studiosi, nello specifico caso della salute globale, hanno evidenziato come i processi decisionali dei grandi donatori del mondo della filantropia meritino maggiore attenzione, in alcuni casi per contribuire a un acceso dibattito relativo ad accountability e trasparenza (Sridhar e Batniji 2008), in altri casi per sottolineare il ruolo preponderante dei leader “filantrocapitalisti” nel disegno dei processi non solo strategici, ma anche erogativi (Bishop & Green 2008).

Sembra comunque esservi una certa consapevolezza di come il processo di formulazione delle strategie (strategy-making) e il processo erogativo (grant-making) siano due facce distinte ma complementari delle decisioni organizzative, determinanti per comprendere il comportamento delle fondazioni verso i propri interlocutori e la valutazione dei propri outcome. Partendo da questo presupposto, un lungo studio dei processi decisionali delle fondazioni che investono nella salute globale confronta alcune tra le “big” americane e inglesi – Fondazione Bill&Melinda Gates, Fondazione Rockefeller, Wellcome Trust (Ricciuti 2016). Capire chi decide cosa finanziare, come ricostruire gli step di tale decisione, da dove viene presa l’evidenza del bisogno da soddisfare, chi ne fa uso e per disegnare quali dispositivi di erogazione, in che fase del processo vengono definite le soglie dei progetti da finanziare…e molte altre ancora, non sono sempre domande facili, perchè costringono a una ricostruzione non semplice dei processi interni e dei meccanismi di governance, condita da riflessioni sul clima organizzativo, elementi di storia personale e di eredità istituzionale, di cultura aziendale, di visioni, approcci, conflitti di potere, entusiasmi e delusioni.

Risultato? È stato fondamentale per gli interlocutori (dirigenti e membri dei Consigli di Amministrazione delle fondazioni coinvolte nello studio) apprendere appieno il disegno dei processi decisionali della propria fondazione (il come facciamo le cose) per arrivare a porsi domande relative non solo alla legittimità e all’accountability della fondazione stessa, ma anche alla sua efficacia. Forse banale, eppure tipicamente vi è poca disponibilità all’analisi dei processi strategici ed erogativi sia da parte delle fondazioni stesse (culturalmente non proprio aperte a farsi guardare in casa) che dall’accademia (forse perchè è ritenuto ambito di ricerca “applicata” e poco scientifica?). Se è ormai assodato in letteratura che la valutazione è un processo continuo di apprendimento organizzativo, è altresì assodato che l’impianto di valutazione deve essere disegnato in misura parallela e integrata al disegno del processo erogativo. Eppure, sembra ancora poca la riflessione su quanto le scelte processuali interne siano decisioni come tutte, quindi influenzate dalla storia dell’organizzazione, dalle strategie emergenti, dalla ricerca di innovazione e dai rapporti di potere. Chi vuole valutare i propri outcome (impatti) senza chiedersi come sono stati definiti gli obiettivi corre il rischio di fare solo metà del lavoro e di minare non tanto l’efficacia del processo valutativo, ma il suo portato informativo, e quindi la sua utilità. Siamo nel cuore del processo di apprendimento organizzativo interno: significa comprendere come quegli obiettivi siano arrivati sul tavolo, quali siano le evidenze a supporto, e se siano stati disegnati incentivi a perseguirli da parte del management dedicato (che poi altro non sono che indicatori di misurazione). Ed eccola la Teoria del Cambiamento nella pratica organizzativa. Difficile prescindere dalla genesi degli obiettivi e dal significato del legame obiettivi-indicatori quando si vogliono valutare gli impatti, altrimenti si corre il rischio di produrre valutazioni “esteticamente” belle, ma poco informative, non tanto per la comunità, quanto per una riflessione strategica interna all’organizzazione stessa.


Bibliografia:

Aksartova, S. 2003, In search of legitimacy: peace grant-making of US philanthropic foundations, 1988-96, Nonprofit & Voluntary Sector Quarterly 2003(32):25-46
Sridhar, D. & Batniji, R: 2008, Misfinancing global health: a case for transparency in disbursement and decision-making. The Lancet, 372(9644):1185-91.
Bishop, M. & Green, M. 2008, Philanthrocapitalism: How the rich can save the world. A&C Black, London.
Ricciuti, E. 2016, Grant-making foundations for global health: what drives their decision-making?, Doctoral Thesis, University of London 2016. DOI: 10.17037/PUBS.02997229


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