Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Welfare & Lavoro

Riaprire i Cie? Per Caritas Ambrosiana un errore da non ripetere

Di fronte alla proposta di riapertura del Cie di via Corelli, il direttore di Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti ricorda che «non ha funzionato in passato, difficilmente potrebbe funzionare ora»

di Redazione

«Il Cie di via Corelli a Milano non ha funzionato in passato, difficilmente potrebbe funzionare ora» non ha dubbi il direttore di Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti. «Quel centro è stato un luogo di detenzione lesivo della dignità delle persone che vi erano ristrette e per di più inutilmente costoso. Riaprirlo nelle condizioni attuali, senza un significativo cambiamento di approccio, sarebbe un errore», osserva.

Secondo Gualzetti i Centri di identificazione ed espulsione (Cie) «non sono lo strumento adeguato, perché i numeri delle persone che dovrebbero contenere (dei soli diniegati si stimano 70mila su tutto il territorio nazionale) sono tali che mettere in campo una misura del genere, non è credibile e avrebbe un costo esorbitante». Il direttore della Caritas Ambrosiana, inoltre, «anche nel caso si riuscisse a predisporli, difficilmente sarebbero efficaci, senza un piano di rimpatri che, date le proporzioni del fenomeno, è al momento molto difficile da realizzare».

Il ragionamento di Gualzatti prosegue: «Meglio sarebbe a questo punto dividere il problema: accanto agli sforzi per accrescere il numero di accordi bilaterali con i Paesi di provenienza dei migranti senza il cui consenso non è possibile procedere ai rimpatri, come dimostra proprio il caso di Anis Amri (il 24enne tunisino autore dell'attentato a Berlino rimasto ucciso prima di Natale in uno scontro a fuoco con la polizia a Sesto San Giovanni), prevedere un permesso di soggiorno umanitario per coloro che si trovano già nelle strutture di accoglienza per richiedenti asilo al fine di evitare che i diniegati finiscano nel cono d’ombra della clandestinità, con la conseguenza di vanificare gli sforzi fatti sin ad ora per la loro integrazione e quindi il rischio di esporli al rischio di radicalizzazione».

«L’esperienza dimostra come le scelte pur legittime a favore della sicurezza devono essere accompagnate da rigorosi programmi di integrazione, i soli che possono dare garanzie di coesione e pacifica convivenza nei tempi lunghi e neutralizzare i semi di rancore e violenza che in questo periodo ci stanno attraversando» conclude.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA