Politica & Istituzioni

Apertura della politica: «nostro obiettivo è migliorare la delega, per migliorare l’inclusione»

Più protagonismo delle famiglie, allargamento anche all'istruzione e formazione professionale, pensare a un vero profilo di funzionamento. Per la continuità invece bisogna fare i conti con il contratto collettivo. Intervista con Simona Malpezzi e Elena Carnevali (Pd), relatrici per la delega sull'inclusione

di Sara De Carli

«Massima apertura»: è questo il messaggio all’unisono di Elena Carnevali e Simona Malpezzi, deputate Pd e relatrici per lo schema di delega sull’inclusione scolastica rispettivamente in Commissione XII e VII.

Preso atto del severo giudizio che i rappresentanti delle associazioni delle persone con disabilità hanno espresso lunedì scorso in audizione, le onorevoli ripartono dalle proposte di emendamenti che le stesse associazioni hanno presentato: «Le associazioni non hanno chiesto il ritiro della delega, ma al contrario hanno presentato una serie di emendamenti propostivi, volti a migliorarne i contenuti. Il fatto stesso che abbiano presentato questi emendamenti significa che credono che il testo sia emendabile, siamo nelle condizioni di portare avanti un confronto sereno», chiosa Elena Carnevali. «Il nostro compito, in questa fase, è quello raccogliere sollecitazioni e proposte per rendere più condivise le deleghe alla legge 107. Il nostro obiettivo è proprio migliorare le deleghe, per questo c’è massima disponibilità al confronto. L’intento della delega è il superamento delle condizioni attuali che limitano una piena inclusione sociale agli alunni con disabilità», ribadisce Simona Malpezzi.

Malpezzi e Carnevali si occupano della delega sull’inclusione scolastica da due punti di vista un po’ differenti: Malpezzi per gli aspetti didattici e organizzativi della scuola, per la Commissione Cultura, Carnevali per quelli più propriamente sanitari, per la Commissione Affari sociali e avere due commissioni che esaminano il testo non solo per dare un parere consultivo è già un segnale di voler approfondire le cose, insieme alla novantina di soggetti che saranno complessivamente auditi sulle otto deleghe.

Sul tema continuità, uno dei nodi critici più importanti secondo le famiglie e le associazioni che le rappresentano, in realtà i margini di manovra sembrano pochi: «il vincolo per dieci anni sul sostegno e la possibilità che viene data ai dirigenti di introdurre una prima forma di continuità anche per i docenti a tempo determinato mi sembrano già due passi in avanti. Per il resto ci sono delle norme contrattuali, i docenti hanno diritto alla mobilità, ogni proposta deve giocoforza tener conto di questo», spiega Malpezzi. Che aggiunge: «dobbiamo avere anche l’onestà di dire che tantissimi docenti di sostegno hanno scelto di andare su materia, discutendo la legge sulla Buona Scuola alla Camera avevamo provato a dire che chi ha la specializzazione sul sostegno doveva obbligatoriamente stare sul sostegno, è stata fatta un’altra scelta, serve mediare, dobbiamo anche tener conto del rischio di burn out per una professione che è oggettivamente emotivamente pesante. Oggi poi dobbiamo anche dire che gli insegnanti di sostegno specializzati fisicamente non ci sono, sono pochi rispetto al bisogno».

Quanto alla critica secondo cui le nuove procedure per la certificazione sono farraginose, «vorrei capire bene il perché, dal momento che il nostro obiettivo era assolutamente quello di semplificare e snellire», apre Malpezzi e lo stesso sul GIT-Gruppo per l’inclusione territoriale: «se così non va bene, cambiamo, però non riproponendo l’esistente perché l’esistente abbiamo visto che non funziona». I punti di forza, per l’onorevole, sono il fatto che la valutazione della qualità dell’inclusione diventa ufficialmente per la prima volta un elemento della valutazione della scuola nel suo complesso e il fatto che già la legge 107 stanziasse risorse specifiche per la formazione obbligatoria dei docenti: «se una scuola individua una necessità di formazione sull’inclusione, i soldi ci sono già. Dobbiamo ricordarci di guardare le cose tutte insieme». Ad esempio, dalle audizioni sulla delega per l’istruzione professionale «dalla presidente di FORMA è emerso uno spunto interessante, che mi sento di accogliere», afferma Malpezzi: «l’attenzione all’inclusione degli alunni con disabilità deve guardare anche alla formazione e istruzione professionale». Confronto aperto anche sul tema dell'equipollenza delle prove d'esame e sul valore del diploma di terza media, la assoluta sorpresa che le associazioni hanno trovato nel testo sulla valutazione degli alunni, che qui su Vita.it avevamo per primi denunciato appena i testi delle otto deleghe erano stati resi pubblici, con Salvatore Nocera che aveva parlato di un «arretramento pauroso».

Più tecnici i punti toccati da Elena Carnevali, relatrice per la delega 378 alla Commissione Affari Sociali. Già nella relazione introduttiva aveva sottolineato la necessità di fare un ragionamento ulteriore sulla valutazione diagnostico funzionale proposta e se questa soddisfi pienamente la necessità di un profilo di funzionamento dell’alunno con disabilità. In audizione, replicando alla Fish, l’onorevole aveva chiarito ulteriormente che «la proposta di profilo di funzionamento che fate e il superamento della valutazione diagnostico funzionale proposta dalla delega è un suggerimento particolarmente utile, la domanda che faccio è chi ha la titolarità del profilo di funzionamento, sapendo che questo non deve essere frutto di una valutazione esclusivamente medica ma di un’interrelazione fra ambiente e persona nei vari contesti: tenuto conto del fatto che le unità di valutazione multidimensionale in Italia non sono un’esperienza diffusa, la domanda è il profilo di funzionamento a chi lo mettiamo in capo?». Su alcune osservazioni, ammette Carnevali, «convengo che ci sia spazio per miglioramenti, a cominciare dal rafforzare il ruolo e il protagonismo della famiglia e delle persone con disabilità stesse nella stesura dei PEI e del progetto individuale». Un altro punto da approfondire è «il ruolo dell’ente locale nella definizione del progetto individuale, da un lato perché l’inclusione non si realizza sono all’interno della scuola, dall’altro perché conosciamo la disomogeneità oggi esistente».

Foto Mario Tama /Getty Images


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