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Gori: bene la proposta del governo sull’azzardo, ma non fermiamoci

«Il testo reso noto ieri da Vita, non risolve tutti i problemi», osserva il sindaco di Bergamo. «Nonostante i suoi limiti, quel documento rappresenta però punti importanti dai quali ripartire: regolamentazione delle distanze e utilizzo obbligatorio della tessera sanitaria»

di Giorgio Gori

La proposta del Governo sulla regolamentazionedel gioco d’azzardo, pubblicata ieri da Vita, non risolve certo tutti i problemi. I 95 miliardi di euro giocati nel 2016 – 18,5 di spesa effettiva – descrivono un fenomeno di dimensioni impressionanti, che nessuno può pensare di affrontare con la bacchetta magica o con semplici slogan. Non si tratta infatti di “vietare il gioco” – cosa che farebbe la fortuna del mercato illegale e delle organizzazioni criminali – ma di limitarne la diffusione e gli effetti dannosi.

Da questo punto di vista, a mio avviso, la proposta fin qui negoziata tra Governo ed Enti Locali rappresenta un significativo passo avanti. È infatti la prima volta che il Governo dimostra una concreta volontà di riduzione dell’offerta di gioco.

È vero, si concentra principalmente sulle slot. Per quanto riguarda le VLT si limita a bloccarne l’ulteriore diffusione; sulle sale scommesse si ferma ad una riduzione di circa il 25%; non nomina neppure le lotterie istantanee (che sono a loro volta un problema da affrontare invece seriamente). Ma contiene finalmente degli impegni precisi, il cui traguardo è una riduzione di circa il 50% (io penso di più) degli attuali punti gioco. Dagli attuali 96.800, nel giro di tre anni, scenderemo a meno di 50.000. Significa che non avremo più un’offerta di gioco dilagante, ubiqua, distribuita in ogni bar e in ogni tabaccheria. E questo è un grande risultato.

Il decreto prevede infatti la totale rottamazione delle attuali AWP (le slot) e la drastica riduzione dei punti gioco, che solo in parte, sottostando ad una serie di criteri restrittivi (distribuzione territoriale, adeguate dimensioni dello spazio, completa identificazione degli avventori), potranno accogliere macchine collegate a server centrali (AWPR), che funzioneranno con l’utilizzo della Tessera sanitaria. In parallelo si prevede, da subito, l’eliminazione di tutti gli apparecchi di gioco da esercizi commerciali, edicole, ristoranti, alberghi e circoli privati.

Il decreto riconosce il ruolo degli enti locali e infatti, esplicitamente, afferma che anche le sale “certificate” – di categoria A -, ossia le uniche autorizzate ad operare dal 1° gennaio 2020, dovranno “ottemperare ai regolamenti e alle ordinanze sindacali che prevedano interruzioni del consumo di gioco”, purché – nell’arco delle 24 ore – siano loro garantite almeno 8 ore di attività.

Dagli attuali 96.800, nel giro di tre anni, scenderemo a meno di 50.000. Significa che non avremo più un’offerta di gioco dilagante, ubiqua, distribuita in ogni bar e in ogni tabaccheria. E questo è un grande risultato

Anche questo è un risultato di grande importanza. È infatti dimostrato, e le ricerche promosse dal Comune di Bergamo hanno fornito a tale riguardo un’ulteriore evidenza, che il funzionamento ininterrotto della macchina del gioco, basata su ritmi velocissimi e alte frequenze, produce dipendenza e alterazione delle relazioni interpersonali, familiari e sociali. Ecco perché è necessario interrompere la somministrazione costante del gioco, rendere intermittente la macchina attraverso la creazione di orari game free che spezzino il meccanismo compulsivo. La proposta del Governo riconosce questo punto (e ovviamente non impedisce ai Comuni di imporre le stesse limitazioni a tutte le altre tipologie di gioco, dalle VLT alle scommesse e ai Gratta&Vinci).

La bozza è comunque ulteriormente migliorabile, a mio avviso, e nei prossimi giorni l’Anci e i rappresentanti delle Regioni torneranno a discuterne col Sottosegretario Baretta.

Due i punti che ci interessano: un dettato più chiaro riguardo all’utilizzo obbligatorio della Tessera sanitaria per giocare alle AWPR, e la questione delle distanze dai luoghi sensibili.

Su quest’ultimo è importante essere chiari. La proposta del Governo, che come abbiamo visto prevede una forte riduzione dei punti gioco, assume come criterio di selezione e concentrazione – oltre all’applicazione dei requisiti “qualitativi” fissati per le sale di classe A – quello di una “distribuzione territoriale omogenea, in proporzione alla densità e alla composizione anagrafica della popolazione di ciascuna Regione e/o area omogenea”.

il decreto Baretta segna una svolta, ma è sconsigliabile ammainare del tutto la bandiera delle distanze. Se i 500 metri di prassi sono troppi -, io credo che sarebbe sensato mantenere un limite di almeno 200 metri da scuole e centri anziani, ossia dai luoghi frequentati dalle categorie più fragili

Baretta tende dunque a ritenere superato e non necessario il criterio della distanza minima dai luoghi sensibili che molte Regioni, a partire dalla Lombardia, hanno disposto a tutela dei propri cittadini. Io credo che abbia solo parzialmente ragione. Intanto perché i criteri di densità territoriale sono ancora tutti da scrivere, così come i requisiti di superficie minima destinata al gioco, rinviati ad una prossima definizione in sede tecnica.

E in seconda battuta perché quello delle distanze – in primo luogo dalle scuole – è diventato in questi anni il segno più tangibile della battaglia ingaggiata dagli enti locali, Regioni e Comuni, a lungo lasciati soli dallo Stato, contro la diffusione indiscriminata dei luoghi di gioco. Una battaglia compresa e apprezzata dai cittadini. Una battaglia che è tutt’altro che conclusa.

Ora il decreto Baretta segna una svolta, ma è sconsigliabile ammainare del tutto quella bandiera. Se i 500 metri di prassi sono troppi – di fatto impediscono qualunque nuova apertura o rilocalizzazione -, io credo che sarebbe sensato mantenere un limite di almeno 200 metri da scuole e centri anziani, ossia dai luoghi frequentati dalle categorie più fragili. Sono convinto che questa soglia, sommata ai criteri selettivi già presenti nel testo, rappresenti un buon punto di mediazione tra le esigenze dei territori e i nuovi princìpi a cui si ispira la proposta del Governo.


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