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“150 milligrammi” dalla Francia una nuova Erin Brockovich

"Una donna forte come la verità", questo il sottotitolo del film da ieri, mercoledì 8 febbraio, nelle sale italiane. La donna è Irène Frachon e la trama si ispira alla sua lotta contro il colosso farmaceutico produttore del Mediator. Un film di denuncia e impegno sociale. Una storia francese, ma allo stesso tempo universale dell'eterna lotta di Davide contro Golia

di Antonietta Nembri

Una storia vera che in Francia ha fatto scalpore: lo scandalo Mediator, un farmaco distribuito oltralpe per oltre trent’anni (dal 1976 al 2009) per il trattamento del diabete dell’adulto, un tipo che spesso è associato all’obesità, il medicinale inoltre veniva prescritto anche alle persone sovrappeso per favorire il dimagrimento. Nel 2009 il farmaco venne ritirato dal mercato grazie alla battaglia intrapresa da una pneumologa, la dottoressa Irène Frachon, quando anche emerse una terribile verità: nei 33 anni di utilizzo il farmaco aveva provocato centinaia se non migliaia di morti.

Ora questa vicenda, divenuta di dominio pubblico nel 2010 è diventata un film. Una pellicola potente e avvincente. Una storia raccontata attraverso le scoperte, le ricerche e le battaglie che Irène Frachon ha combattuto contro una delle più importanti case farmaceutiche francesi: i laboratori Servier e l’intero sistema.

È uscito mercoledì 8 febbraio nelle sale italiane “150 Milligrammi – Una donna forte come la verità” (titolo originale: “La fille de Brest”) il film diretto da Emmanuelle Bercot, mentre il ruolo da protagonista è dell’attrice danese Sidse Babett Knudsen che ha saputo dare corpo e voce a Irène Frachon. Una sceneggiatura accurata scritta da Séverine Bosschem e dalla stessa Bercot aiuta a entrare appieno nella vicenda. Come ha rivelato la stessa Bercot in un’intervista la scrittura del film è durata quasi tre anni e si è avvalsa dell’aiuto e delle testimonianze oltre che della stessa Frachon, del libro “Mediator 150 mg, combien de morts?” pubblicato dalla pneumologa per denunciare la tossicità del farmaco. Ma nella vicenda raccontata nel film entrano anche altri personaggi come Antoine il ricercatore dell’ospedale che ha aiutato Irène durante il caso (interpretato da Benoît Magimel), la giornalista de Le Figaro che ha fatto scoppiare il caso sui media e la talpa di Irène al Cnamts (Caisse nationale de l’assurance maladie des travalleurs salariés –cioè il fondo nazionale di assicurazione malattia).

Una storia che cresce, come il ritmo del film: dalle prime immagini in sala operatoria alla pubblicazione del libro, dai momenti con la famiglia alla paura di non farcela. Nulla viene censurato: gli scontri con i colleghi e la voglia di mollare tutto al centro c’è lei Irène che qualcuno ha definito una Erin Brockovich francese e della pellicola statunitense (anch’essa basata su una storia vera) il film francese mutua il ritmo serrato e lo stile da film d’indagine.

Uno scandalo che in Francia ha fatto molto scalpore e che è nato dall’osservazione della pneumologa bretone Frachon che nel 2007 individua casi di malfunzionamento cardiaco in pazienti che sono o sono stati esposti al benfluorex (il principio attivo del Mediator), uno studio intrapreso conferma le preoccupazioni: in un campione di 600 pazienti ricoverati all’ospedale di Brest dal 2003 al 2009 nel 70% dei pazienti che avevano assunto benfluorex emerge un nesso tra l’uso del farmaco e il rigurgito mitralico. Nel giugno 2010 esce il libro di Frachon e nell’ottobre dello stesso anno la Cnamts ufficializza la cifra di almeno 500 morti. Lo scandalo arriva così al grande pubblico.

Parlando di Irène Frachon la regista racconta di essersi subito resa conto che «questa donna variopinta sarebbe potuta essere uno straordinario personaggio. Raccontato da lei, con tutta la sua passione e tutta la sua emotività, il caso assumeva una dimensione completamente nuova. Non era più la storia del Mediator, ma la storia della lotta di questa donna straordinaria… se è riuscita a portare sino in fondo la sua battaglia, il merito sta nella sua immensa empatia nei confronti delle vittime e anche nella sua deontologia. Irène fa il medico unicamente per assistere e curare le persone, non è alla ricerca di potere e dunque non ha mai avuto paura di compromettersi».

In apertura foto di Jean-Claude Lother


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