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Famiglia & Minori

Mettere in banca i denti da latte: moda, scienza o business?

Sui social si diffonde un messaggio per le mamme: conservate i denti da latte dei vostri bambini, contengono cellule staminali, domani potrebbero salvargli la vita. I prezzi? 2mila euro per vent'anni. Quanto c'è di scientifico? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Nicoletta Sacchi

di Sara De Carli

Faccio subito outing. Almeno una decina dei denti da latte dei miei figli se li è già portati via il topolino dei dentini, lasciando in cambio una moneta sul cuscino. Sono ancora in tempo a cambiare strada, denti che devono cadere ce ne sono ancora molti, per di più ho il vantaggio di avere tre figli. Perché ho scoperto solo di recente che alcune mamme i dentini dei loro bambini li mettono in banca, a pagamento, non come ricordo ma perché un domani quei dentini potrebbero salvare la vita ai loro figli. Confesso l’ignoranza, non l’avevo mai sentito: nella polpa dei denti da latte sono contenute cellule staminali mesenchimali. Se ne parla già da qualche anno, Federica Panicucci fu la prima a darne notizia in tv a un pubblico di mamme. Esistono già delle banche per mettere in sicurezza i denti da latte, con pagine web in italiano e sedi in italia (e la memoria salta ad alcune scene di quel capolavoro che è Ernest & Celestine). I prezzi? 1.900 euro per 25 anni, 2mila per 20, il range è questo (le scatoline per motivi affettivi invece su amazon si fermano a 23,09 euro).

Il fondamento scientifico c’è. La scoperta di cellule staminali mesenchimali nella polpa dei denti da latte è degli anni duemila, la letteratura (ringrazio per le segnalazioni del dottor Massimo Mazzella, direttore medico responsabile del Dipartimento area materno infantile dell'E.O.Ospedali Galliera di Genova) nel 2013 era ancora dubbiosa sull’opportunità di conservarli mentre nel 2015 prende atto del fatto che le banche si siano ormai diffuse. È un po’ quello che successe anni fa con la conservazione a pagamento, per uso autologo, delle cellule staminali contenute nel cordone ombelicale, di cui sempre la Panicucci fu tra le prime testimonial. In virtù di questa analogia ho contattato la dottoressa Nicoletta Sacchi, Direttore biologico responsabile del Dipartimento area delle scienze genetiche del Galliera e dell’IBMDR, Italian Bone Marrow Donor Registry – Registro nazionale Italiano Donatori di Midollo Osseo, che dal 2007 tiene anche il registro nazionale dei cordoni ombelicali donati e ha il compito di sovrintendere alla ricerca della giusta unità di sangue cordonale per i pazienti in attesa di trapianto.

Dottoressa, i denti da latte potranno salvarci la vita?
Come speso accade quando si ha a che fare con contenuti scientifici, la divulgazione si distorce le informazioni. Nei denti da latte esistono alcune cellule staminali mesenchimali, è vero. Nel mondo diversi gruppi di ricerca stanno cercando di utilizzarle le cellule mesenchimali a scopo di trapianto, a scopo ricostruttivo, come aiuto nel trapianto di organi… ci sono molti studi e protocolli. Però dobbiamo anche dire che le cellule staminali mesenchimali esistono anche nell’organismo adulto e sono facilmente prelevabili, in quantità maggiori di quante ce ne siano nei denti da latte o nel cordone ombelicale. Quindi restando aperti alle future scoperte sull’utilizzo delle mesenchimali possiamo dire con tranquillità che né il cordone né il dente da latte sono la fonte esclusiva di queste cellule. Ad esempio nei trapianti le staminali da sangue cordonale oggi sono meno utilizzate di un tempo proprio perché ci sono altre fonti di staminali emopoietiche.

Quali malattie potrebbero essere curate?
Non c’è nessuna terapia oggi che usa cellule mesenchimali in maniera riconosciuta. Sono cellule interessanti, hanno una potenzialità enorme, ma ripeto le possiamo prelevare dal midollo osseo in quantità molto maggiori, del paziente stesso o di un donatore sano. È vero che la scienza fa passi da gigante, può darsi che un domani con queste cellule si potrà fare qualcosa di straordinario, nessuno lo esclude, ad esempio nel trapianto di organo solido alcuni chirurghi utilizzano cellule mesenchimali che aiutano l’organo a stabilizzarsi nella nova sede. Ma nessuna malattia oggi si cura solo con mesenchimali.

Ovviamente per conservare i dentini dei figli in questa prospettiva non basta metterli in una scatolina in un cassetto…
Ovvio, le cellule in quel modo deperiscono. Vanno conservate in azoto liquido, è un servizio che fanno le banche, a pagamento. Osservo che alcune banche nate per la conservazione dei cordone ombelicali sono fallite, non so con che conseguenze per i clienti.

Che analogie vede?
Ciò che funziona in medicina si applica in maniera travolgente, quello che funziona i medici per primi lo applicano. Nel mondo ogni anno si fanno 3/4mila trapianti con staminali di sangue cordonale, trapianti allogenici. Ci sono vantaggi e svantaggi, vantaggi biologici enormi e lo svantaggio che sono poche cellule. Però per questi trapianti si usano materiali conservati da banche pubbliche, certificati. Quanti campioni conservati per uso autologo sono stati utilizzati? Che sappia io, zero. In Italia ne è stato importato uno soltanto, non per trapianto ma a scopo di ricerca, per verificare se ci fossero già i marcatori di una malattia che si era scoperta in seguito nel bambino. Nessuno medico userebbe quel materiale, di cui non si ha certezza dei controlli e del rigore.

La donazione resta quindi il gold standard?
In Italia sono disponibili 34.500 unità di sangue cordonale tra cui cercare il cordone “giusto”, nel mondo sono 724.007, se un medico ci dice che ha bisogno di un donatore, l’unità giusta si trova. Magari non si arriva al trapianto per altri motivi, ci sono purtroppo mille ragioni, ma non il fatto che non si trovi un donatore. Il fatto è che sulle staminali tutto è ancora in divenire, anche sulle staminali del liquido amniotico si è fatta tanta ricerca ma poi non ci sono stati grossi risultati pratici. La cellula staminale è straordinaria, ma il problema è amplificarla e moltiplicarla senza farle perdere le caratteristiche biologiche di “staminalità”. Ci stanno studiando in tanti, quel che è certo è quello che dicevo all’inizio, non sono i denti da latte l’unica ed esclusiva fonte di queste cellule.

Foto Jorge Barahona/Unsplash


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