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Dino Bettamin: non è eutanasia ma buona assistenza

Aisla e Federeazione Cure Palliative intervengono nel dibattito sollevato dal caso del signor Dino Bettamin, 70 anni, malato di Sla, deceduto nei giorni scorsi in sedazione profonda

di Redazione

Altro che eutanasia, quello di Dino Bettamin, il 70enne malato di Sla che è deceduto in sedazione profonda, è «un caso di buona assistenza, purtroppo raro». Niente eutanasia, niente politica: la storia del signor Dino, macellaio di Montebelluna in provincia di Treviso, malato di Sla da cinque anni, seguito a domicilio dagli infermieri di una società privata di assistenza domiciliare, è stata «un’assistenza di qualità» che non giustifica per nulla la corsa dei media e della politica alla «ricerca di inesistenti affinità tra pratiche differenti tra loro quali la sedazione e l’eutanasia». È questo il giudizio di Aisla-Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica e della Federazione Cure Palliative. Il perché lo spiegano in un comunicato congiunto Luca Moroni, presidente della FCP e Stefania Bastianello, responsabile del Centro Ascolto di AISLA Onlus.

«Dino Bettamin, a fronte di una sofferenza fisica e psicologica intollerabile ha chiesto e ottenuto di essere addormentato attraverso una pratica diffusa come la sedazione palliativa. Dopo pochi giorni il signor Bettamin è morto a causa della malattia, ormai in fase terminale. È estremamente probabile, come evidenzia la letteratura scientifica, che la sedazione e la sospensione dell’alimentazione artificiale non abbiano avuto alcun effetto rilevante e non abbiano contribuito ad abbreviare le aspettative di vita», spiegano. «Dispiace constatare come sia ancora necessario richiamare sul tema le posizioni unanimi degli esperti, del Comitato Nazionale di Bioetica e delle Società Scientifiche: eutanasia e sedazione palliative sono pratiche differenti. La prima, vietata in Italia, ha l’obiettivo di provocare la morte del malato utilizzando farmaci letali, la sedazione palliativa/terminale si prefigge invece di controllare sintomi e condizioni di sofferenza che non rispondono ad altri trattamenti, si usano pertanto farmaci sedativi ad azione reversibile e modulabile, che provocano perdita dello stato di vigilanza».

Ecco allora che – come già avevano affermato i familiari – il caso del signor Dino «deve suscitare attenzione e preoccupazione è perché si tratta di una positiva eccezione: in Italia i malati inguaribili che possono godere delle cure palliative sono ancora molto pochi, nonostante la legge 38 del 2010 abbia sancito il diritto ad essere curati da equipe preparate, a casa o negli hospice, nella maggior parte delle regioni italiane tale diritto rimane un’utopia. I dati più ottimistici dicono che solo il 30% del malati di tumore accede alle cure palliative. Resta esclusa la quasi totalità dei malati affetti da altre patologie (come la Sla) e i pazienti pediatrici».

Occorrono quindi «provvedimenti regionali in grado di garantire che la presa in carico, già in fase precoce della malattia, assicuri la partecipazione del malato alla pianificazione delle cure e la tutela della migliore qualità di vita possibile. Occorre una formazione universitaria e una maggiore informazione ai cittadini. È importante inoltre che il Parlamento approvi una legge equilibrata sulle direttive anticipate e sul consenso informato (l'arrivo in aula della proposta di legge è stato spostato da lunedì 20 a lunedì 27 febbraio, ndr). L’ultima cosa di cui hanno bisogno i malati e le loro famiglie è una disinformazione strumentale e ansiogena che gioca sull’associazione di concetti quali l’eutanasia e le cure palliative: eticamente, giuridicamente, scientificamente tra loro molto lontani».

Foto Olia Gozha/Unsplash


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