Welfare & Lavoro

AriSla: i ricercatori i nostri testimoni di speranza

La Fondazione di Ricerca per la Sclerosi laterale amiotrofica nell'aderire alla Giornata delle malattie rare ha scelto di mettere in primo piano i vincitori dell'ultimo bando di concorso per progetti di ricerca 2016 perché come recita lo slogan della giornata: "COn la ricerca le possibilità sono infinite"

di Antonietta Nembri

Con la ricerca le possibilità sono senza limiti. È questa la traduzione delle slogan scelto a livello internazionale per la Giornata delle malattie rare che come ogni anno si celebra l’ultimo giorno di febbraio. “With research possibilities are limitless” è la scritta che campeggia sul manifesto ufficiale e non sorprende che Fondazione AriSLa – che opera dal 2009 per sostenere l’eccellenza della ricerca scientifica italiana sulla Sla e che ha investito oltre 10,6 milioni di euro in questa attività, supportando 62 progetti e oltre 250 ricercatori tra i quali 90 hanno meno di 40 anni e 136 sono donne – abbia scelto di aderire alla giornata presentando le storie di chi ogni giorno fa ricerca sulla Sla. Per il presidente Alberto Fontana il tema della giornata, la ricerca, «è fonte di speranza. Il nostro sguardo attento al paziente e ai suoi bisogni ci avvicina ancora di più al messaggio scelto quest’anno per il Rare Disease Day: “Con la ricerca le possibilità sono infinite”» afferma Fontana. «Siamo convinti che grazie alla ricerca, effettuata con metodi rigorosi, sia possibile abbattere ogni limite e aprire la porta alla speranza per milioni di persone che vivono in tutto il mondo con una malattia rara».

I protagonisti, il volto umano della ricerca cui AriSla dà voce sono alcuni dei ricercatori che in Italia studiano la Sla: i vincitori dell’ultimo bando di concorso per progetti di ricerca 2016. Si tatta di Fabrizio d’Adda di Fagagna dell’Ifom – The FIRC Institute of Molecular Oncology di Milano, Raffaella Mariotti dell’ Università degli Studi di Verona, Antonia Ratti dell’ Irccs Istituto Auxologico Italiano di Milano, Tania Zaglia del Venetian Institute of Molecular Medicine di Padova, Marta Fumagalli dell’Università degli Studi di Milano, Alessandro Rosa dell’Università “La Sapienza” di Roma.
Sono papà e mamme, accomunati da una profonda passione e dedizione per la scienza. Formati in Italia, hanno vissuto esperienze di dottorato all’estero, chi all’Università di Cambridge – come D’Adda di Fagagana – o al Children's Hospital a Philadelphia – come Antonia Ratti – o ancora alla Rockefeller University di New York (USA), come Alessandro Rosa.

La scelta di diventare un ricercatore per molti è “apparsa chiara sin dal liceo” – come racconta Tania Zaglia – , grazie alla passione trasmessa dal proprio professore di biologia, per altri «era già scritto nel Dna, avendo in famiglia già un medico e un fisico». Per qualcun altro che non crede nei momenti Eureka, è stata una scelta maturata nel tempo e descrive “l’opportunità di stare in laboratorio come stare al Luna Park, senza pagare il biglietto”. C’è chi invece è stato influenzato dalla presenza di persone malate in famiglia. Tra gli incontri che hanno segnato la loro vita o tra i modelli a cui ispirarsi, emerge la figura di Rita Levi Montalcini, esempio di come una vita possa essere completamente dedicata alla ricerca. Qualcuno ne ricorda le frasi e c’è chi ha avuto la fortuna di incontrarla rimanendone colpito profondamente. Per molti altri, gli incontri significativi sono quelli con i propri docenti durante gli studi universitari, che hanno saputo imprimere forti insegnamenti o dare esempi di impegno e costanza per poter raggiungere risultati. Tra le figure citate anche il giapponese Shinya Yamanaka, vincitore del premio Nobel nel 2012 per gli studi sulle cellule staminali, per essere andato oltre il muro di scetticismo della comunità scientifica. A guidarli ogni giorno è la profonda passione per questo lavoro: “Èquesto il motore che mi spinge tutti i giorni. Perché sono più gli insuccessi che i successi che si accumulano quando fai gli esperimenti e se non c’è la passione è difficile continuare’.

L’incontro con la Sla per molti è avvenuto per caso, studiando altri ambiti di ricerca, incuriositi da un puzzle complesso, con l’obiettivo di contribuire ad aggiungere anche un piccolo “tassello alla conoscenza e sviluppare terapie che diano benefici concreti alle persone ammalate”. A colpirli delle persone con Sla è il dramma che vivono ogni giorno, “il fatto di essere lucidi mentalmente”, “di avere tanta voglia di vivere” e allo stesso tempo “di essere imprigionati in un corpo che non controllano”. C’è chi sente “la responsabilità verso queste persone” di trovare le risposte ai loro bisogni e considera il proprio lavoro come una piccola missione, “una sfida che non finisce, ma anzi inizia quando si vince un grant”. Nonostante la vita in laboratorio assorba quasi tutto il tempo a disposizione, i ricercatori riescono a trovare il modo per coltivare le proprie passioni. Tra loro ci sono appassionati di arte figurativa, tanto da avere una grande stampa di un quadro di Jackson Pollock in ufficio. O chi una volta alla settimana prepara la recita scolastica della figlia, indossando i panni della principessa Anna di Frozen. Qualcun altro preferisce sciare o fare lunghe passeggiate, spesso “risolvendo enigmi più che in ufficio”. E chi dagli sport come la pallavolo ha imparato” il valore del gioco di squadra, ma anche della condivisione e dell’aiuto reciproco”.

Il desiderio che accomuna i ricercatori è vedere le proprie scoperte fruibili dalle persone con Sla. Chi vorrebbe vedere il volto di una persona alla quale le ricerche abbiano contribuito a migliore la qualità e l’aspettativa di vita. Qualcun’altro sogna che un giorno una sua scoperta finisca su un libro di testo del primo anno di biologia, “senza il proprio nome vicino”. E c’è chi vorrebbe fare un viaggio lunghissimo per conoscere altre culture e chi per scaramanzia preferisce non svelarlo.

«Per questa giornata speciale nella quale si parla soprattutto di ricerca, abbiamo voluto valorizzare chi la ricerca la fa tutti i giorni con professionalità e dedizione, perché i nostri ricercatori sono per noi testimoni di speranza», conclude Fontanta. «Per noi di AriSla questo significa avere speranza in un futuro senza Sla»


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