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Rari ma tanti e non solo un giorno all’anno

In occasione della Giornata sulle malattie rare Andrea Buzzi, presidente della Fondazione Paracelso, accende i riflettori sui caregiver. «I malati rari tutti insieme sono moltissimi e dietro a ognuno di loro c'è una famiglia che è colpita allo stesso modo»

di Antonietta Nembri

L’ultimo giorno di febbraio è la Giornata delle Malattie Rare. Una data che ogni quattro anni cade il 29, un giorno “raro”. Da dieci anni si accendono i riflettori su malattie che hanno un’incidenza di 5 casi su 10mila persone (la soglia nella Ue è dello 0,05 per cento della popolazione). Quest’anno il tema scelto a livello internazionale è quello della ricerca.

Una aspetto che non si dovrebbe dimenticare è che se per ogni singola patologia le persone colpite sono poche, le malattie rare conosciute e diagnosticate sono invece migliaia (l’Osservatorio malattie rare – Omar parla di 7-8mila) e quindi i malati rari nel loro insieme, “rari” non lo sono poi tanto. Lo sottolinea anche Andrea Buzzi, presidente della Fondazione Paracelso realtà voluta dagli emofilici italiani (l’emofilia è una patologia che rara che in Italia compisce circa 4mila persone, 8mila se si considerano le malattie simili). La fondazione è anche membro di Uniamo – Federazione italiana delle malattie rare. «Partecipiamo a ogni iniziativa di network proprio perché è importante tenere alta l’informazione. Che ci sia una giornata dedicata alle malattie rare è una buona notizia, ma quello che mi chiedo sempre è quale sia l’efficacia e la permanenza di questi eventi una volta spenti i riflettori», confida Buzzi che sottolinea la necessità di «costruire una coscienza collettiva sul problema».

L’aspetto positivo è che si inizia a rendersi conto che «le malattie rare sono moltissime e alla fine ciascuno di noi conosce qualcuno che è affetto da una di queste patologie». C’è però un punto che per Buzzi andrebbe maggiormente sottolineato: «In queste occasioni si danno i numeri e sono impressionanti soprattutto se si pensa che per ogni malato raro, sia che ci siano cinque o cinquemila persone in Italia con quella patologia, sono numeri che andrebbero moltiplicati almeno per due perché accanto al malato c’è una famiglia che è colpita allo stesso modo».

Per il presidente della fondazione Paracelso si dovrebbe iniziare ad approfondire il tema dei caregiver «è il più negletto» insiste. Al centro dell’attenzione per Buzzi non ci deve essere solo la comunicazione della patologia, delle problematiche relative a cure e terapie, ma ci devono essere anche i problemi collaterali: «Pur nel recedere dello stato sociale, il farmaco te lo danno, però l’assistenza, quella ricade spesso sulla famiglia, quando c’è. Tutte le malattie chiudono la persona in un recinto, se poi la malattia è rara e ce l’hanno in pochissimi, per te e per chi ti assiste diventa tutto più difficile», continua. «Per esperienza so che, per esempio, il confronto tra genitori è importantissimo, perché ci sono cose che un clinico non può dire a una mamma allo stesso modo di un’altra mamma».

Tornando al Rare Disease Day Buzzi sottolinea come sia positivo che in questi anni sia cresciuta la consapevolezza, ma occorrerebbe «sensibilizzare ancora di più le istituzioni, soprattutto rispetto ai caregiver e al vasto mondo che vive attorno al malato». A oggi in Italia il ruolo del caregiver familiare, purtropo non è ancora riconosciuto ufficialmente.

In apertura foto di Sebastian Pichler/Unsplash


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