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«Avevo degli sponsor, ma lo school bonus è inutilizzabile»

A Parma alcune aziende volevano acquistare gli strumenti musicali per una band scolastica, ma questa ipotesi non è contemplata dallo school bonus. Le scuole sono sempre più disponibili e interessate al fundraising, alcuni strumenti ormai ci sono, ma sono ancora da rodare. E soprattutto serve più formazione a dirigenti e docenti. Ecco cosa funziona e cosa no

di Sara De Carli

Lo school bonus? «Una buona idea, ma praticamente inutilizzabile». Così Aluisi Tosolini, dirigente scolastico del Liceo musicale Bertolucci di Parma commenta l’ultimo strumento nato per sostenere la scuola con donazioni. Il credito di imposta è previsto dalla legge 107/2015, è operativo da maggio 2016: nei suoi primi sei mesi di vita ha raccolto – i dati sono stati raccolti dal Corriere della Sera e confermati dal Miur – solo 27 donazioni, per 58mila euro complessivi. «Avevamo alcuni sponsor che volevano sostenere la nostra band, aiutandoci con l’acquisto di strumenti e microfoni», racconta il preside, «il primo pensiero è andato allo school bonus, ma dopo alcune verifiche abbiamo rinunciato». Il fatto è che lo school bonus «è troppo vincolante, prevede sole tre aree: costruzione di nuove scuole, ristrutturazioni e manutenzione edilizia, aumento dell’occupabilità. Mixer, casse, strumenti non rientrano. O forse sì, perché potrebbe contribuire all’aumento dell’occupabilità? Ma cosa sarebbe successo se avessimo percorso questa strada e poi le imprese, al momento di chiedere l’agevolazione, si fossero ritrovate davanti a un no? Abbiamo preferito non rischiare, hanno fatto una donazione alla scuola per l’ampliamento dell’offerta formativa, le imprese in questo modo hanno un’agevolazione inferiore a quella prevista dallo schoolbonus, ma siamo sicuri che l’avranno».

Anche un esperto di fundraising come Massimo Coen Cagli, direttore scientifico della Scuola di Roma Fund-Raising.it critica le modalità operative dello school bonus: «per donare alla mia scuola devo donare al Ministero, è qualcosa che contravviene i basilari del fundraising. Io devo avere un rapporto diretto con il donatore, di fiducia, questo meccanismo invece leva protagonismo. Forse sarebbe meglio un 5 per mille alle scuole, che francamente non capisco perché si sia perso e non sia stato mai più sbloccato». Il correttivo introdotto con l’ultima legge di stabilità, quella che allarga lo school bonus anche alle scuole paritarie, prevede infatti che i soldi vengano versati direttamente alle scuole e il Ministero stesso ammette che sta studiando il modo per consentire di fare lo stesso anche per le scuole statali, salvo restando per tutti – statali e paritarie – il versamento di un 10% di quanto ricevuto in favore delle scuole di territori meno ricchi. Anche per Coen Cagli le tre aree individuate sono limitanti: «a parte il tema strutture, c’è solo l’occupabilità: significa allora che le scuole primarie non possono beneficiare dello school bonus? E perché solo strutture e occupazione? Se la scuola ha bisogno di innovazione, perché non allargare a tutto ciò che produrrebbe innovazione?», si chiede. Il terzo punto critico è la comunicazione: «le donazioni arrivano perché si chiedono. È lo stesso problema che c’è con l’art bonus, non si può pensare che siccome c’è una legge e magari uno spot ci sarà la fila di donatori. Le scuole sono state lasciate sole, con questo tema caricato sulle spalle. Bisogna investirci, fare un programma nazionale di formazione, di massa», afferma Coen Cagli. Ad esempio «l’Archivio di Stato inglese prende ogni anno dall’Heritage Lottery Fund 477mila sterline e le investe per accompagnare gli archivi locali al fundraising, io immagino che gli introiti saranno dieci volte maggiori di quanto investito nella formazione».

D’altronde la “fame di formazione” in questo campo c’è e «la scuola nel mondo è nella top 5 delle cause sociali più sostenute». Il fundraising nella scuola ormai non è più un tabù e se tre anni fa, quando la ministra Maria Chiara Carrozza parlò di introdurre detrazioni per le donazioni alle scuole, l’idea sollevò molte polemiche oggi nessuno discute più del “se” ma solo del “come”. «Ripartiamo dal contributo volontario, imparando a chiederlo con professionalità: chiederlo nella sua natura, di donazione volontaria, non come una soprattassa; finalizzarlo, non riversarlo nella gestione ordinaria; prevedere una consultazione dei genitori, una partecipazione; informare e ringraziare. Già oggi stimo che siamo attorno ai 500milioni di euro di donazioni alle scuole, basterebbe poco per arrivare a 800 milioni: il fatto è che finora le scuole non li hanno chiesti».

Per Tosolini invece un’altra leva importante è quella delle Fondazioni, soprattutto bancarie. Anche la sua scuola ha appena avuto un contributo di 50mila euro dalla Fondazione Chiesi, legata alla omonima farmaceutica, per superare il gap di genere nello studio delle materie STEM, alias scientifiche. Tra le fondazioni bancarie, afferma il preside, «il “modello Cuneo” è particolarmente interessante e diverse altre realtà vi si stanno ispirando. La fondazione attraverso il proprio centro studi individua le priorità in cui la scuola dovrebbe impegnarsi, così dopo anni di finanziamento dell’hardware siamo passati da circa tre anni a bandi dettagliati sull’innovazione della didattica». E infine per aiutare i suoi studenti nell’acquisto di uno strumento musicale – cosa ovviamente necessaria in un liceo musicale, ma piuttosto costosa – ci sarebbe anche il “bonus Stradivari”, previsto dalla Legge di Stabilità 2017: «un finanziamento a fondo perduto del 60% del costo dello strumento, fino a un massimo di 2500 euro. L’anno scorso valeva solo per i Conservatori, quest’anno anche per i Licei Musicali e i corsi pre-Afam. Solo che manca ancora la circolare attuativa dell’Agenzia delle Entrate».


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