Politica & Istituzioni

La Commissione Giustizia dice sì alle adozioni per le coppie omosessuali

Approvato il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva avviata esattamente un anno fa. Nelle sue conclusioni la Commissione suggerisce un'unica domanda di adozione, presentata on line, valida in tutta Italia; dice sì all'adozione mite; apre all'adozione da parte di coppie omosessuali. Quanto alle adozioni internazionali, si schiera nettamente in favore dell’Agenzia Italiana per le adozioni internazionali, auspica una riduzione del numero degli enti e una autorizzazione a termine.

di Sara De Carli

Il 7 marzo la Commissione Giustizia della Camera ha aprovato il documento conclusivo della sua indagine conoscitiva sullo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozioni ed affido, avviata il 1 marzo 2016 (qui tutte le audizioni svolte). Il documento approvato è anche in allegato in fondo all'articolo.

«A distanza di trentaquattro anni dall’approvazione della legge fondamentale in materia di adozione ed affido (legge n. 184 del 1983) e di sedici anni dal primo ed unico rilevante intervento modificativo (legge n. 149 del 2001) non è apparsa più rinviabile una attenta verifica da parte del Parlamento delle criticità concernenti l’applicazione concreta di tale normativa vigente, finalizzata ad individuare sia ipotesi di modifiche legislative sia correttivi in ordine alla fase applicativa», scrivono gli onorevoli. «L’indagine conoscitiva, quindi, è stata diretta a verificare se la normativa vigente riesca a garantire effettivamente il predetto diritto, valutando se non sia necessario apportavi modifiche non solo nella parte relativa alla semplificazione del procedimento di adozione, ma anche nella parte in cui sono disciplinati i requisiti richiesti per adottare». Il documento, quasi un centinaio di pagine, fa il punto sulla legge attuale e presenta sinteticamente tutti gli interventi fatti in audizione. La posizione degli enti autorizzati e delle associazioni audite, operanti sia nelle adozioni nazionali sia in quelle internazionali, sono presentate per temi: dati; banca dati dei minori adottabili e delle coppie disponibili all’adozione; costi; procedimento; ruolo dei servizi sociali; affido; ampliamento dei soggetti adottanti. Le associazioni «hanno dunque concordato sulla necessità di una “manutenzione” e di un aggiornamento della normativa attuale per mezzo di alcuni interventi correttivi.

Ma veniamo alle conclusioni a cui è giunta la Commissione Giustizia. «La legge n. 184 del 1983, soprattutto alla luce delle modifiche introdotte dalla legge n. 149 del 2001, è unanimemente considerata una buona legge, la quale, tuttavia deve inevitabilmente tener conto della dinamica evolutiva delle relazioni familiari, che hanno assunto, soprattutto negli ultimi anni, caratteri di incisività e rapidità senza precedenti», esordisce la Commissione. «Gli interventi ancora da attuare riguardano, quindi, soltanto alcune situazioni relazionali che, pur essendo ritenute meritevoli di tutela secondo i principi ricavabili dal sistema delle fonti interne e sovranazionali, non la ricevono espressamente dalla legge».

Ribadendo il “superiore interesse del minore”, la Commissione scrive che gli interventi del legislatore «dovrebbero perseguire prioritariamente l’obiettivo di dare concreta attuazione al richiamato articolo 1 della legge sull’adozione, assicurando che nessun minore sia sottratto alla famiglia solo perché non è in grado di mantenerlo adeguatamente». Altrettanto «necessario è dare attuazione alla citata norma nella parte in cui specificamente prevede la promozione di iniziative di formazione dell’opinione pubblica sull’affidamento, adozione e sostegno delle comunità di tipo familiare: a tal fine – suggerisce la Commissione – potrebbe essere istituita una Giornata Nazionale per l’Adozione». In sostanza comunque, «un’eventuale revisione dell’istituto dell’adozione dovrebbe muovere dal presupposto che il legislatore non sia chiamato a tutelare un preteso diritto alla filiazione, quanto piuttosto il diritto del minore ad una famiglia ovvero a crescere ed essere educato in un ambiente affettivamente idoneo allo sviluppo della sua personalità».

Un’eventuale revisione dell’istituto dell’adozione dovrebbe muovere dal presupposto che il legislatore non sia chiamato a tutelare un preteso diritto alla filiazione, quanto piuttosto il diritto del minore ad una famiglia

Entrando nel dettaglio, ecco in sintesi i punti su cui si sofferma la Commissione Giustizia.

Affidamenti sine die e adozione mite
Una modifica della legge 184 non potrà ignorare gli affidi sine die, «attraverso l’individuazione di soluzioni maggiormente rispondenti al superiore interesse del minore, che consentano di costituire un vincolo di definitiva appartenenza al nucleo familiare degli affidatari. Al riguardo, potrebbe essere introdotto l’istituto dell’adozione “mite”, la cui caratteristica principale risiede nel fatto che il minore adottato non recide del tutto i suo rapporti, giuridici ed affettivi, con la famiglia d’origine». Peraltro oggi, scrive la Commissione la «molteplicità dei modelli familiari rende inadeguata la sola declinazione dell’adozione come legittimante, dalla quale cioè debba necessariamente conseguire, alla stregua di una “seconda nascita”, l’interruzione dei rapporti del minore con il nucleo familiare di provenienza».

Affidamento
In relazione all’istituto dell’affidamento familiare la Commissione segnala, da un lato, la necessità di meglio definire i contenuti del relativo provvedimento, con particolare riguardo ai rapporti del minore con i genitori e dall’altro, di prevedere la possibilità dell’affidatario, in particolari situazioni di rischio, di esprimere il consenso ad interventi chirurgici urgenti.

Rafforzamento delle garanzie processuali in favore del minore
Relativamente al procedimento di adozione, al fine di rafforzare le garanzie in favore del minore, occorre, in primo luogo, introdurre una figura terza ed imparziale, quale un avvocato o un “parenting coordinator”, che ne tuteli gli interessi in ogni fase del procedimento stesso. Conformemente alla prassi già seguita da alcuni tribunali per i minori, occorrerebbe altresì, prevedere l’istituzione obbligatoria di elenchi di difensori d’ufficio, curatori speciali e tutori, in possesso di competenze specifiche e di un’adeguata formazione professionale.
Quanto alla legittimazione a promuovere il procedimento di adozione, attualmente attribuita in via esclusiva al pubblico ministero, la stessa potrebbe essere estesa anche ad altri soggetti in possesso di adeguati e specifici requisiti di competenza ed autorevolezza, quali, a titolo esemplificativo, i garanti regionali dell’infanzia e dell’adolescenza.

Semplificazione e trasparenza delle procedure di adozione
Sensibilmente condivisa è risultata la necessità di semplificare la procedura di adozione, senza tuttavia rinunziare alla tutela giurisdizionale degli interessi coinvolti. Innanzitutto «occorrerebbe stabilire un termine perentorio entro il quale il tribunale deve avviare e concludere le indagini avvalendosi della consulenza dei servizi sociali». L’obiettivo di semplificazione del procedimento di adozione «potrebbe altresì essere perseguito attraverso interventi diretti a garantire la piena operatività della Banca dati dei minori adottabili». Allo stesso scopo, «si segnala l’opportunità di introdurre disposizioni dirette a prevedere la possibilità per le coppie di presentare, on line, un’unica richiesta di adozione, che sia valida su tutto il territorio nazionale». La «selezione informatizzata delle famiglie disponibili all’adozione» inoltre «meglio consentirebbe, rispetto al sistema attuale, il rispetto della garanzia di pari trattamento delle famiglie che aspirano all’adozione». Infine nella fase dell’affidamento di tipo preadottivo, si rileva «la necessità di dotare il minore stesso di un codice fiscale provvisorio, che consenta il pieno e non difficoltoso accesso alle prestazioni sanitarie e dell’INPS».

Rafforzamento dei servizi sociali
È necessario adottare iniziative volte a potenziare gli organici dei servizi sociali e dall’altro, a garantire un costante aggiornamento e un’adeguata formazione professionale del relativo personale, anche in riferimento alla gestione della prima fase, delicata e complessa, riguardante l’allontanamento del minore dal nucleo familiare di provenienza. È altresì necessario garantire uniformi prestazioni degli operatori dei servizi sull’intero territorio nazionale, sia nella formazione dell’aspirante coppia adottiva, sia nella modalità di conduzione delle indagini disposte dai tribunali dei minori, sia con un modello standardizzato delle relazioni dei servizi sociali.

Iniziative di sostegno alle famiglie e riduzione dei costi
Dovrebbero essere messi in atto più incisivi interventi di sostegno alle famiglie, soprattutto quelle che hanno accolto minori con bisogni speciali, che necessitano di particolare assistenza medica, psicologica o socioeducativa. La Commissione suggerisce ad esempio «l’estensione del modello già sperimentato con successo in alcune regioni come Veneto e Toscana. Sarebbe «di indubbia utilità disporre di un’apposita banca dati, funzionale al monitoraggio delle criticità post-adottive». Quanto al piano economico e finanziario «potrebbero essere introdotti, ad esempio, prestiti a tasso zero, già erogati da alcune regioni, oppure essere previste specifiche agevolazioni di carattere fiscale, sotto forma di detrazioni per le spese sostenute nella fase precedente e in quella successiva all’adozione, eventualmente tenendo conto anche del reddito del nucleo familiare».

Interventi in favore dei maggiorenni non adottati
Una riflessione ad hoc riguarda la necessità di garantire un adeguato sostegno, anche economico, in favore dei ragazzi non adottati che a 18 anni escono dagli istituti senza alcuna forma protezione: «potrebbero essere messi in atto interventi diretti a prevedere, in favore di tali, soggetti, misure volte ad agevolare il completamento del percorso di studi e/o l’inserimento nel mondo del lavoro».

Non vi è motivo di precludere l’adozione stessa alle coppie di conviventi, eterosessuali oppure omosessuali, così come alle parti di un’unione civile. Il principale requisito da valutare ai fini dell’adozione dovrebbe essere l’idoneità affettiva della famiglia che si renda disponibile ad accogliere il minore adottando

Requisiti soggettivi per accedere all’adozione
«Il principale requisito da valutare ai fini dell’adozione dovrebbe essere l’idoneità affettiva della famiglia che si renda disponibile ad accogliere il minore adottando», scrive la Commissione: «Non vi è motivo di precludere l’adozione stessa alle coppie di conviventi, eterosessuali oppure omosessuali, così come alle parti di un’unione civile». Infatti «prescindendo dallo specifico status dei soggetti richiedenti, ciò che è da ritenersi prevalente è il superiore interesse del minore e, correlativamente, l’esistenza di una idonea relazione affettiva tra l’adottante e l’adottato, dovendo tali presupposti essere accertati dal giudice, caso per caso, senza alcun automatismo. A tutela del prevalente interesse del minore, ulteriore requisito dovrebbe essere quello di una durata minima della convivenza, quale indice della stabilità del nucleo familiare destinato ad accogliere l’adottando». E ancora oltre «la salvaguardia del fondamentale diritto del minore a non vedere ingiustificatamente recisi i propri fondamentali legami esistenziali, porterebbe a dover riconsiderare i casi in cui l’affidamento possa convertirsi in adozione piena, anche nelle ipotesi in cui soggetti affidatari siano una persona singola oppure una coppia stabilmente convivente, etero oppure omosessuale». Un’altra osservazione della Commissione riguarda la differenza di età oggi stabilita fra adottante e adottato: si suggerisce «l’opportunità di rimodulare in termini meno restrittivi tali requisiti».

Adozioni internazionali
La Commissione si schiera nettamente in favore della nascita dell’Agenzia Italiana per le adozioni internazionali, oggetto di una proposta di legge della onorevole Anna Rossomando (Pd), «nella prospettiva di rafforzare le sinergie tra l’Autorità giudiziaria, le Amministrazioni regionali e i servizi territoriali e di assicurare la necessaria omogeneità agli interventi in favore delle famiglie»: «tale ente, con carattere nazionale, dovrebbe essere chiamato a svolgere essenzialmente funzioni di intermediazione e coordinamento tra l’amministrazione dello Stato e delle regioni, al fine di garantire ai cittadini, unitamente agli enti autorizzati privati, alle associazioni familiari e alle organizzazioni di volontariato, un servizio pubblico volto a tutelare i diritti dei minori e a contrastarne l’abbandono, nonché a rispondere adeguatamente al desiderio di genitorialità delle famiglie».

La Commissione suggerisce anche una riduzione del numero degli enti autorizzati: «si potrebbe valutare l’ipotesi di prevedere forme di coordinamento e di aggregazione tra i predetti enti, anche allo scopo di garantirne la massima trasparenza. Potrebbe altresì essere valutata la possibilità di prevedere uno specifico termine di durata dell’autorizzazione rilasciata agli enti privati, da sottoporre a periodiche verifiche. Potrebbero essere introdotte disposizioni volte a prevedere l’obbligo di certificazione annuale dei bilanci da parte di un revisore dei conti, nonché quello di adottare più chiari criteri di accesso alle informazioni, anche contabili, riguardanti la procedura adottiva. Allo stesso scopo, potrebbe essere previsto l’obbligo di predisporre liste d’attesa facilmente consultabili, chiare ed aggiornate in relazione alle varie fasi della procedura. Nell’ipotesi, inoltre, in cui l’ente, per circostanze non imputabili al suo operato, non sia in grado di portare a termine la procedura adottiva, così come in caso di revoca dell’autorizzazione da parte della CAI, dovrebbe essere introdotta una specifica procedura di “salvaguardia”, consentendo ai richiedenti l’adozione di essere presi in carico da un altro ente, senza ricominciare ex novo il relativo iter».

Quanto alla CAI è necessario «avviare una riflessione sugli attuali criteri di organizzazione e composizione del detto organismo», con una riduzione del numero dei suoi componenti e la richiesta di una «comprovata esperienza e di una specifica professionalità nel settore delle adozioni internazionali». Nell’ottica di una più efficace collaborazione ed integrazione funzionale tra la CAI ed il Ministero degli affari esteri potrebbe essere designato, presso ogni ufficio delle rappresentanze italiane nei Paesi aderenti alla Convenzione dell’Aja, o che abbiano stipulato con l’Italia accordi bilaterali in materia di adozioni internazionali, uno specifico funzionario quale «referente per le attività di adozione internazionale».

In ottica di semplificazione delle procedure, si suggerisce che nelle adozioni in Paesi aderenti alla Convenzione dell’Aja il provvedimento dell’autorità straniera potrebbe essere inviato direttamente all’ufficiale di stato civile per la trascrizione, mentre servirebbe introdurre una disciplina specifica per il riconoscimento in Italia delle adozioni pronunciate dalla competenti autorità di un Paese straniero in favore di cittadini italiani residenti all’estero, in particolare, nei Paesi islamici.

Foto Timon Studler/Unsplash


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