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Disoccupazione giovanile? Gli ITS rispondono ma serve un’agenda per farli crescere

Più dell'80% dei loro diplomati lavora. Alle Fondazioni che li gestiscono partecipano oltre 5mila imprese, che risolvono il mismatching fra le competenze di cui hanno bisogno e la formazione dei ragazzi. Gli Istituti Tecnici Superiori esistono solo da cinque anni ma si sono rivelati una risposta efficace. Ora però serve pluriennale di crescita che punti a triplicare i fondi, non per aumentare le fondazioni ma per aumentare i corsi.

di Sara De Carli

In Italia solo la metà dei diplomati (il 50,3%) si iscrive all’università. L’altra metà – che in buona proviene dalle scuole tecniche e professionali – rischia spesso di cadere nelle fila dei Neet e dei disoccupati: in Italia sappiano che il tasso di disoccupazione giovanile è da allarme rosso, poco meno del 40%, contro il 7% della Germania: sono quasi 2 milioni di giovani.

Molti di loro potrebbero accedere ad una formazione terziaria non universitaria, a cui oggi in Italia è iscritto solo lo 0,2% degli studenti, contro un 11% della media OCSE. È una realtà che esiste dal 2011: sono gli ITS-Istituti Tecnici Superiori e nella loro relativamente breve vita hanno già dimostrato, numeri alla mano, di essere una risposta concreta per la formazione e l’occupazione dei giovani: oltre l’80% dei diplomati ITS infatti trova un’occupazione al termine degli studi. Perché allora a godere di questa opportunità formativa devono essere soltanto 9mila ragazzi in Italia? Perché non far crescere gli ITS?

Per rispondere a questa sfida, nasce l’Agenda per la crescita degli ITS, che viene presentata oggi alla Camera dei Deputati, con Gabriele Toccafondi, sottosegretario del MIUR, Luigi Bobba, sottosegretario del Ministero del Lavoro e le conclusioni della ministra Valeria Fedeli. Alessandro Mele, Segretario Generale della Fondazione IATH di Cernobbio, è il coordinatore della Cabina di Regia del Sistema ITS e per spiegare le loro richieste, parte dai numeri: «L’iniziativa di oggi ha per slogan “la parola ai fatti”. È un fatto che a 12 mesi dal diploma gli risultino occupati l’81,1% dei diplomati ITS e il 4,6% sia iscritto all’università. Ed è un fatto che questa realtà si sia dimostrata capace di rispondere all’annoso problema del mismatching fra domanda e offerta: gli ITS hanno una governance partecipata di cui fanno parte le imprese (gli ITS sono gestiti da fondazioni di partecipazione cui partecipano imprese, università e centri di ricerca scientifica e tecnologica, enti locali, scuole, ndr), il 65% dei docenti proviene dal mondo del lavoro, c’è reale co-progettazione dei percorsi, le classi sono piccole, c’è flessibilità dei percorsi formativi e una indubbia maturità dell’integrazione scuola-impresa», afferma Mele, «sono insomma il primo modello formativo di successo in Italia fortemente integrato con le imprese, peraltro con un costo per allievo inferiore al costo di formazione delle altre agenzie educative».

Pasqualino Caniglia ha frequentato un ITS Nuove Tecnologie per il Made in Italy – Sistema Meccanica: ne ha sentito parlare al tg. Aveva già un diploma di perito commerciale e un paio di anni di lavoro alle spalle quando ci si è iscritto. Oggi lavora in Honda Moto: oltre allo studio ha fatto la differenza il tirocinio in azienda, dove ha avuto l’opportunità di far notare le sue potenzialità e la sua voglia fare. Subito dopo il diploma è arrivato il contratto di apprendistato, già con un incarico nella sezione engeneering per l’industrializzazione dei nuovi modelli: è nell’assemblaggio moto e telaio ed efficientamento dei processi produttivi ormai da due anni. «È un lavoro ogni giorno nuovo, di grande soddisfazione, perché c’è sempre qualcosa da imparare e da scoprire», dice. Daniela Vinci invece è amministratore delegato della Masmec Spa, un’azienda pugliese che realizza macchine e sistemi automatici per assemblaggi e collaudi di componenti, destinati principalmente ai settori dell'automotive e del fluid power. La Masmec – ha spiegato – «è socio fondatore dell’ITS meccatronica Apulia dal 2011 e ha assunto ad oggi il 100% dei ragazzi che ha ospitato in tirocini formativi per circa 1.000 ore in azienda ed ha integrato, tra i nuovi assunti, anche ragazzi che hanno svolto le proprie esperienze in altre aziende. Ad oggi lavorano in Masmec 15 ragazzi provenienti dall’ITS oltre ai 4 stagisti che si diplomeranno a luglio 2017, per i quali l’azienda ha già segnalato il proprio interesse».

Se quindi gli ITS sono una esperienza di successo e se stanno nei fatti rispondendo almeno a tre emergenze attuali – la disoccupazione giovanile, la carenza di tecnici specializzati e la preparazione alla 4° rivoluzione industriale – è il momento di dargli impulso, con un piano pluriennale per sviluppare il sistema, per far crescere i giovani e per far crescere l’Italia. «Servono più risorse, siamo partiti cinque anni fa con 13 milioni di euro per 50 fondazioni ITS, oggi le fondazioni sono 93, su dieci settori, con 1.842 partner complessivi e 5.808 imprese coinvolte: il fondo è sempre a 13 milioni», spiega Mele: «serve un piano pluriennale di crescita che punti a triplicare i fondi, non per aumentare le fondazioni ma per aumentare i corsi».

Il tema infatti non è quello della capillarità, ma della qualità: «se c’è qualità gli studenti si spostano, come per l’università. Molti ITS già hanno studenti non solo da fuori regione ma dall’estero, alcune fanno i corsi interamente in inglese, sei hanno appena concluso una sperimentazione sull’industria 4.0 che farà da modello: c’è una grandissima vivacità, malgrado i soli cinque anno di storia», continua Mele. L’altro investimento da fare è quello della comunicazione, troppo pochi ancora sono quelli che conoscono l'esistenza degli ITS. E poi? «La crescita è senza dubbio una urgenza per il nostro Paese, serve un’alleanza strategica con le imprese, un ascolto da parte di tutti i ministeri competenti (Miur, Mise, Mef e Lavoro) e una collaborazione stretta con le Regioni», conclude Mele.


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