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Economia & Impresa sociale 

La solidarietà non va in vacanza: i pionieri delle ferie solidali

Ecco quali sono le aziende che per prime in Italia hanno aderito alla legge Mathys introdotta attraverso il Jobs Act. L’inchiesta sul numero del magazine in distribuzione

di Francesco Dente

Gli ultimi a dare il via libera alle ferie solidali sono stati i metalmeccanici. Lo hanno messo nero su bianco nel contratto collettivo di categoria che hanno rinnovato a fine novembre. D’ora in poi anche le tute blu potranno cedere ai colleghi che hanno necessità i giorni di ferie aggiuntivi, in più cioè rispetto alle quattro canoniche settimane di riposo. Prima di loro, a luglio di un anno fa, li avevano preceduti i metalmeccanici della piccola e media industria e, a ottobre di due anni fa, primi in assoluto, le parti sociali che avevano sottoscritto la piattaforma dei lavoratori dell’industria chimica e farmaceutica. Chimici e metalmeccanici sono dunque i pionieri della “legge Mathys”. I primi che sperimentano la versione italiana della legge francese emanata nel 2014 e ispirata alla storia del bambino di dieci anni ammalato di tumore che il papà Christophe era riuscito ad assistere fino alla fine grazie alla solidarietà dei compagni di lavoro dello stabilimento Badoit di Saint-Galmier. La misura comincia a ritagliarsi uno spazio sempre più ampio nei contratti collettivi anche in Italia.

I contratti integrativi

Il decreto legislativo 151/2015 (licenziato in attuazione del Jobs Act, legge 183/2014), prevede che i dipendenti possano cedere ai compagni di lavoro a titolo gratuito i riposi e le ferie maturate, unicamente al fine di consentire di assistere «i figli minori che per le particolari condizioni di salute necessitano di cure costanti». Solo i figli più piccoli. Non dunque per le cure dello stesso dipendente o dei parenti. Una prescrizione di dubbia costituzionalità. Perché infatti un figlio minorenne sì e uno maggiorenne no? Ebbene i contratti collettivi di categoria, ma anche quelli aziendali, stanno allargando la casistica sia dei soggetti beneficiari sia delle causali. Laddove non c’è infatti un contratto collettivo di settore, le ferie solidali possono essere previste direttamente attraverso il contratto di secondo livello, il cosiddetto “integrativo”. Non è un caso del resto se il primo episodio di ferie solidali, avvenuto nel 2013 quando il Jobs non era stato ancora approvato, riguardò proprio una autista dell’azienda di trasporto pubblico toscana Ctt Nord che ricevette in dono un giorno di ferie da ognuno dei 250 colleghi per curarsi. A voler essere precisi, anzi, sono stati proprio i contratti integrativi i primi accordi che hanno introdotto l’istituto. Poi sono venuti quelli di categoria. È il caso, oltre che della Cct Nord, dell’azienda abruzzese di trasporto Arpa, di Bus-Italia del Gruppo Ferrovie dello Stato, e dell’azienda tessile marchigiana Lardini. Queste imprese si sono mosse già a inizio 2015 quando non c’era ancora la norma nazionale. Il contratto della Lardini, ad esempio, stabilisce che il meccanismo di solidarietà possa essere attivato in favore dello stesso lavorato- re per «gravi e comprovati motivi documentabili». Non solo dunque per assistere i figli e per ragioni di salute. Sulla stessa lunghezza d’onda si muovono gli integrativi di Bus-Italia, che prende in considerazione l’assistenza ai familiari di primo grado conviventi del dipendente, e del Gruppo bancario Intesa-Sanpaolo, che include i dipendenti titolari di permessi per disabilità grave (sia per sé che per figli e/o per il coniuge), quelli che siano destinatari della provvidenza economica per familiari disabili e, infine, quelli che abbiano una «grave ed indifferibile necessità di assentarsi a fronte di eventi urgenti/eccezionali che esauriscano ogni altra causale di assenza a disposizione».

I quattro step
Ma come funziona? In linea di massima, questo è quanto si ricava spulciando i contratti, i passaggi sono quattro. Primo: il lavoratore che ha esaurito le ferie e i permessi a disposizione chiede all’azienda di avviare la procedura di sostegno da par- te dei colleghi. Secondo: l’azienda verifica la certificazione sanitaria (rilasciata da strutture pubbliche). Terzo: l’azienda informa i lavoratori con una comunicazione pubblicata di solito in bacheca. Quarto: l’impresa concede le ferie solidali. È bene precisare che sia la domanda sia l’adesione sono anonime. I colleghi dunque non sanno a chi donano e chi riceve non sa da chi ha avuto. Formalmente.

Non è escluso infatti che nelle piccole aziende si conoscano la persona che chiude aiuto e il motivo della richiesta. Bus-Italia, invece, prevede che la domanda possa essere avanzata non solo dal dipendente ma anche dai rappresentanti sindacali. «Il lavoratore infatti a volte potrebbe avere delle remore», spiega Claudio Terzi, direttore delle Risorse umane. Gli accordi de- terminano anche il tetto massimo alla fruizione dei permessi: 520 ore per i metalmeccanici della piccola industria, 15 giorni annui pro-capite (derogabili per specifiche esigenze) per In- tesa Sanpaolo, 30 giorni per richiesta (ripetibile) per l’Enea e l’Agenzia spaziale italiana (Asi). I due enti di ricerca hanno fissato anche il numero massimo di giorni che il singolo dipendente può cedere: sei.

I criteri di assegnazione

Altra questione delicata riguarda il criterio di distribuzione delle ferie fra più richiedenti. Si va dal criterio della proporzionalità adottato dall’Enea a quello dell’ordine cronologico di Intesa Sanpaolo. Le due soluzioni più diffuse sono infatti la costituzione di un monte ore per singolo caso o di un monte ore complessivo al quale attingere di volta in volta. Bus-Italia, 4mila dipendenti, ha optato per la prima ipotesi. «Se chiedessimo al personale di donare ferie per costituire un monte generale forse non ci sarebbe una adesione massiccia. Viceversa può avere più effetto quando emerge la specifica necessità perché si sa che la motivazione è reale. Inoltre, si porrebbero problemi fiscali su come gestire le ferie donate e non utilizzate che per legge devono essere godute nei 18 mesi successivi alla maturazione», osserva Terzi. Altro punto delicato è la gestione delle ore donate in più rispetto a quelle richieste. Un caso niente affatto improbabile.

«I dipendenti della Lardi- ni sono stati così generosi da donare più del necessario in modo da consentire alla loro collega malata di traguarda- re il periodo che la separa- va dalla pensione», racconta Mimmo Sciore del sindaca- to marchigiano Femca Cisl. Che fare? Restituire le ore non utilizzate? L’Agenzia spaziale, ad esempio, prevede che le ore acquisite restino comunque nella disponibilità del richiedente. Intesa San Paolo invece ha previsto un bacino annua- le di ore, chiamato “Banca del Tempo”, che è alimenta- to dai dipendenti che aderiscono all’iniziativa e dalle stesse aziende del Gruppo.

L’anno scorso (ma l’iniziativa di fatto è partita a maggio) grazie alle 8.078 ore donate dai bancari, e raddoppiate dall’azienda, sono stati riconosciute più di 2mila giornate di permessi retribuiti a colleghi con difficoltà personali o familiari. Intesa Sanpaolo incrementa infatti il monte ore in misura pari alle donazioni dei dipendenti, fino a un massimo di 100mila. «Un risultato nulla scontato se si considera, da un lato che un po’ tutti siamo sempre attenti a farci i conti dei giorni di ferie e dei per- messi e dall’altro, soprattutto, che in questo caso la solidarietà è rivolta a persone sconosciute, sebbene dello stesso Gruppo», fa notare Antonella De Marchi, dell’Ufficio Relazioni Industriali.


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