Welfare & Lavoro

Povertà, a giorni il decreto che porterà il Sia a 400mila famiglie

Sono 80mila le domande ad oggi accettate per il Sostegno per l'Inclusione Attiva. Altrettante sono state respinte perché pur in presenza di un Isee sotto i 3mila euro mancavano i 45 punti necessari. Un decreto imminente abbassa la soglia a 25 punti. Un'intervista a tutto tondo con Raffaele Tangorra, direttore generale al Ministero delle Politiche Sociali, fra Sia, Rei e la surreale vicenda dei tagli ai fondi sociali

di Sara De Carli

Un mese fa, il 9 marzo, l’Assemblea del Senato approvava il ddl di delega sulla povertà, dando all’Italia una legge che istituisce per la prima volta una misura nazionale contro la povertà assoluta. Presente a tutti era l’urgenza di dare risposte a 4,6 milioni di persone che in Italia sono sotto la soglia della povertà assoluta, di cui 1,1 milioni sono bambini. Il ministro Giuliano Poletti disse che «siamo già molto avanti con la preparazione dei provvedimenti attuativi della legge, che intendiamo sintetizzare in un unico decreto legislativo, in modo da ottimizzare i tempi, rendendo operativo l'esercizio della delega prima dei sei mesi previsti, per dare risposta quanto prima ai cittadini in difficoltà». Ne parliamo con Raffaele Tangorra, direttore generale per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero.

A che punto siamo con il decreto attuativo per il Reddito di inclusione e per il Piano contro la POvertà, che sembrava dovesse arrivare ben prima dei sei mesi previsti dalla legge?
I lavori di definizione del provvedimento sono in uno stato avanzato, a breve ci sarà una comunicazione del Governo per dire lo stato dell’arte. Quel che è certo è che faremo prima dei sei mesi previsti dalla delega e già sei mesi sono un periodo breve rispetto al solito. C’è la volontà di essere rapidi. Abbiamo già avviato interlocuzioni a tutti i livelli, in particolare il ministro Poletti ha già incontrato le Regioni e Anci per illustrare le lienee generali lungo cui intendiamo muoverci. Abbiamo incontrato gli stakeholder, in particolare l’Alleanza contro la povertà e ovviamente teniamo informati i parlamentati: sul provvedimento dovranno esprimersi sia la Conferenza unificata sia il Parlamento, è evidente che valeva la pena raccogliere fin da subito le osservazioni, il confronto che facciamo ora consentirà di accorciare i tempi dopo.

I lavori di definizione del provvedimento sono in uno stato avanzato, a breve ci sarà una comunicazione del Governo per dire lo stato dell’arte. Quel che è certo è che faremo prima dei sei mesi previsti dalla delega

L’aspettativa dal decreto delegato è che vada senza ombra di dubbio nella direzione di realizzare un effettivo universalismo della prestazione e che si rafforzino i servizi. Quanto contano questi paletti?
L’universalità è in realtà il disegno dinamico della misura. È un punto importante da chiarire. Il REI è una misura universale a tendere, nel senso che l’obiettivo della legge delega è certamente quello di dare uno strumento universale, nel senso che si rivolge a tutte le persone in condizione di povertà come è definita dal provvedimento, è l’universalismo selettivo come introdotto dalla Commissione Onofri alla fine degli anni ’90. Questa è la volontà. Cosa si fa per raggiungere questo obiettivo? Si mette in campo uno strumento dinamico e flessibile di progressiva estensione dei benefici e dei beneficiari, in riferimento a risorse che arriveranno dopo. In sede di prima applicazione il decreto attuativo quindi definisce beneficiari e benefici, la progressione poi sta nel Piano Povertà e il piano non può che essere definito nel tempo. L’importante è avere uno strumento flessibile che ci permette di fare i vari passi, non servirà una nuova legge se aumenteranno le risorse. Insomma, la delega dice il traguardo, il punto di partenza e il percorso, la concretizzazione necessita triennio per triennio di risorse, saranno queste a definire le tappe.

L’altro punto è il rafforzamento dei servizi. Il Presidente del Consiglio nazionale degli assistenti sociali ci ha detto che c’è una Regione in Italia che ha un assistente sociale ogni 14mila abitanti: come fa questa persona a seguire tutto? Come è possibile attuare davvero i progetti personalizzati in una situazione del genere?
Proprio ieri ho firmato il decreto di approvazione di molti progetti presentati dai Comuni ai sensi del PON Inclusione. Sono 129 progetti e con i due scaglioni di progetti già approvati arriviamo complessivamente a 357 ambiti territoriali su 596 che hanno già il progetto approvato. Abbiamo fatto tutto il Centro Nord e il Mezzogiorno fino alla scadenza del 30 dicembre, mancano gli ultimi progetti inviati dal Mezzogiorno e alcuni per cui abbiamo richiesto integrazioni. Possiamo dire che gli ambiti sono tutti prossimi a ricevere il finanziamento, entro fine mese tutti sapranno i progetti approvati. Quello dei servizi è un tema fondamentale in questa partita, perché il sostegno economico è necessario ma non sufficiente quando hai di fronte una vulnerabilità e una complessità del bisogno, la vera scommessa si gioca nei servizi territoriali: stiamo mettendoci mezzo miliardo di euro per un triennio, con la specifica destinazione per le persone in povertà, credo siano risorse che i servizi territoriali non hanno mai visto. E in più ci saranno 600 operatori per i Centri per l’impiego che a breve permetteremo di assumere, che saranno esclusivamente dedicati alla presa in carico dei beneficiari del SIA ora e del REI dopo.

Proprio ieri ho firmato il decreto di approvazione di molti progetti presentati dai Comuni ai sensi del PON Inclusione. Sono 129 progetti e con i due scaglioni di progetti già approvati arriviamo complessivamente a 357 ambiti territoriali su 596 che hanno già il progetto approvato. Stiamo mettendoci mezzo miliardo di euro per un triennio, con la specifica destinazione per le persone in povertà, sono risorse che i servizi territoriali non hanno mai visto. In più ci saranno 600 operatori per i Centri per l’impiego che saranno esclusivamente dedicati alla presa in carico dei beneficiari del SIA ora e del REI dopo.

In attesa del REI infatti c’è il SIA e Poletti aveva anche su questo annunciato un decreto «che a breve amplierà la platea dei beneficiari del SIA grazie alla maggiore disponibilità di risorse (oltre 1,6 miliardi di euro per il 2017)». Quando arriverà?
A giorni, le direi ad horas per l’ansia con cui lo attendiamo. Il decreto è stato firmato il 16 marzo dai ministri Poletti e Padoan ed ora è alla registrazione alla Corte dei Conti. Anche considerando tutti i trenta giorni previsti dai termini, entro settimana prossima il decreto arriverà.

Con quali novità?
Estendiamo notevolmente la platea dei beneficiari, abbassando il punteggio relativo alla valutazione multidimensionale del bisogno. Oggi per accedere al SIA il nucleo familiare del richiedente dovrà ottenere un punteggio relativo alla valutazione multidimensionale del bisogno uguale o superiore a 45 punti, con il decreto lo abbiamo abbassato a 25. Significa che gran parte delle famiglie con Isee sotto i 3mila euro, che è il requisito economico previsto, e con le caratteristiche di composizione della famiglia descritte (la presenza di minori in famiglia o un disabile o una donna in gravidanza) potranno ora accedere al beneficio. Un Isee zero infatti dà di per sé 25 punti ad esempio, le famiglie monogenitoriali anche, due genitori entrambi disoccupati sono 10 punti…

Quante famiglie potranno accedere al beneficio quindi?
Secondo le informazioni a noi disponibili, ovvero considerando chi ha già fatto un Isee, più di 400mila famiglie. Naturalmente le prime saranno le famiglie che hanno già fatto domanda per il SIA e non hanno visto la loro domanda accettata solo perché non avevano i 45 punti necessari, queste persone saranno contattate direttamente dall’Inps e sono all’incirca altrettante delle domande accolte, ovvero intorno alle 80mila. Potenzialmente potremmo anche arrivare oltre i 400mila, ma c’è il tema che in letteratura si chiama “take-up”: cioè non tutte le persone che avrebbero diritto al beneficio fanno domanda per averlo.

Forse non lo sanno.
Indiscutibilmente il SIA è un elemento di novità, noi abbiamo fatto una comunicazione istituzionale e molti incontri, ma la misura è ancora poco nota. Faremo anche una nuova campagna mediatica istituzionale per rendere lo strumento più noto agli italiani, ma c’è la necessità di far passare un messaggio che è un cambio culturale. L’assenza di strumenti per questa fascia di fragilità ha fatto sì che la persone in difficoltà economiche non si rivolgessero ai servizi per chiedere un aiuto, questa che abbiamo avviato è una piccola rivoluzione. La persona che ha bisogno, che ha una fragilità, deve poter contare su chi nella comunità dovrebbe farsi carico del suo bisogno, è questo il principio fondamentale.

Dopo i primi sei mesi, il SIA come sta andando?
Sui numeri le ho detto, abbiamo accolto circa 80mila domande. Abbiamo fatto alcuni tavoli con le grandi città, l’impressione è positiva soprattutto dal punto di vista di cosa si sta mettendo in moto, ci dicono che nei servizi si avverte un cambio di passo nel modo in cui i servizi approcciano la povertà e le persone. Sicuramente c’è da fare molto lavoro, io parlo sempre di un “cantiere”: non credo che si possa immaginare di avere da subito tutto che funziona e tutte le soluzioni ai problemi che emergono. L’approccio che vogliamo dare ai servizi nel Paese è quello della progettazione personalizzata degli interventi, una progettazione che guarda al nucleo famigliare nella sua complessità e anche nelle diverse dimensioni del benessere, guarda i funzionamenti, l’interazione con l’ambiente, guarda le risorse e le barriere, le fragilità e i punti di forza. Lo schema vale per la povertà, il dopo di noi, la disabilità… in sintesi è una valutazione multidimensionale, una equipe multidisciplinare, un progetto personalizzato, un budget di progetto, un case manager. Tutti principi contenuti in nuce nella 328 ma che non hanno trovato ancora piena realizzazione. Questa partita si sta mettendo in movimento, speriamo davvero che i segnali che arrivano in via sperimentale dal SIA e che poi diventeranno livelli essenziali con il REI possano generare quel cambiamento nei servizi che è atteso da anni.

Che problemi ci sono invece?
Ci sono difficoltà oggettive, senza dubbio. La maggiore difficoltà che ci viene riportata è l’interlocuzione con i centri per l’impiego. Diciamo che per anni abbiamo lavorato sull’integrazione sociosanitaria, forse abbiamo lavorato poco sull’integrazione sociolavorativa. Non dappertutto, ad esempio l’Emilia Romagna ha una legge sull’integrazione sociosanitarialavorativa, del 2015, però a livello di Paese non è una pratica diffusa nei servizi quella della presa in carico condivisa fra servizi sociali e servizi per il lavoro. Questa però dopo tanti anni di crisi è una delle sfide del futuro e qui i 600 operatori in arrivo dovrebbero dare un bel contributo al cambiamento. Ci sono anche difficoltà di carattere generale, in alcuni territori sappiamo che c’è difficoltà a fare progettazione… In realtà per chi ha fatto domanda subito a settembre e ha ricevuto il primo beneficio a novembre c’era tempo fino a fine marzo per fare i progetti, quindi non abbiamo ancora riscontri diretti sulle progettazione, è un’impressione che viene da alcune mail e telefonate arrivate e comunque sappiamo che una difficoltà in questo senso in alcuni ambiti c’è. Qui sarà fondamentale il contributo del PON inclusione.

Un'ultima domanda riguarda la vicenda dei tagli ai fondi sociali. Intanto siamo sicuri che la soluzione è stata trovata?
Sì, è stato chiuso un accordo in questo senso. Nel riparto del fondo per la non autosufficienza le Regioni si impegnano a reintegrare con proprie risorse una quota pari a 50 milioni di euro:; significa che nel decreto di riparto una quota per ciascuna regione verrà dal bilancio dello Stato e una quota – quantificata in maniera tale che faccia complessivamente 50 milioni – che viene dal bilancio regionale. Sul Fondo per le Politiche Sociali l’impegno del Ministero c’è e le risorse pure, però si sta ancora cercando il veicolo: qui ci vuole una norma di legge.

Di fatto significa che il Governo troverà duecento e più milioni per ripristinare il Fondo, in più rispetto ai 311 già stanziati?
Di fatto sì. Altri 212 milioni per l’esattezza.

Sul Fondo per le Politiche Sociali l’impegno del Ministero c’è e le risorse pure, 212 milioni di euro, però si sta ancora cercando il veicolo: qui ci vuole una norma di legge. È una situazione che noi abbiamo subito, il ministro Poletti si era fatto parte attiva per portare a 500 milioni il fondo. Saremo in grado di metterci una pezza, certamente però questa vicenda ha messo in evidenza un tema generale che riguarda la strutturalità dei fondi: dobbiamo metterli al riparo da questi incidenti di percorso, cioè dobbiamo definire i livelli essenziali delle prestazioni.

Da fuori è stata una vicenda surreale. Come è stato possibile?
Anche qui bisogna chiarire. La legge di Stabilità 2016 stabiliva un contributo per la finanza pubblica a carico delle Regioni. In questo orizzonte erano stati fissati degli obiettivi a carico dei bilanci regionali e in assenza di copertura da parte delle Regioni di quel contributo, con Intesa, parte del contributo poteva essere “scaricato” sui trasferimenti dallo Stato alle Regioni. In sostanza le Regioni avrebbero compensato il minor taglio con un minore trasferimento. Questo diceva la norma. Le Regioni hanno detto che i tagli indicati per loro erano insostenibili e che per forza di cose hanno dovuto rinunciare ai trasferimenti. Il problema è che i trasferimenti più grossi dallo Stato alle Regioni sono quelli sul sociale. Tolta la sanità, direi anzi che sono quasi tutti sociali fatta eccezione per l’edilizia scolastica, i libri di testo, alcune cose legate all’agricoltura… È una situazione che noi abbiamo subito, è evidente, il ministro Poletti si era fatto parte attiva per portare a 500 milioni il fondo. Da subito ci siamo prodigati per trovare una soluzione, saremo in grado di metterci una pezza. Certamente questa vicenda ha messo in evidenza un tema generale, della strutturalità dei fondi.

Cioè?
Dall’anno scorso questi fondi sono strutturali e in quanto tali noi riteniamo che debbano finalmente fare il mestiere per cui sono nati, ovvero per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni. Finché non erano fondi strutturali non potevano permettere la definizione dei livelli essenziali, oggi sì. Però dobbiamo metterli al riparo da questi incidenti di percorso, cioè dobbiamo definire i livelli essenziali. Questo è percorso su cui ci siamo messi. Certo, c’è una fase di transizione, perché quei fondi venivano usati diversamente fra loro da parte delle Regioni e modificarne le finalità, rendendole uguali in tutta Italia comporta dei sacrifici rispetto a quello che si faceva prima, è necessaria una transizione. Ecco, la transizione poteva essere più ordinata se non avessimo avuto questo incidente di percorso.

Dopo l’incontro risolutivo fra Gentiloni e Bonaccini si è parlato anche di 37 milioni di euro per il trasporto degli alunni disabili. Sono i soldi che mancano fra i 75 milioni stanziati in legge di stabilità e i 112 di spesa media sostenuta nel triennio 2012-2014 documentata dalle Regioni.
Credo che le Regioni ne abbiano parlato all’incontro con il Presidente Gentiloni e abbiano avuto rassicurazioni in tal senso, però non riguarda questo Ministero.

Foto copertina Ornella Binni / Unsplash


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