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M5S, più che democrazia interna serve un programma preciso

L’economista Leonardo Becchetti, di fronte alle ultime vicende del Movimento di Beppe Grillo, pensa che serva chiarezza «su quale sia il programma e quali le radici culturali. Questi sono i problemi di oggi. Quello della democrazia interna invece è solo una questione di orizzonte»

di Lorenzo Maria Alvaro

«Grillo non ha potere di intervento sulle candidature locali». È questa la novità politica sancita dal Tribunale di Genova sul caso Marika Cassimatis. L’attivista aveva vinto le selezioni comunarie per la poltrona di sindaco di Genova. Poi l’intervento di Beppe Grillo l’aveva esclusa scegliendo al suo posto Luca Pirondini. La Cassimatis però ha fatto ricorso e ha vinto. Grillo non è più il padre padrone del Movimento. Un cambiamento di scenario che, in vista delle elezioni nazionali, potrà avere molto peso. Il M5S è l’unico vero avversario del Partito Democratico. Ne abbiamo parlato con l’economista Leonardo Becchetti.


Il Movimento 5 Stelle è uno dei principali partiti del Paese. Recentemente ha chiarito che non farà alleanze e che non è né di destra né di sinistra. Come lo si deve considerare?
Penso che si tratti di una realtà con cui fare i conti, anche cercando di capire quali sono le dinamiche che la riguardano. I loro elementi di battaglia sono innanzitutto il medium, lo strumento. Un partito di nativi digitali che fa della rete il proprio mondo. E poi c’è il punto dell’onestà. Però poi è importante capire quali sono le scelte e i programmi. Dire “né di destra né di sinistra” è solo uno slogan che non spiega nulla delle proprie posizioni.

Se si guarda a temi come la povertà sembrerebbero più di sinistra…
Sul tema della povertà si sono avvicinati molto alle posizioni del governo. L’idea è quella di assicurare una rete di protezione per chi è sotto alla soglia di povertà. Rimane poi il punto del reddito di cittadinanza per tutti che è la loro grande battaglia.

Se invece si considera il tema europeo, fino a poco tempo fa erano per l’uscita dall’Euro, quindi più a destra della destra…
Sì, l’altro tema delicato è quello internazionale. Ed è una questione elettorale importante. Perché se dal punto di vista locale dare fiducia ai 5 Stelle è semplice, anche a fronte dei disastri che spesso hanno compiuti esponenti di altri partiti, a livello nazionale ci sono questioni di fondo da scegliere. Uno di questi è proprio lo stare o non stare in Unione Europea. E su questo c’è tanta incertezza. Ultimante mi sembra ci sia uno spostamento verso il tema del cambiamento europeo più che uno slogan anti europeista. Anche qui una posizione più vicina a quella del Governo. È però inaccettabile che non ci sia una posizione univoca e chiara su una questione così sostanziale.

Perché?
Ho paura dell’effetto Tsipras. Se i 5stelle dovessero vincere le elezioni e decidessero per l’uscita ho paura che succeda come in Grecia: davanti allo scenario realistico della Grexit il Governo ha messo in scena un brusco ritorno alla realtà, diventando più realisti del re. Molto meglio trovare consapevolezza prima. Speriamo sia così.

Oggi il Tribunale di Genova ha stabilito che Grillo non può intervenire sulla scelta dei candidati. Una sentenza che dimostra quanto manchi al Movimento una vera democrazia interna…
In realtà da un certo punto di vista il M5S sembrano un pochino più libero dalle lobby rispetto agli altri partiti. Il Pd ad esempio, specie quello di Renzi, deve fare uno sforzo per divntare competitivo su questo piano. Mentre il vero gap che hanno riguarda le radici culturali. Qui il PD è più avanti. Le radici culturali non possono ridursi a Casaleggio. È questo il punto.

Quindi il problema della democrazia interna non si pone?
Sì, si pone. Ad oggi c’è sempre uno che tira le redini. Ma è normale. Sarebbe certamente meglio se avessero un procedimento più trasparente e democratico ma in questo momento è così. Si riconosce in Grillo un leader carismatico che nei momenti delicati prende in mano la situazione. È così anche in Forza Italia con Berlusconi.


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