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Cooperazione & Relazioni internazionali

Mario Giro: l’Italia a sostegno della pace in Congo, ma dialogo difficile con Kinshasa

Dopo mesi di negoziati con l’opposizione, il presidente congolese Joseph Kabila nomina un nuovo Primo ministro per uscire il paese da una crisa politica ancora irrisolta. Per il Vice Ministro degli Esteri, Mario Giro, “il Congo deve andare alle elezioni il più presto possibile”. E ammonisce Kinshasa: “siamo stati accusati di dialogare troppo con le opposizioni. Un’accusa inaccettabile”.

di Joshua Massarenti

Dopo mesi di negoziati tra Kabila e l’opposizione, il Presidente congolese ha finalmente nominato un nuovo Primo ministro. La crisi politica si può considerare risolta in RDC?

La nomina di Bruno Tshibala è una mossa che risponde agli interessi del Presidente e a quelli dell’opposizione. Può avere molte sfaccettature. Certo, Tshibala dovrà dimostrare di essere l’oppositore che è stato negli ultimi trent’anni, e non solo al servizio degli interessi del palazzo presidenziale. Il fatto che Tshibala sia stato escluso dal partito in cui ha militato per decenni può anche favorire il Presidente. In ogni caso é ora che i politici congolesi torni ad occuparsi dei loro cittadini, le sfide di questo paese sono immense.

In cima alle emergenza, c’è il Kasai. Secondo le Nazioni Unite, dall’agosto 2016 le violenze tra forze governative e le milizie Kwanine Nsapu hanno fatto almeno 400 morti, tra due esperti ONU, e 600mila sfollati. La situazione rimane ancora molto tesa, con le scoperte di fosse comuni e studenti rastrellati nelle università. Come reagisce a questo nuovo focolaio di tensioni?

Questa crisi fa parte del clima di incertezza e di instabilità che regna in tutta la Repubblica Democratica del Congo. Il fatto che dopo tre mesi dalla scadenza del mandato del Presidente Kabila non si siano tenute le elezioni riassume molto bene la situazione critica in cui si trova questo paese. Il tentativo di mediazione tra la maggioranza presidenziale e l’opposizione da parte della Commissione episcopale nazionale del Congo – la CENCO – sembrava sul punto di chiudere la crisi politica, purtroppo le cose non sono andate come speravamo e oggi siamo fermi. Per l’Italia il ruolo della Cenco rimane importantissimo perché è l’unico attore in grado di far dialogare le parti. Mi auguro che possa riprendere le redini della mediazione affinché una soluzione definitiva venga trovata.

Il fatto che dopo tre mesi dalla scadenza del mandato del Presidente Kabila non si siano tenute le elezioni riassume molto bene la situazione critica in cui si trova questo paese.

Ora vediamo che effetti avrà la sostituzione del Primo ministro. Chi conosce la storia della RDC e i conflitti ripetuti che hanno destabilizzato il paese dagli anni ’90 in poi, sa che un contesto simile a quello attuale finisce per alimentare nuove esplosioni di violenze. Nel Kasai ai massacri di soldati congolesi per mano delle milizia Nsapu è seguita la sovra reazione dei militari. E’ un circolo vizioso che vede le popolazioni civili vittime dei soprusi da parte di entrambi le fazioni. Ora i soldati congolesi accusano tutti i giovani di appartenere alle milizie. Non a caso una settimana fa hanno arrestato molti studenti dell’Università di Luebo (capoluogo del Kasai, ndr).

Che informazioni avete riguardo queste operazioni di rastrellamento?

Abbiamo appreso che le forze dell’ordine stavano rastrellando l’università per fermare tutti gli studenti, accusati di complicità con i miliziani. Diversamente da quanto accade in gran parte del paese, dove l’autorità dello Stato è inesistente, talvolta la presenza di militari –ad esempio in una provincia come il Kasai- viene percepita come aggressiva. Tutto ciò accade in un contesto di totale frammentazione e liquefazione del paese, che ormai va avanti da tanti, troppi anni.

Nel Kasai ai massacri di soldati congolesi per mano delle milizia Nsapu è seguita la sovra reazione dei militari.

Che cosa può e deve fare la Comunità internazionale, in particolare l’Italia, per porre fine alla crisi attuale?

Bisogna rimettere le mani sull’Accordo globale ed inclusivo, con la necessità di aprire un nuovo capitolo nuovo perché non mi pare che le parti in causa vogliano ottemperare a quello che l’Accordo prevedeva, e cioè l’unità nazionale del paese, che poi è la condizione sine qua non per andare avanti. Finché questo stato di liquefazione perdurerà, i diritti umani non verranno rispettati e la democrazia rimarrà un’evanescenza. Questo vuoto non può che servire gli interessi di entità esterne al paese.

Come giudica il ruolo del Presidente Kabila in questa stagione politica?

Kabila rappresenta una parte che va presa in seria considerazione. Il problema è che bisogna arrivare ad elezioni serie e credibili. Tutti vogliamo che queste elezioni si svolgano presto e nelle migliori condizioni. Non si possono moltiplicare i pretesti per rinviarle di continuo. Viceversa, se qualcuno sostiene di volerle organizzare subito, si rischia di farle in maniera sbagliata. L’unico attore in grado di intervenire per farsi garante di un processo trasparente e credibile è la Comunità internazionale. La RDC è un paese profondamente diviso e quindi va trovata una soluzione più stabile, preservando l’unità nazionale.

Ma con la nomina di Tshibala, l’opposizione sembra più che mai divisa…

Non è una novità, l’opposizione congolese è composta da tantissimi partiti, è quindi difficile ottenere dagli oppositori una posizione unitaria che spesso avviene soltanto in chiave anti-Kabila. Perché quando poi si tratta di scegliere un candidato comune per il posto di Primo ministro o la stessa Presidenza della Repubblica, le divisioni interne prevalgono quasi sempre. Il processo che condotto alla scelta di Tshibala ci dimostra che in Congo non esiste una sola opposizione, ma tante opposizioni. Questa frammentazione gioca. Allo stesso tempo dobbiamo mantenere la pressione sul Presidente affinché l’esercito, di cui è responsabile, non vessi la popolazione così come sta avvenendo.

L’opposizione congolese è composta da tantissimi partiti, è quindi difficile ottenere dagli oppositori una posizione unitaria che spesso avviene soltanto in chiave anti-Kabila.

Che ruolo il governo italiano intende giocare?

Abbiamo in corso una impasse diplomatica con la RDC che non si è ancora risolta, e quindi non abbiamo un ambasciatore a Kinshasa. Speriamo che questo conflitto si possa chiudere in tempi ragionevoli.

E’ un’assenza legata alla vicenda delle adozioni dei bambini congolesi?

No, è legata alla situazione politica che ho appena descritto. Siamo stati accusati di dialogare troppo con le opposizioni. Un’accusa inaccettabile.

La missione ONU in Congo continua ad essere molto criticata per la sua incapacità a fermare i massacri nel Kasai e nell’est della RDC. Che bilancio fa di questa missione nata quasi vent’anni fa?

Le critiche alla Monusco sono antiche, ma adesso che viene ridimensionata molti sono preoccupati che se ne vada. Come ogni missione dell’Onu, la Monusco non ha il mandato di combattere, ma di interporsi tra le parti in conflitto. Dal mio punto di vista, se non ci fosse mai stata la situazione sarebbe peggiore. Detto questo va riconosciuto che sono stati fatti molti errori.

bbiamo in corso una impasse diplomatica con la RDC che non si è ancora risolta, e quindi non abbiamo un ambasciatore a Kinshasa.

Come a Beni…

Lì come in tante altre aree del paese. In questo tipo di situazioni quando si crea un vuoto qualcuno cerca di colmarlo; tra esercito e milizie locali si fa un uso sproporzionato della forza e i danni sono solo per i civili. Al di là dell’Ituri, è necessario che lo Stato sia più inclusivo sul piano politico, amico dei cittadini, usando l’esercito per fermare chi massacra civili inermi.

Dopo tutti questi anni di conflitto, non c’è il rischio che la crisi congolese sparisca dai radar della Comunità internazionale, già impegnata su altre crisi come quella siriana?

Certo che questo rischio esiste. Se sul terreno le tensioni politiche e le violenze permangono, dopo un po’ la comunità internazionale si stanca e così anche l’opinione pubblica. Bisogna anche riconoscere che la Siria e il Medioriente sono prioritari nell’agenda internazionale. Detto questo, parliamo della RDC, un paese grande quanto l’Europa occidentale la cui stabilità è essenziale per tutta l’Africa centrale, se non per il continente africano.

Se sul terreno le tensioni politiche e le violenze permangono, dopo un po’ la comunità internazionale si stanca e così anche l’opinione pubblica.

Lo dimostra l’impatto delle violenze sui paesi frontalieri come la Repubblica Centrafricana oppure il Burundi. Ecco perché credo fermamente nella necessità di seguire da molto vicino l’evoluzione della crisi congolese che continua a generare spostamenti di popolazioni, non soltanto all’interno del paese, ma anche fuori, alimentando di conseguenza i flussi migratori.


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