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Oxfam: non tutto l’aiuto pubblico allo sviluppo va ai Paesi poveri

La denuncia dell’associazione sottolinea come oltre il 10% di risorse dell’APS a livello globale sono state impiegate all’interno degli Stati donatori per coprire le spese collegate alla crisi migratoria. Per L’Italia la quota sale al 34%

di Redazione

In occasione della pubblicazione annuale dell’OCSE sull’aiuto pubblico allo sviluppo (APS), Oxfam denuncia come le risorse allocate nel 2016 dai paesi donatori non siano state tutte destinate a sconfiggere povertà e disuguaglianza nei paesi più poveri, perché oltre il 10% di risorse dell’APS a livello globale sono state impiegate all’interno degli Stati donatori per coprire le spese domestiche collegate alla crisi migratoria nei diversi Stati.

Le cifre riportate dall’OCSE evidenziano infatti che complessivamente la spesa destinata all’APS sia cresciuta dell’8,9%, raggiungendo nel 2016 l’ammontare di oltre 142 miliardi di dollari. Tuttavia, oltre 15 miliardi di dollari vengono usati dai paesi donatori per sostenere i costi dell’accoglienza dei rifugiati nei loro territori.

La “securizzazione dell’aiuto”: risorse in cambio del “controllo” delle frontiere
«Se da un lato è inderogabile il dovere dei paesi di approdo di rispondere ai bisogni e proteggere i diritti dei rifugiati in arrivo sui loro territori, è altrettanto importante che ciò non vada a discapito degli aiuti da destinare per interventi nei paesi più poveri», ha sottolineato Francesco Petrelli, senior advisor su finanza per lo sviluppo di Oxfam Italia, «A fronte di un aumento complessivo dell’APS a livello globale, dato in sè positivo, è infatti preoccupante la tendenza – ormai dilagante tra i paesi donatori soprattutto europei – di etichettare come APS il denaro speso all’interno dei propri confini per finanziare le procedure di riconoscimento della protezione internazionale dei rifugiati o per negoziare, con i paesi di origine e di transito dei flussi migratori, la concessione di poche risorse destinale allo sviluppo, in cambio di impegni per il controllo delle frontiere attraverso accordi di riammissione e di rimpatrio».

Alcuni donatori stanno infatti utilizzando queste risorse come merce di scambio nella negoziazione con Stati terzi – e i relativi regimi autoritari che spesso sono al Governo – al fine di rafforzare le misure di controllo delle frontiere e di contenimento dei flussi migratori.

«Attraverso questi accordi a “pacchetto” (compact)», continua Petrelli, «una quota consistente di risorse rischia di essere impiegata per fini impropri, come la dotazione di strumenti e di personale a paesi terzi per la sicurezza delle frontiere, producendo un processo di vera e propria “securizzazione dell’aiuto”. Riteniamo questa scelta non solo sbagliata ma anche miope, pericolosa e soprattutto priva di efficacia».

Lontano l’obiettivo dello 0,7% del Pil in APS: l’Italia raggiunge lo 0,26%
Oxfam critica inoltre i paesi donatori per il mancato rispetto dell’impegno ormai pluridecennale di devolvere lo 0,7% del PIL in APS. Ad oggi, solo sei dei trenta Stati Membri dell’OCSE – Svezia, Norvegia, Lussemburgo, Danimarca, Regno Unito e Germania – hanno mantenuto questa promessa.

L’Italia pur essendo ancora molto lontana da questo obiettivo, conferma però un trend positivo di crescita dell’APS, sia in termini assoluti, che percentuali. Dai 4 miliardi di dollari del 2015 ai 4,85 miliardi del 2016, un aumento percentuale di più del 20% che consente al nostro paese di passare dallo 0,22 allo 0,26 della percentuale di APS in rapporto al PIL. Positiva anche l’adesione del nostro Paese all’Indice Internazionale per la Trasparenza dell’Aiuto (IATI) e soprattutto la maggiore concentrazione di risorse destinate all’Africa sub-sahariana, con un incremento di circa il 23% rispetto all’anno precedente. In questo quadro rientra l’allocazione di 200 milioni per il cosiddetto “Fondo Africa” presente nella Legge di Bilancio 2017, che produrrà quindi i suoi effetti nel corso dell’anno. Tale stanziamento è oggi limitato ad un solo anno, ed è un classico esempio di un’allocazione episodica di risorse che se non sostenuta nel tempo contraddice i principi di efficacia dello sviluppo. Questo Fondo, infatti, dovrebbe costituire un’occasione per far confluire risorse cruciali in alcuni paesi del continente, a condizione che siano realmente usate per interventi di cooperazione allo sviluppo e non come merce di scambio nella negoziazione con paesi terzi.

In Italia cresce del 69% il costo dei rifugiati, ma è fondamentale investire sulle cause strutturali dei flussi
Il dato più preoccupante, che rischia di vanificare gli aspetti positivi attribuibili ai progressi italiani, è dato dall’ulteriore forte crescita dei costi per i rifugiati che nel 2016 si attestano al 34% dell’intero APS italiano. In termini assoluti si passa da 983 milioni di dollari allocati nel 2015 ad oltre 1,66 miliardi del 2016, pari ad un incremento del 69%.

«Come affermato in summit e documenti, sia a livello europeo che internazionale, per una buona e sostenibile gestione dei flussi di rifugiati e migranti è necessario uscire dall’approccio dell’emergenza e incidere sulle cause profonde», conclude Petrelli, «Sappiamo che queste cause sono i conflitti e la guerra, ma anche la povertà, la fame, i cambiamenti climatici che sono alla base del fenomeno delle migrazioni forzate. È su queste cause che bisogna quindi investire realmente per affrontarle e rimuoverle, e dare una risposta reale ai 767 milioni di persone che ancora oggi vivono in estrema povertà. Ecco perché facciamo appello al Comitato Sviluppo dell’OCSE, affichè ridefinisca entro ottobre – così come stabilito – regole chiare, trasparenti e valide per tutti i paesi donatori sulle spese allocabili per la cooperazione e l’aiuto umanitario, non consentendo trucchi contabili o peggio usi inappropriati di queste risorse».


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