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I Social Impact Bond? L’obiettivo è stimolare l’innovazione

Il Programme Officer di Human Foundation reagisce a un articolo firmato da Francesca Calò e pubblicato su Vita.it lo scorso 10 aprile: «Se, da una parte, l’esigenza di maggiori e migliori evidenze circa l’impatto di strumenti di innovazione, includendo i Social Impact Bond (SIB), è fondamentale, dall’altra, alcune argomentazioni di legittima problematizzazione dello strumento, a mio avviso, appaiono fuori fuoco»

di Filippo Montesi

L’articolo di Francesca Calò pubblicato su queste colonne (Impatto sociale: servono dati più certi) apporta interessanti argomenti alla riflessione che sta animando il Terzo Settore riguardo alle tendenze delle politiche di welfare, dei servizi sociali e dell’innovazione sociale in Italia. Se, da una parte, l’esigenza di maggiori e migliori evidenze circa l’impatto di strumenti di innovazione, includendo i Social Impact Bond (SIB), è fondamentale, dall’altra, alcune argomentazioni di legittima problematizzazione dello strumento del SIB, a mio avviso, appaiono fuori fuoco.

Innanzitutto, può destare confusione nel lettore l’accostamento del modello del SIB con quello dell’impresa sociale nello stesso articolo. L’analisi di Nicholls e Teasdale (2016) non verte sui SIB, bensì sull’impresa sociale, rinvenendo elementi paradigmatici di neoliberismo nelle forme anglosassoni di impresa sociale. Tuttavia, i SIB non richiedono che i servizi siano erogati da un’impresa sociale. È vero che nel contesto britannico l’impresa sociale è una forma giuridica particolarmente diffusa sia culturalmente sia economicamente, e che quindi i SIB hanno spesso, ma non sempre, coinvolto imprese sociali. Nel caso specifico del SIB di Peterborough i principali erogatori di servizi sono charities: Ormiston Trust (Registered Charity No: 259334) St Gilles Trust (Registered Charity No: 801355), YMCA (Registered Charity No: 212810), e SOVA (Registered Charity No.1073877). Non dimentichiamoci che la cultura italiana, come dimostrato dal dibattito rispetto alla riforma del Terzo Settore, ha tradizioni profonde e caratteristiche proprie diverse da quelle inglesi, tali che il concetto e le forme di impresa sociale sono interpretate in modo profondamente diverso. Occorre quindi fare attenzione ad applicare tale tipo di sillogismo tra SIB e Impresa sociale.

Entrando più nel merito delle argomentazioni, occorre sottolineare come lo sviluppo dei SIB non persegua l’obiettivo di sostituire gli interventi di welfare sociale, ma piuttosto quello di promuovere l’innovazione sociale nei modelli di intervento, in particolare per quanto riguarda interventi preventivi e/o sperimentali con un chiaro obiettivo sociale, che tendono a essere sotto finanziati dalla PA.

D’altronde, il SIB è uno strumento che nasce in un contesto storico in cui, a seguito della crisi finanziaria del 2008, e più in particolare, a seguito della crisi legata alla speculazione sui debiti pubblici nazionali europei, lo stato sociale è stato messo a durissima prova rispetto all’assolvimento dei propri compiti. In un contesto di crescenti diseguaglianze sociali, dove l’ordinario rischiava di non essere più garantito, le possibilità di utilizzo di fondi pubblici per supportare programmi in fase di sperimentazione divenivano impraticabili.

Sarebbe naïf nutrire l’aspettativa che il SIB, in quanto tale, riduca i problemi sociali, quando la finalità è quella di avere uno strumento utile per sviluppare modelli di intervento più efficaci ed efficienti, e stimolare maggiore attenzione rispetto all’evidenza d’impatto nei meccanismi di finanziamento ed erogazione dei servizi sociali.

Rispetto al caso specifico del SIB di Peterborough, il giudizio complessivo della sperimentazione non può non prendere in considerazione i seguenti aspetti:

  • Al primo anno la riduzione della recidiva, si attestava all’ 8.4%, creando evidenza circa la bontà del programma sperimentato da One Service, il consorzio di charities erogatrici di servizio.
  • Il modello di intervento proposto prevedeva un affiancamento individuale e coordinato al detenuto, al quale sono state fornite quattro tipologie di supporto:
  1. La disponibilità di una sistemazione abitativa, a seguito dall’uscita dal carcere;
  2. Un supporto specifico per detenuti con problemi di salute mentale;
  3. La realizzazione di programmi di formazione professionale;
  4. La creazione di un’opportunità di impiego.
  • La tecnica statistica, Propensity Score Matching, applicata da QinetiQ e l’Università di Leicester, ha previsto lo studio di un gruppo di trattamento di 1.000 individui, del carcere di Peterborough, con sentenze brevi, che sono stati confrontati con oltre 9.000 detenuti su territorio nazionale
  • Durante la prima tranche di questa sperimentazione, sulla prima coorte di detenuti, il mancato raggiungimento dell’obiettivo di una riduzione del tasso di recidiva del 10%, ha bloccato il pagamento degli interessi e la restituzione del capitale, dimostrando l’efficacia del meccanismo del SIB che trasferisce il rischio di insuccesso, rispetto al target prefissato, dal pubblico al privato.
  • Questo mancato raggiungimento del target non implica che il meccanismo non sia virtuoso, al contrario appare aver funzionato, poiché il rischio di innovazione, particolarmente pesante per le nostre pubbliche amministrazioni, è stato superato grazie all’intervento di fondazioni filantropiche e investitori sociali. Pertanto, il costo della sperimentazione non è stato a carico dello Stato.
  • Sebbene non si siano raggiunti i risultati auspicati, la sperimentazione è stata riconosciuta come valida e da perseguirsi. In un certo senso la riforma del sistema penitenziario inglese ha compromesso la corretta misurazione della recidiva nel carcere di Peterborough, mutando il contesto nazionale di comparazione dell’esperimento, su cui era stato applicato il metodo di Propensity Score Matching.
  • La riforma del sistema penitenziario inglese è stata influenzata grazie ai risultati dell’esperienza di Peterborough, sia per quanto riguarda gli aspetti qualitativi positivi che per quelli negativi da cui sono tratte delle conclusioni e raccomandazioni di policy.

Inoltre, uno degli aspetti più interessanti del SIB è la capacità di incoraggiare e sviluppare approcci e metodi di valutazione per politiche basate sull’evidenza. L’operazione politico-culturale del SIB è anche quella di integrare all’interno dei processi di finanziamento ed erogazione sistemi di analisi dei risultati/outcome in maniera sistemica. Sta proprio nell’organicità e nella sistemicità la chiave di volta per una disseminazione (mainstreaming) di metodi e pratiche di valutazione.

L’obiezione che il modello di Peterbourgh avrebbe potuto adottare metriche di valutazione più articolate è valida, in quanto caveat circa il rischio di riduzionismo al momento di applicare metriche standardizzate per la valutazione di interventi complessi. Tuttavia, trascura i rischi per l’accountability insiti in un sistema di valutazione più articolato, potendo generare interessi confliggenti tra gli stakeholder del SIB. L’apparente semplicità dell’indicatore di recidiva permette di misurare in maniera più oggettiva e trasparente la progressione verso l’obiettivo sociale e quello finanziario, allineando gli interessi di investitori privati, PA e fornitori di servizi.

Infine, è ingeneroso sottovalutare i benefici di uno strumento che incoraggia il superamento di uno status quo, dove non si misura, o si misura poco, a livello di outcome. Il fatto che il SIB abbia adottato la recidiva come indicatore fondamentale di misurazione non significa che il metodo di analisi non abbia preso in considerazione multiple variabili di controllo, includendo quelle di contesto, come dati socio-demografici. Tutto il percorso del SIB è stato anche valutato esternamente da Rand Europe, analizzando l’esito della sperimentazione di Peterborough secondo criteri di efficienza, efficacia, processo e sostenibilità.

L’esortazione della dottoressa Calò ad analizzare e approfondire l’efficacia dello strumento del SIB è pienamente condivisibile. Tant’è che nello studio di fattibilità che abbiamo recentemente pubblicato, abbiamo cercato di studiare le opportunità ma anche i limiti di tali schemi, suggestivi, che non sempre possono risultare efficaci e/o rispondenti alle premesse iniziali. Allontanandoci da una visione neoliberista, lo studio propone un approccio orientato al Payment by Result, dando maggior enfasi all’importanza della partnership multi-stakeholder rispetto alla contrattualistica finanziaria e dell’evidenza circa l’efficacia piuttosto che della razionalizzazione della spesa.

Per Human Foundation modelli basati sugli outcome (SIB, PbR, DIB, etc.) pongono all’intera comunità che ha a cuore la produzione di valore sociale, la sfida di intraprendere processi di innovazione dei sistemi di welfare sociale, che rinnovino il ruolo di indirizzo dell’attore pubblico e rafforzino l’accountability degli attori privati (Profit e Non-Profit) nell’erogazione di servizi più efficaci nel rispondere ai bisogni delle persone e delle comunità.


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