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Cellulari e tumori professionali, ora serve la prevenzione

Il presidente nazionale Franco Bettoni e il responsabile dei consulenti legali Anmil, avvocato Mauro Dalla Chiesa, intervengono in merito alla sentenza del Tribunale di Ivrea in favore del riconoscimento al lavoratore della malattia professionale per l'utilizzo scorretto dei telefonini

di Redazione

Dopo la sentenza del Tribunale di Ivrea che ha riconosciuto come malattia professionale l’utilizzo scorretto dei telefonini il presidente nazionale di Anmil, Franco Bettoni ha commentato: «Le pronunce emesse fino ad oggi che riconoscono l’uso del telefonino come causa di tumori professionali, avranno una conseguenza immediata soprattutto in relazione ai piani di valutazione dei rischi delle aziende in quanto si renderanno necessarie delle norme in materia di prevenzione in base all’art. 2087 del codice civile e al decreto legislativo 81/2008, oltre a una adeguata informazione e formazione dei lavoratori da parte delle aziende sull’uso dei cellulari e dei cordless e, comunque, di tutti strumenti tecnologici che emanano radiofrequenze».

L’avvocato Mauro Dalla Chiesa, responsabile consulenti legali Anmil ha inoltre commentato: «La recentissima sentenza del Tribunale di Ivrea che riconosce ad un lavoratore la malattia professionale derivante dall’eccessivo utilizzo del telefono cellulare, aveva avuto già due precedenti pronunciamenti giurisprudenziali nel medesimo indirizzo: quello della Corte di Appello di Brescia del 2009 confermato successivamente dalla Corte di Cassazione sez. Lavoro con sentenza n. 17438 del 12 ottobre 2012». L’avvocato ha anche aggiunto: «Va premesso che il riconoscimento della malattia professionale ha due diversi presupposti: il primo è dato dalle cosiddette malattie tabellate previste da un apposito decreto ministeriale; infatti, in presenza di determinate mansioni lavorative che configurano un’esposizione qualificata al rischio vi è la presunzione di malattia professionale, nel senso che è l’istituto assicuratore (cioè l’Inail) onerato di dare la prova contraria che non vi sia nesso di causalità tra la lavorazione svolta e la malattia medesima. Il secondo presupposto si riferisce alle patologie cosiddette non tabellate ed alle malattie ad eziologia multifattoriale: in questi casi, la prova della causa di lavoro che grava sul lavoratore deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della “mera possibilità dell'origine professionale”, questa può essere invece ravvisata in presenza di un “rilevante grado di probabilità”. Nel caso trattato dalla sentenza della Cassazione sopra citata, la Suprema Corte aveva accolto la domanda di un lavoratore che era stato esposto alle radiofrequenze di telefoni cordless e cellulari per un periodo complessivo di dodici anni per 5-6 ore al giorno da cui era derivata la neoplasia tumorale. La Suprema Corte aveva ritenuto attendibili alcuni studi epidemiologici svolti negli anni tra il 2005 ed il 2009 che avevano evidenziato un nesso di causalità diretto tra l’esposizione alle radiofrequenze generate dai telefoni cordless e cellulari e la malattia tumorale».

In apertura foto di William Iven/Unsplash