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WeWorld Index, per l’Italia l’inclusione è ancora molto lontana

Presentata a Roma la terza edizione del rapporto della ong che misura l'inclusione di bambine, bambini, adolescenti e donne: il nostro Paese si conferma al 21esimo posto. Sono 2 miliardi i soggetti che vivono in Paesi con forme gravi o gravissime di esclusione

di Antonietta Nembri

Sono 102 – su 170 – i Paesi in cui bambini, bambine, adolescenti e donne soffrono di esclusione insufficiente, grave o gravissima. Questo non è che uno dei dati presenti nel rapporto annuale della ong WeWorld. È stata presentata, oggi, a Roma la terza edizione del WeWorld Index, lo strumento nato per misurare l’inclusione di bambine, bambini, adolescenti e donne nel mondo. All’incontro, accanto al presidente della ong Marco Chiesara, Sandra Zampa vice presidente della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, Enrico Giovannini, portavoce ASviS Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, Alessandra Piermattei – Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, Santino Severoni – Coordinatore per la Salute pubblica e la Migrazione dell’Ufficio europeo dell’Oms, Francesco Petrelli – Concord Italia, Pietro Sebastiani – Direttore Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo Maeci.


In rosso i Paesi in fondo alla classifica, in verde/azzurro i primi della classifica

La metodologia del WeWorld Index è originale ed è stata sviluppata da WeWorld nel 2015 (anno del primo rapporto), la classifica è determinata da 34 indicatori con il coinvolgimento di 21 esperti. La classifica non è determinata solo da indicatori economici, ma sono analizzate le condizioni di vita dei soggetti più a rischio esclusioni come bambine/i e donne.
Con il termine inclusione, infatti, nel WeWorld Index si intende un concetto multidimensionale, che non riguarda solo la sfera economica, ma tutte le dimensioni del sociale: sanitaria, educativa, lavorativa, culturale, politica, informativa, di sicurezza, ambientale.

Considerando che sono 102 Paesi in cui bambini/e e donne soffrono di esclusione il dato più impressionante è il 38% dei bambini e delle donne del mondo – circa 2 miliardi di persone – che vive in Paesi in cui vi sono forme gravi o gravissime di esclusione: 1 donna (o bambino/a) su 3.

Solo il 5% delle donne e della popolazione under 18 vive in Paesi dove la loro inclusione è buona. Tra il 2016 e il 2017 il numero di bambine/i, adolescenti e donne che vivono in Paesi dove la loro esclusione è grave e gravissima è aumentato di 22 milioni.

I risultati del WeWorld Index 2017 vedono la Norvegia (e in generale Paesi del Nord Europa) dominare la classifica ancora una volta (+114), mentre fanalino di coda si conferma la Repubblica Centrafricana (-151).

L’Italia, al 21 posto, registra una performance sufficiente a livello globale, ma si attesta, tra i Paesi fondatori dell’Unione Europea, come il meno inclusivo per donne e bambini/e. Il nostro Paese dovrebbe fare uno sforzo quasi doppio rispetto alla Norvegia per conseguire il Valore Target (Paese ideale primo in tutti e 34 gli indicatori).

«Nei Paesi più sviluppati dove, a differenza di Paesi come L’Africa Sub-Sahariana e l’Asia Meridionale, sono garantiti i diritti fondamentali in ambito educativo sociale, politico e sanitario, una effettiva parità tra uomini e donne è ancora lontana», commenta Marco Chiesara. «In questi Paesi, tra cui l’Italia, sono necessari interventi puntuali sul piano della parità salariale, della prevenzione e del contrasto alla violenza maschile sulle donne, per l’accesso delle donne alla vita politica. In Europa occidentale, ma ancor più in quella orientale e meridionale (Spagna, Italia, Grecia), per la prima volta dal dopoguerra, il destino di bambini e donne sembra intrecciato: 23 milioni di bambini/e sono in povertà nel vecchio continente; solo il 55% delle donne con tre o più figli ha un lavoro».

Se quindi l’Europa per il WeWorld Index è il luogo migliore in cui un bambino o una bambina potrebbero crescere e le pari opportunità sono meglio affermate, non sono però cancellati alcuni problemi. Il rischio di povertà dei bambini è aumentato e il ritardo con cui il fenomeno è stato riconosciuto, in alcuni Paesi, tra cui l’Italia, ha già creato milioni di giovani che non studiano, non lavorano e non si formano, ponendo forse una pesante ipoteca sul loro futuro.

«I Paesi in cui opera WeWorld sono tutti nella categoria della grave esclusione (Nepal, Tanzania, India e Benin) e dell’insufficiente inclusione (Cambogia)», conclude Chiesara. «Fanno eccezione il Brasile e l’Italia, che comunque sono nella categoria della sufficiente inclusione (Brasile agli ultimi posti della categoria, Italia ai primi della categoria), rivelandosi però contesti in cui le donne sono ancora escluse, specie nell’ambito economico e politico».

Dando uno sguardo più da vicino al WeWorld Index (qui il link per il rapporto integrale) si possono notare alcuni particolari come il fatto che l’Italia dista ben 108 punti dal Valore Target 2030 (punteggio conseguito da un Paese ideale che ottenesse per tutti i 34 indicatori la prima posizione – ad oggi nessun Paese lo ha conseguito – ndr.) e che il divario si è accentuato di 3 punti dal 2016 al 2017. Inoltre secondo la classifica della ong l’Italia registra un leggero scadimento nelle dimensioni relative a educazione, violenza su minori, capitale umano e maggiore per il capitale economico. Le conseguenze della povertà economica ed educativa nel nostro Paese sono ben visibili: la dispersione scolastica si attesta al 15% (la medie europea è al 10%) con picchi importanti in alcune regioni (per esempio: intorno al 24% in Sicilia e Sardegna, al 17% in Campania e Puglia). I Neets (giovani che non studiano e non lavorano) sono il 31,1% contro una media europea che è quasi la metà (17,3%).

In apertura foto di Sharon Cristina Rorvik/Unsplash