Famiglia & Minori

Gli adolescenti stranieri hanno bisogno di una stella

800 ragazzini di origine straniera e di recente immigrazione sono stati affiancati da 200 studenti universitari, preferibilmente anch’essi di origine straniera e passati a loro volta dall’esperienza della migrazione. I tutor li aiutano con lo studio e la lingua italiana, ma diventano anche un modello in cui rispecchiarsi e danno una motivazione all'integrazione. Per loro invece è un'esperienza fortissima di cittadinanza attiva. Un modello da replicare

di Sara De Carli

“Almeno una stella”: Boris Cyrulnik da anni si occupa di minori che hanno vissuto traumi o situazioni di passaggio importanti. Egli sostiene che «affinché il bambino o l’adolescente possano intraprendere un cammino di resilienza è necessario che accanto a loro ci sia almeno una stella» Ci sia cioè almeno figura di riferimento, su cui il bambino o l’adolescente possano contare, che faccia da “tutor” al minore e da tutore della sua resilienza. Nasce da lì, spiega Graziella Favaro – pedagogista, esperta di processi educativi nella migrazione, di inclusione scolastica e di educazione interculturale – il nome di un progetto che ha visto 800 ragazzini di origine straniera e di recente immigrazione essere affiancati da 200 studenti universitari, preferibilmente anch’essi di origine straniera e passati a loro volta dall’esperienza della migrazione. L’esperienza dei tutor che accompagnano adolescenti migranti è stata promossa dal Centro COME di Milano, finanziata dalla Fondazione Vismare e sperimentata per quattro anni, prima con il progetto “Bussole” e successivamente con il progetto “Almeno una stella” in sei territori d’Italia: Milano, Torino, Bologna, Arezzo, nella provincia di Trento e in alcune città friulane. L’esperienza sta continuando in maniera meno strutturata, attraverso le relazioni nate attorno al progetto con le varie università e domani pomeriggio sarà presentata come buona pratica nel convegno “Supereroi fragili” del Centro Erickson.

Chi sono i tutor e perché i tutor possono essere delle “stelle” per gli adolescenti stranieri, arrivati da poco in Italia?
I tutor sono studenti universitari, molti dei quali immigrati loro stessi o di origine straniera. Il loro ruolo è quello di essere “fratelli e sorelle maggiori”, con una “giusta distanza”. L’uso dei tutor è molto diffuso nel Nord Europa nelle scuole, in Italia invece è una figura poco utilizzata, che sarebbe al contrario molto importante. I tutor non sono i pari: sono prossimi agli adolescenti perché hanno attraversato in tempi abbastanza recenti le stesse difficoltà, ma al tempo stesso sono un po’ distanti perché hanno un’età appena un po’ più grande, un’esperienza più matura che li ha già messi a confronto con scelte, definizioni di sé, costruzione di futuro. Sono stelle perché con la loro presenza possono facilitare il cammino di integrazione, a livello scolastico ma non solo: per gli adolescenti arrivati da poco in Italia avere figure di identificazione positiva, di 5 o 6 anni più grandi, sono un sostegno alla motivazione all’integrazione, perché il vedere in carne e ossa una persona simile a te che ha già fatto il percorso in cui tu sei immerso, dà l’idea che ce la posso fare anche io. In ambito scolastico ma non solo, ripeto.

Chi avete coinvolto?
Abbiamo coinvolto studenti universitari prevalentemente dei facoltà umanistiche – scienze dell’educazione, della formazione, mediazione linguistica e culturale – ma anche del Politecnico. Per due anni, questi ragazzi si sono impegnati per 100 ore l’anno, di cui 80 con i ragazzi e 20 di formazione e supervisione. Hanno avuto un piccolo rimborso spese, grazie al sostegno della Fondazione Vismara, e un riconoscimento dall’Università. Essere stranieri o di origine straniera era un requisito importante, ma non in tutte le città è stato possibile, ma complessivamente più della metà degli studenti era straniero. Abbiamo avuto tutor egiziani, cinesi, nigeriani, pachistani, bengalesi, moldavi… Ogni tutor segue 2 o 3 ragazzini.

Gli adolescenti invece chi sono e che bisogni hanno?
Adolescenti neo arrivati e di recente immigrazione, diciamo al massimo arrivati in Italia da 2 o 3 anni: sono quelli che dal punto di vista linguistico e di inserimento scolastico hanno più bisogni. L’italiano per lo studio è una “tigre” sul cammino per questi ragazzi. Le classi su cui ci siamo focalizzati sono la terza media e la prima superiore, due classi cruciali: da un lato c’è l’esame di terza media e il tema dell’orientamento, poi la prima superiore che sappiamo essere una classe con una dispersione scolastica pazzesca. Quindi i ragazzini accompagnati dai tutor avevano 14/17 anni – molti sono in ritardo rispetto al percorso scolastico, sia per bocciature sia perché inseriti in classi inferiori a quella che dovrebbero frequentare in base alla loro età, per via della lingua – in questi due anni cruciali. Non sono con ragazzini con disagio, voglio precisarlo, hanno però situazioni di fragilità, di disorientamento, non conoscono la città, non sanno dove possono andare a giocare a pallone, fare attività gratuite…

Quindi l’affiancamento dei tutor non è solo sulla scuola, per arginare la dispersione e aumentare il successo formativo?
No, la presenza dei tutor è sia dentro la scuola, per rendere meno estraneo ai ragazzi stranieri il contesto educativo italiano, per affiancarli nei compiti, per aiutarli a trovare un metodo di studio, sia fuori dalla scuola, nelle attività extrascolastiche: i tutor sono come dei “ciceroni” amichevoli che ti guidano in una città che non conosci ancora. In alcune città la sede fisica della maggior parte degli incontri fra il tutor e l’adolescente è stata la scuola, in altre no. L’idea base è disseminare di “stele” il cammino di integrazione degli adolescenti di recente immigrazione. Ogni tutor poi ha un suo stile, c’è quello più accudente e protettivo e quello più incalzante, oppure chi è più richiedente sull’aspetto della performance scolastica.

Potrebbe essere un buono strumento anche per i MSNA? La nuova legge prevede un albo di tutor, che è una cosa diversa, però potrebbe essere utile anche questa altra figura più prossima…
Fra i ragazzi che hanno partecipato c’era anche qualche MSNA che stava in una comunità, ma il progetto non è nato per loro. Oggi sarebbe interessante pensare a una declinazione specifica.

Che esiti ha avuto il progetto?
Abbiamo confrontato gli esiti scolastici di questo gruppo seguito da tutor con quelli di minori stranieri della stessa città. Abbiamo visto nettamente un esito migliore: più ammessi all’esame di terza media più, esiti migliori e anche una buona “tenuta” delle frequenze. E questo dato quantitativo, insieme ad altri di tipo qualitativo, rappresenta un elemento positivo del progetto. Per i tutor invece c’è un vantaggio indubbio di cittadinanza attiva: prendersi cura, assumersi la responsabilità di un ragazzino, ci sono molte testimonianze che dicono di quanto questo progetto li abbia fatti crescere, diventare responsabili, aiutati a ripercorrere la loro storia. Questo tornerà utile ai professionisti che saranno domani. Insomma, i risultati molto buoni, è un progetto molte fecondo a costi bassissimi, in un certo senso assomiglia a servizio civile, è un’occasione per vivere cittadinanza attiva senza retorica. Spero che avremo presto un progetto nazionale. Faccio parte dell’Osservatorio del MIUR, vedo che i tutor cominciano ad essere presente nei documenti, molte università si sono dette interessate, immagino che nel tempo potrebbe diventare un dispositivo ordinario. È un dispositivo fecondo, ha solo bisogno di essere accompagnato.

Foto LOUISA GOULIAMAKI/AFP/Getty Images


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