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Cure palliative, ecco perché la sanità del futuro passa da qui

Sapevate che i primi due hospice nati in Italia sono non profit? E che oggi in Sicilia le cure palliative domiciliari vengono assicurate interamente dal non profit? La sfida della buona sanità passa dalle cure palliative, cioè dalla capacità di occuparsi della qualità di vita di una popolazione anziana e con patologie croniche degenerative: ecco perché il non profit è in prima linea

di Sara De Carli

Sapevate che i primi due hospice nati in Italia sono non profit? Sono la Domus Salutis di Brescia, che aprì nel 1987 e l’hospice del Pio Albergo Trivulzio, che aprì nel 1991. E che su 312 centri per le cure palliative domiciliari in Italia, il 42% sono supportati da una Onp (Monitor n. 26/2010, Agenas)? O immaginavate che oggi in Sicilia le cure palliative domiciliari vengono assicurate interamente dal non profit? Sette onlus accreditate garantiscono cura e presa in carico per circa 8mila persone l’anno. E ancora, in Lombardia il 54% degli hospice è gestito dal non profit e un centinaio sono i soggetti accreditati per l’assistenza domiciliare, mentre nella “rossa” Emilia Romagna su 93.805 giornate di cura erogate nel 2015 in hospice, ben 51mila sono state assicurate dal non profit, contro 42mila delle strutture pubbliche.

Gran parte della sfida futura della buona sanità passa dalle cure palliative, cioè dalla capacità di occuparsi della qualità di vita di una popolazione anziana e con patologie croniche degenerative: persone che evidentemente hanno davanti a sé una prospettiva di vita limitata, ma molto più lunga di quei 20-30 giorni che oggi invece sono il tempo medio della durata delle cure palliative. Per non dire della centralità di questo tema rispetto al dibattito sul fine vita e sule dichiarazioni anticipate di trattamento, da oggi in discussione al Senato, con Pd e M5S che vorrebbero approvare il testo entro giugno, senza modifiche sostanziali rispetto al testo approvato dalla Camera (nel testo si precisa che «il rifiuto del trattamento sanitario indicato dal medico o la rinuncia al medesimo non possono comportare l’abbandono terapeutico: è quindi sempre assicurata l’erogazione delle cure palliative»).

Il non profit in questa sfida cruciale dovrà giocare un ruolo decisivo: sia in quanto erogatore di servizi, nella rete integrata delle cure palliative, sia perché qualità delle cure e qualità delle relazioni nelle cure palliative vanno di pari passo, come forse in nessun altro settore. Nel numero di VITA in edicola, “La sanità non è uguale per tutti”, abbiamo dedicato un ampio capitolo a questo tema, poiché nonostante la legge 38 del 2010, le cure palliative sono ancora per molti versi un diritto a tempo e un diritto per pochi. Come svoltare? Ecco una raccolta di pareri.

ADVAR
L'ADVAR-Assistenza domiciliare gratuita Alberto Rizzotti, fa servizi di assistenza domiciliare gratuita a malati terminali e nell’hospice Casa dei Gelsi di Treviso (in foto), che entro la fine dell’anno verrà ampliato. La professoressa Anna Mancini Rizzotti spiega che «la Fondazione Amici Associazione ADVAR Onlus gestisce sia l’assistenza a domicilio (home care) che quella all’Hospice, per favorire una maggiore integrazione tra i due servizi. In molte realtà non c’è collaborazione tra l’assistenza domiciliare e dall’assistenza in Hospice e in alcune realtà, pur essendoci l’Hospice, non esiste l’assistenza domiciliare. L’integrazione richiede un dialogo continuo tra gli operatori dei due servizi ed anche una formazione congiunta». Il contributo specifico della Fondazione ADVAR in quanto non profit continua ad essere quello di garantire il massimo livello della qualità assistenziale nelle cure palliative, di registrare e rilevare i bisogni emergenti del territorio, di fare da pungolo perché la legge 38 venga applicata in tutto il territorio nazionale». afferma la presidente. Tra i nuovi servizi a cui ADVAR sta lavorando ci sono «l’estensione delle cure palliative anche ai malati non oncologici e l’offrire un servizio di day hospice per essere da supporto anche ai malati non ancora in fase terminale».

Fondazione Seràgnoli
La Fondazione Hospice MT. C. Seràgnoli gestisce tre strutture nella città metropolitana di Bologna (Bentivoglio, Bellaria, Casalecchio), con differenti setting: ricovero, ambulatorio, consulenze in ospedale. Nel 2016 sono stati effettuati 1.333 ricoveri e 575 fra visite, controlli e consulenze ambulatoriali: la durata media della presa in carico in ambulatorio è stata di 10 mesi.

«Il coinvolgimento del privato consente di mettere a disposizione dei soggetti pubblici non solo disponibilità finanziarie, ma anche capacità gestionali con l’obiettivo ultimo di migliorare la qualità dell’assistenza erogata al paziente e alla famiglia. La struttura privata entra nella rete delle cure palliative come centro specialistico di riferimento, con una logica che porta benefici a tutti i soggetti coinvolti. Il sistema pubblico risparmia nella gestione di un bisogno della comunità attualmente coperto in modo non sufficiente grazie all’entrata del privato che risponde in maniera adeguata e mirata soddisfacendo l’intera domanda. Il modello porta ad un sensibile innalzamento della qualità di vita per pazienti e famiglie. Questo circolo virtuoso non sempre viene condiviso dalle Istituzioni, che tendono talvolta a considerarci fornitori di servizi e non partner strategici nello sviluppo di progetti congiunti. Questo anche perché la normativa non aiuta, non distinguendo i soggetti privati profit da quelli non profit. Nel futuro sarà necessario avviare un dialogo per valutare se sia possibile sviluppare un quadro di collaborazione più partecipato, partendo da una condivisione di intenti tra pubblico e “privato non profit”».

VIDAS
«Essere non profit permette di osare progetti, buttando il cuore oltre l’ostacolo, si parte perché il bisogno c’è. Il non profit non parte mai partire da risorse a disposizione, non dice “questo è ciò che c’è, qui mi fermo”. Certo, il vicariare su servizi e attività deve essere provvisorio, io parto ma il mio impegno deve essere quello di far nascere un pubblico servizio. Mentre il vicariare sulle risorse economiche è una funzione che il non profit deve avere», afferma Giorgio Trojsi, direttore generale di Vidas. L’associazione è nata a Milano nel 1982 e da allora garantisce cure gratuite, in hospice e a domicilio: nel 2016 sono stati 1.250 le persone seguite a domicilio e 450 in hopsice. Il loro nuovo progetto è la Casa Sollievo Bimbi, che sta sorgendo accanto all’hospice Casa Vidas: offrirà cure e sollievo a bambini e adolescenti malati inguaribili in fase avanzata e ai loro familiari.

Bambini e adolescenti infatti ancora oggi sono sostanzialmente esclusi dalle cure palliative: «È una sfida, non c’è nessun modello, siamo andati all’estero per affinare idea», spiega Giada Lonati, direttrice sociosanitaria di Vidas. «Casa Sollievo sarà molto spostata sugli aspetti relazionali, sarà il ponte tra l’ospedale e il domicilio, favorendo un passaggio meno traumatico e più protetto fra le due realtà. La letteratura ci dice che il 70% del bisogno di cure palliative per i bambini è non oncologico e che ha a che fare con una sopravvivenza più lunga: pensiamo a ricoveri di sollievo e a ricoveri di abilitazione, perché si tratta di bambini complessi da gestire, a fronte di un nuovo peggioramento i genitori dovranno imparare manualità nuove, questo per loro sarà uno spazio cuscinetto meno medicalizzato di un ospedale ma più sicuro della casa. Sì, anche oggi il non profit offre servizi che una parte del pubblico non offre, continuiamo a riempire spazi… penso al nostro progetto “long day”, con pazienti che restano qui da mattino a sera, che stanno “troppo bene” per assistiti a ma che hanno comunque bisogno di un’assistenza: è un servizio tutto pagato da noi, autorizzato ma non accreditato. E gli assistiti non oncologici abbiamo iniziato ad averli più di dieci anni fa, quando ancora la regione non li riconosceva: oggi l’8% dei nostri pazienti sono non oncologici».

ANT
Presente in dieci regioni d’Italia (l’ultimo gruppo, il ventunesimo, è nato a Perugia a inizio 2016), con 432 professionisti, tra cui 135 medici, e 2.064 volontari, Fondazione Ant assiste 10mila persone sofferenti l’anno e 3.400 ogni giorno. Sul versante economico, tramite i suoi sostenitori “immette” nel sistema 16 milioni di euro l’anno. «È una realtà unica in Italia perché ha avuto la capacità di replicare il progetto in diverse zone, creando un modello di assistenza domiciliare ai sofferenti, non legato a un particolare territorio. Questo è importante nel momento in cui si definiscono le politiche sanitarie», afferma Raffaella Pannuti, la presidente. «Bene che si sensibilizzi sul domiciliare, ma il problema delle politiche sanitarie oggi non è individuare le cure palliative domiciliari come setting migliore. Il problema è creare reti di cure palliative che possono essere sostenibili nello spazio e nel tempo: i modelli ci sono e sono i più vari, adesso bisogna arrivare a una conclusione, bisogna avere il coraggio dell’innovazione. Bisogna che il pubblico non solo dica, ma faccia e abbia coraggio di fare realmente questa integrazione con il non profit. Basta con i progetti pilota e le sperimentazione, oggi ci sono esperienze consolidate, il cui impatto è stato misurato, che devono solo essere replicati. L’innovazione deve essere credere nell’integrazione tra pubblico e non profit, avendo ben chiaro che l’obiettivo è il bene comune. Mettere a sistema le esperienze. Se il pubblico vede che il non profit ha una capacità di integrazione reale, di gestione, in appoggio reale con il pubblico, diventa in difetto il fatto che non lo voglia integrare».

SAMOT RAGUSA Onlus
Dal 2011 tutte le cure palliative domiciliari sono erogate in Sicilia tramite sette non profit accreditate: la provincia di Caltanissetta ha da poco contrattualizzato due soggetti, ma non ha ancora avviato servizio, risultando in questo momento scoperta dal punto di vista delle cure palliative domiciliari. Gli hospice in Sicilia invece sono 12, tutti gestiti dal servizio pubblico. Antonio Campo è il coordinatore dei servizi sanitari di Samot Onlus: «Da non profit garantiamo sempre una parte di volontariato e tramite la raccolta fondi riusciamo a innalzare la qualità del servizio: noi ad esempio abbiamo una équipe domiciliare che impianta PIC, ne facciamo 300-350 all’ anno, a costo zero per la pubblica amministrazione e per la famiglia, interamente a carico nostro, in un anno sono circa 60mila euro di materiale. Sulla carta la rete c’è, sta partendo, ma manca un coordinamento delle reti, una uniformità della assistenza, più che tra i soggetti non profit tra le singole Asp: ci sono province con un protocollo di gestione concordato, dove in alcuni momenti della giornata o nei festivi o nel fine settimana, il nostro medico prescrive il farmaco, il paziente va all’hospice, prende il farmaco, che gli viene somministrato a casa… in alcune province questo non è possibile, noi indichiamo il farmaco, il paziente deve andare dal medico curante e poi in farmacia… ma se è sera o domenica… I nostri medici lavorano per un ente accreditato, dovrebbero avere la possibilità di prescrivere il farmaco necessario, questa è integrazione».

Sul numero di Vita in edicola anche i contributi di Luca Moroni, presidente della Federazione Italiana Cure Palliative e direttore dell’hospice di Abbiategrasso e di Furio Zucco, past president della SICP, fondatore della FCP, curatore delle uniche due rilevazioni sugli hospice in Italia.


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