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La vera vittima di Mafia Capitale? Il sociale

La morte delle tre bambine a Roma lo conferma: a scontare le conseguenze di una vicenda come quella di Mafia Capitale, di cui non hanno alcuna colpa, sono più di chiunque altro, proprio loro, gli innocenti, i più fragili. E quel mondo sociale che, aiutando inclusione e cooperazione, è il solo antidoto a violenza, degrado, diseguaglianze

di Michele Anzaldi

Se la giustizia non ha ancora stabilito, in via definitiva, chi sono i colpevoli di Mafia Capitale, le vittime invece si conoscono da tempo. Eppure a due anni e mezzo dall'inizio dell'inchiesta, sembra che di loro nessuno voglia occuparsi.

Contro i disperati appelli delle cooperative sociali e degli utenti dei servizi che a Roma queste hanno sempre garantito, si è alzato infatti un muro altissimo d'indifferenza e fastidio. Vittime due volte: del blocco pressoché totale dei bandi che ha negato loro qualsiasi spazio d'iniziativa e coinvolgimento e per il marchio d'infamia cucitogli indiscriminatamente addosso. Una pena ingiusta e immeritata che si ritrova a scontare proprio chi per anni ha agito bene per il bene comune. Da una parte offrendo servizi pubblici alla collettività – dalla cura del verde, alla pulizia, all'assistenza alle persone – dall'altra caricandosi di una parte importante del disagio sociale della città.

L'indifferenza dimostrata nei loro confronti dall'attuale amministrazione produce così due drammatiche conseguenze: il crollo della qualità della vita dei cittadini romani e la ricacciata dei più deboli dietro la linea d'ombra dalla quale avevano potuto riemergere grazie al percorso di dignità e reinserimento offerto loro dalle stesse realtà associative che oggi si ritrovano umiliate e messe fuori gioco.

Quale futuro si pensa di offrire a quegli ex detenuti, ex tossicodipendenti, disabili psichici che avevano ottenuto un'occasione di riscatto e che oggi si ritrovano senza un lavoro, senza una casa, senza una qualsiasi alternativa alla precarietà e alla povertà assolute? In attesa che i bandi vengano sbloccati, molte associazioni e cooperative hanno dovuto licenziare o mettere in cassa integrazione i propri lavoratori. La maggior parte rischia la chiusura. Tante, per poter solo continuare a dialogare con enti pubblici e pubblica amministrazione, hanno dovuto addirittura cambiare ragione sociale perché di colpo discriminate.

È questo il prezzo da pagare all'immobilismo di cui appare preda l'amministrazione capitolina? È questo il prezzo da pagare alla burocrazia, all'incapacità nel programmare qualsiasi seria misura di contrasto a povertà ed esclusione sociale? Ed è possibile che a pagarlo debbano essere sempre i cittadini, le persone con maggiori difficoltà e chi potrebbe ancora dare un contributo fondamentale?

Di fronte alla grave crisi del terzo settore che a Roma ha ormai raggiunto livelli di guardia, urgono risposte e interventi rapidi. Per questo ho deciso di scrivere al Prefetto di Roma Paola Basilone chiedendole di promuovere un incontro istituzionale tra tutti i soggetti coinvolti, a partire dal Comune di Roma, al fine di affrontare al più presto questa drammatica emergenza sociale e occupazionale. Non è infatti più tollerabile che, nell'indifferenza generale, a scontare le conseguenze di una vicenda come quella di Mafia Capitale, di cui non hanno alcuna colpa, siano, più di chiunque altro, proprio loro: i più fragili.


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