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Cooperazione & Relazioni internazionali

La startup che trasforma i rifugiati siriani in insegnanti di arabo

Una piattaforma online organizza corsi di conversazione via Whatsapp e Skype, per aiutare gli studenti di arabo a parlare la lingua e i profughi siriani a trovare lavoro come insegnanti, combattendo allo stesso tempo gli stereotipi su cosa significa essere un rifugiato

di Ottavia Spaggiari

Non solo rifugiati ma insegnanti madrelingua, capaci di aprire le porte di un’intera civiltà e accogliere i propri studenti. È questa l’idea alla base di NaTakallam, letteralmente “Parliamo”, la startup che mette in contatto via skype e whatsapp rifugiati siriani e studenti di arabo in giro per il mondo. Un’impresa sociale che fa leva sulle capacità dei milioni di persone in fuga dalla guerra, risolvendo un problema nel quale prima o poi tutti gli studenti di arabo finiscono per imbattersi.

“Quello che si studia all’università di solito è l’arabo classico, una lingua che viene capita in tutti e 22 i Paesi della Lega Araba ma che è anche una sorta di equivalente dell’inglese Shakespeariano, provate a parlarlo e verrete subito riconosciuti come stranieri”, spiega Aline Sara, fondatrice della società, arrivata a Beirut nel 2014, dopo una laurea in relazioni internazionali, per lavorare come cooperante e rispolverare l’arabo, studiato appunto sui banchi di scuola.

“Arrivata lì ho assistito agli sviluppi della situazione ed è stato devastante”, un’emergenza umanitaria che vede protagonisti 1,5 milioni di profughi siriani in un Paese in cui vivono anche circa mezzo milione di profughi palestinese. Secondo il Guardian, oggi, in Libano circa 1 persona su 3 è un profugo. “Continuavo a pesare a come sarebbe stato per me se fossi stata io al posto di uno di quei siriani. Se fossi stata io ad essermi appena laureata quando la guerra era scoppiata e se fosse stato il mio Paese ad essere distrutto e se fossi stata io adesso ad essere una rifugiata in Libano. Tutto ciò che avevo fatto nella mia vita, tutti i miei studi, adesso non avrebbero più valore, perché qui non potrei lavorare.”

Da qui l’idea di creare una piattaforma che potesse favorire l’incontro e lo scambio linguistico tra rifugiati siriani e studenti, per promuovere l’insegnamento del molto più utilizzato arabo levantino. L’esperimento lanciato nel 2015 oggi impiega 55 insegnanti madrelingua, attivi in 11 Paesi, per la maggior parte in Libano. Gli insegnanti sono persone laureate, architetti, ingegneri, medici, senza che necessariamente abbiano una preparazione da insegnanti, perché il metodo di NaTakallam è proprio questo: imparare la lingua attraverso occasioni autentiche di conversazione. Un sistema che piace sempre di più, anche alle università americane, sono diverse quelle che stanno iniziando ad utilizzare la piattaforma, dal Boston College alla Duke University.

Obiettivo, fare sì che ogni insegnante arrivi a guadagnare almeno un salario minimo per vivere nel Paese in cui si trova. La funzione di NaTakallam, però non è solo economica. Da un questionario inviato agli insegnanti, infatti, tra gli aspetti più importanti di questo lavoro ha a che fare con la parte relazionale. Tra le cose più apprezzate, spiega Aline Sara, vi è “il fatto di essere in contatto con altre persone in giro per il mondo, di incontrare nuovi amici e cambiare quella che spesso è una narrativa falsa e ingiusta riguardo a cosa significa essere un rifugiato.”

Foto: Avi Richards


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