Politica & Istituzioni

Armi italiane ai regimi autoritari

Esportazione record di sistemi militari verso paesi fuori da Nato e Ue: oltre 9,2 miliardi nel 2016

di Giorgio Beretta

Più di 9,2 miliardi di euro. Per la precisione 9.240.403.172, 97 euro. È il valore delle esportazioni di sistemi militari autorizzate nel 2016 dal ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) ai paesi che non fanno parte dell’Ue e della Nato. Rappresentano il 63,1% di tutte le esportazioni autorizzate che l’anno scorso hanno superato i 14,6 miliardi di euro (14.637.777.758 euro). Un record storico dal dopoguerra sul quale ci si sarebbe aspettati qualche commento da parte della sottosegretaria di stato alla Presidenza del consiglio dei ministri, Maria Elena Boschi, che ha inviato alle Camere la “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, riferita all’anno 2016.

La legge n. 185 del 1990 che regolamenta la materia stabilisce infatti che l’esportazione e i trasferimenti di materiale di armamento «devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia». Ed autorizzare l’esportazione di sistemi militari a paesi al di fuori delle principali alleanze politiche e militari dell’Italia – cioè, appunto, a paesi non appartenenti all’Ue o alla Nato – è un fatto che richiederebbe qualche spiegazione.

I conti non tornano

Invece, nella relazione di sua competenza, la sottosegretaria Boschi non solo non offre alcuna spiegazione riguardo a queste autorizzazioni, ma anzi stravolge i dati. Nella relazione della Presidenza del consiglio (Pcm) si legge infatti: «I principali Paesi autorizzati sono stati quelli UE/NATO, con l’81,6% del valore totale e, più precisamente, come principali partner si sono registrati il Regno Unito (€ 2,367 miliardi), la Germania (€1,072 miliardi), la Francia (€ 574,5 milioni) e la Spagna (€ 443,9 milioni) e, tra quelli extra europei, il Kuwait (€ 7,706 miliardi di euro). Sul valore delle esportazioni e sulla posizione del Kuwait come primo partner, incide una licenza di 7,308 miliardi di euro per la fornitura di 28 aerei da difesa multiruolo di nuova generazione Eurofighter Typhoon, realizzati in Italia» (Volume 1, p. 2).

L’affermazione non trova però riscontro nella relazione del Maeci, che invece precisamente riporta: «Nel 2016 il valore dei trasferimenti intracomunitari/esportazioni nei Paesi UE/NATO è stato pari al 36,9% del totale (le licenze 2.122), il rimanente 63,1% nei Paesi extra UE/NATO (le licenze 477). E – come si vede nel Grafico 3 del MAECI – il valore delle autorizzazioni all’esportazione verso i Paesi extra UE/NATO è appunto di 9.240.403.172,97 euro» (Volume 1, p. 10).

Un semplice refuso per aver confuso le percentuali del numero di licenze rilasciate con quelle relative al loro valore? Possibile, ma difficile crederlo considerato che la relazione della Pcm elenca proprio i valori in euro delle licenze rilasciate ai principali paesi europei. Ma consideriamolo pure un veniale refuso.


Esportazioni pericolose

Il nocciolo del problema sono infatti quei 9,2 miliardi di euro di autorizzazioni ad esportare sistemi militari ai paesi extra Ue/Nato. È vero che 7,3 miliardi riguardano la già citata fornitura di 28 caccia multiruolo Eurofighter Typhoon (foto in alto). Ma anche a proposito di questa autorizzazione il Maeci avrebbe dovuto fornire qualche spiegazione visto che il Kuwait è parte, ed attivamente impegnato con 15 caccia, nella coalizione a guida saudita che nel marzo del 2015 è intervenuta militarmente in Yemen senza alcun mandato internazionale. E la legge n. 185/1990 vieta espressamente l’esportazione di sistemi militari «verso Paesi la cui politica contrasti con i princìpi dell’articolo 11 della Costituzione».

E, rimanendo nell’ambito mediorientale, spiccano le autorizzazioni all’Arabia Saudita per un valore complessivo di oltre 427 milioni di euro tra cui figurano bombe, razzi, esplosivi e apparecchi per la direzione del tiro e altro materiale bellico. Sebbene la relazione non indichi il paese destinatario delle autorizzazioni rilasciate alle aziende, l’incrocio dei dati forniti nelle varie tabelle ministeriali, permette di affermare con ragionevole certezza che una licenza da 411 milioni di euro alla RWM Italia riguarda proprio l’Arabia Saudita: si tratta, nello specifico, dell’autorizzazione all’esportazione di 19.675 bombe Mk 82, Mk 83 e Mk 84 all’Arabia Saudita.

Una conferma in questo senso è contenuta nella relazione finanziaria di Rheinmetall per l’anno 2016 che segnala un ordine «molto significativo» di «munizioni» per 411 milioni di euro da parte di un «cliente della regione MENA» (Medio-Oriente e Nord Africa). Si tratta del tipo di bombe utilizzate dalla Royal Saudi Air Force per bombardare lo Yemen e ritrovate dal gruppo di esperti delle Nazioni Unite a seguito dei bombardamenti nella città di Sana’a (di cui ho parlato in un mio precedente articolo).

Esportazioni che l’allora ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha giustificato affermando, in risposta ad una interrogazione parlamentare, che «l’Arabia Saudita non è oggetto di alcuna forma di embargo, sanzione o restrizione internazionale nel settore delle vendite di armamenti». Tacendo però sulla risoluzione del Parlamento europeo, votata ad ampia maggioranza già nel febbraio del 2016, che ha invitato l’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione, Federica Mogherini, ad «avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita» alla luce delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale perpetrate dall’Arabia Saudita nello Yemen. Questa risoluzione, finora, è rimasta inattuata anche per la mancanza di sostegno da parte del governo italiano.

Nel frattempo il ministero degli Esteri ha continuato ad autorizzare forniture militari e di bombe all’Arabia Saudita. Nel 2016 le forniture militari ai paesi dell’Africa Settentrionale e del Medio Oriente ammontano ad oltre 8,6 miliardi euro e ricoprono da sole più del 58,8% delle esportazioni di materiali militari autorizzate.

Si tratta delle zone di maggior tensione del mondo e la gran parte dei paesi dell’area è governata da regimi autoritari e da monarchie assolute irrispettose dei più basilari diritti umani. Fornire armi e sistemi militari a questi regimi, oltre a contribuire ad alimentare le tensioni, rappresenta un tacito ma esplicito consenso alle loro politiche repressive. I risultati di queste politiche sono le migliaia di profughi e migranti che con ogni mezzo cercano rifugio sulle nostre coste. Di cui sentiamo parlare ogni giorno. Mentre delle bombe – anche italiane – che alimentano questi conflitti i maggiori media nazionali sembra non sappiano nulla.


da osservatoriodiritti.it

*Giorgio Beretta
Analista del commercio internazionale e nazionale di sistemi militari e di armi comuni. Svolge la sua attività di ricerca per l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (Opal) di Brescia che fa parte della Rete italiana per il disarmo (Rid). Ha pubblicato diversi studi, oltre che per l’Osservatorio Opal, anche per l’Osservatorio sul commercio delle armi (Oscar) di Ires Toscana (Istituto di ricerche economiche e sociali) della Cgil di Firenze, per l’Annuario geopolitico della pace di Venezia e numerosi contributi, anche sul rapporto tra finanza e armamenti, per diverse riviste e quotidiani nazionali e per il sito unimondo.org


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