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A che cosa servono le fiere del libro?

Più di duecento scrittori, tra i quali alcuni membri dell'Accademia svedese, hanno annunciato il boicottaggio di Göteborg Book Fair, tra le più grandi fiere del libro d'Europa, che raccoglie ogni anno circa centomila visitatori e mille espositori. La protesta nasce dalla presenza in fiera dello stand della rivista Nya Tider. La rivista avrebbe legami con i neonazisti in Svezia. E il dibattito si sta animando giorno dopo giorno: le fiere del libro sono piazze, luoghi di discussione o centri commerciali come tanti?

di Marco Dotti

Non basta raggruppare un po' di teste pensanti per dar luogo a un vero spazio pubblico. Non basta firmare appelli per dar corpo a un dibattito. Non basta riunire libri, anziché scatole o barattoli di conserva per dire che una fiera del libro sia un'oasi di libertà in un deserto di omologazione. E così, mentre gli spazi pubblici esistenti vedono erodersi i presupposti stessi della loro ragion d'essere, nuovi non sembrano sorgerne. Anche per quanto riguarda tutto ciò che con i libri dovrebbe intrattenere un intimo legame. Responsabilità di parola su tutto.

Così, l'11 maggio scorso, con un post sul suo profilo facebook, la scrittrice finlandese Laura Lindstedt, che grazie al suo romanzo Oneiron (in Italia è uscito nel novembre scorso da Elliott) si è guadagnata un ruolo di tutto prestigio sulla scena europea, ha lanciato il sasso: è coerente con la propria missione partecipare a una fiera dell'editoria dove, tra gli stand, si trovano riviste di estrema destra e editori neonazi? Un sasso, ma grande come un macigno, cosiderando che la fiera è quella di Göteborg, in Svezia, dove si terrà dal 28 settembre prossimo, e che la Finlandia è il paese ospite, in ragione del centenario della sua indipendenza. La Göteborg book fair è tra le più importanti in Europa e Laura Lindstedt è un'autrice le cui parole, oltre il circolo dei lettori, trovano sempre grande risonanza, riuscendo a creare dibattito. Così è stato, con decine di scrittrici e scrittori che si sono esposti, prendendo posizione. Grandi assenti le case editrici, che evidentemente non hanno più alcuna coscienza di sé e della propria funzione, fuori da quella aziendale.

Ma che cosa accade, a Göteborg? Il fatto ce lo descrive l'autrice stessa: «sono stata invitata tra gli ospiti della Fiera, felice dell'invito, ma qualcosa ha cominciato a inquietarmi. Ho atteso qualche settimana prima di pronunciarmi, intervenendo pubblicamente». Che cosa ha preoccupato Laura Lindstedt? La presenza in fiera dello stand alla rivista di estrema destra Nya Tider. La rivista era presente anche lo scorso anno, in verità, e già aveva destato malumori. Tanto che, spiega Lindstedt, «il comitato della fiera aveva reagito prima chiudendole la porta poi, basandosi su un parere giuridico, ha cambiato idea: se l'espositore non ha infranto la legge – questo è l'appiglio – è benvenuto alla fiera». E qui veniamo a quel groviglio di vipere che rischia di essere la libertà di espressione, quando è male interpretata e quando diventa un sofisma da azzeccagarbugli.

Stuoli di avvocati, consulenti e giuristi sono stati mobilitati dall'editore di Nya Tider per dimostrare che la sua rivista non infrange alcuna norma dell'ordinamento giuridico svedese e, di conseguenza, con il solito ragionamento capzioso «impedire la sua partecipazione sarebbe lesivo della libertà di espressione». Un politicamente corretto rovesciato e in salsa nera, insomma.

Ora, spiega Lindstedt, «parte degli scrittori ospite invitati alla fiera e degli espositori ha dichiarato che boicotterà la fiera. La direttrice generale della Fiera Maria Källsson ha annunciato che non si piegherà davanti al boicottaggio. Nya Tider, rivista con una tiratura di 4147 copie, che viene pubblicata una volta alla settimana e che ottiene un sussidio per la stampa pari a 3,4 milioni di corone svedesi, ossia 350 000 euro all'anno, potrà quindi continuare a tenersi il suo stand».

Maria Källsson, prosegue Lindstedt, «si giustifica facendo ricorso alla libertà di espressione. Nella democrazia rientra la tolleranza per le opinioni dissenzienti e vendere uno stand a una rivista di estrema destra non significa, secondo Källsson, che la fiera (o le parti che a essa prendono parte) condivide lo stesso sistema di valori». Come criterio discriminante, gli organizzatori si appellano alla legge svedese “Organisationer med dokumenterat våldskapital hör inte hemma på Bokmässan." (DN 30.3.2017). Così, se Nya Tider è stata accolta in Fiera, il movimento di resistenza nordica è stato invece estromesso. Perché, secondo la direttrice, «Nordfront è per definizione un’organizzazione antidemocratica». Anche le due riviste più apertamente xenofobe come Avpixlat e Granskning Sverige, a quanto pare potranno essere presenti.

Ma il criterio è fragile. Anche perché, ribatte Lindstedt, «la rivista on line Expo, che partecipa al boicottaggio, ha indagato i legami tra Nya Tider e organizzazioni apertamente naziste, come ad esempio Il movimento di resistenza nordica, scoprendo esistono. Grattando un po’ la superficie saltano fuori anche delle "verità alternative" a partire dalle teorie cospiratorie antisemitiche (http://expo.se/2016/det-har-ar-nya-tider_7147.html)». Il direttore di Nya Tider Vavra Suk è inoltre uno dei padre fondatori del Partito Nazional Democratico (Nationaldemokraterna) e il principale ideologo di questa formazione di destra radicale.

La direttrice di Göteborg Book Fair, Maria Källsson, vede la fiera del libro come una piazza aperta in cui si arriva per dibattere in uno spirito di “civilizzazione/erudizione” ("bildning")). E bildning è proprio il tema principale della fiera di quest'anno, fiera che dichiara contro il populismo e l'intolleranza. Possiamo escludere i gruppi estremisti dalla nostra Fiera, dichiara Källsson, ma non possiamo chiuderli fuori dalla nostra società. Escluderli non farebbe altro che lucidare la loro aura di perseguitati e martiri.

Lindstedt spiega che per lei «è stato difficile mandar giù queste motivazioni. Le fiere del libro sono operatori commerciali, non uno Stato in miniatura. Lo Stato può essere tacciato di esercitare una censura, una fiera del libro può invece liberamente scegliere a quali visioni aprire la sua arena. A quali valori darei – detto più precisamente: vendere – spazio e con lo spazio, che ci piaccia o no, in una certa misura arriva anche una legittimizzazione. Argomentazioni razziste, xenofobe e fondate sulla disinformazione diventano una forma di argomentazione tra le altre una volta che l’accordo commercial è concluso.
Alle fiera del libro si trovano sempre espositori strani. Ci sono quelli che pubblicizzano le consultazioni angeliche, i fan dell’astrologia e quelli che credono nell’omeopatia. A me questo non importa. Non li considero una minaccia alla democrazia. Non immagino mica di dover in linea di principio essere capace di sottoscrivere i valori e il sistema di pensiero di tutti gli espositori per poter partecipare a una fiera. Sarebbe assurdo.Detto questo, visto lo stato attuale del mondo, ritengo sia una decisione irresponsabile vendere uno stand della Fiera a un istituto di estrema destra, vicino a movimento di resistenza dei paesi nordici».

Lindstedt ricorda che Maria Källsson e il direttore della Fiera del Libro di Francoforte, Jürgen Boos hanno pubblicato nel dicembre 2016 una dichiarazione il cui scopo era difendere la società aperta e tollerante – e la presenza di attori come Nya Tider alle due fiere. Källsson e Boos hanno «sottolineato che il nucleo delle Fiera del Libro è sempre stato un acceso dibattito politico. Nel 1960 c’erano le rivolte studentesche, nel ’70 il movimento ambientalista, nel ’90 la guerra civile jugoslava: e tutti questi conflitti sono stati riflessi da autori e attivisti a Francoforte durante la Fiera del Libro». Ma il conflitto, oggi, rischia di diventare un alibi.

«Non vedo un collegamento tra gli esempi forniti e il dibattito politico che la vendita a un soggetto di estrema destra rappresenta, rimarca Lindstedt, che ricorda come «lo scorso anno alla Fiera del Libro di Istanbul si è discusso della carcerazione di un autore turco da parte di Asli Erdoğan. Nel 2015 in Finlandia si è parlato in modo critica dell’elezione della Russia come paese tema della fiera di Helsinki. Non vedo questo stesso tipo di dibattito in relazione al problema Göteborg».

Volendo allargare lo sguardo, dovremmo dire che lo stesso silenzio è caduto sulla recente fiera di Dubai, dove l'Italia era paese ospite. Reazioni sulla condizione delle donne o sui diritti umani, boicottaggi o rifiuti da parte di scrittrici e scrittori italiani invitati negli Emirati Arabi? Nessuna.

Le Fiere del Libro sono luoghi di democrazia, non di intolleranza xenofoba. Oppure sono meri esercizi commerciali, e allora vale tutto e il contrario di tutto. Le fiere sono, per Lindstedt, «il luogo, se ce n’è uno, in cui anche gli scrittori che vivono e lavorano in Stati non democratici possono esprire in modo sicuro le loro opinioni ed esperienze. Ho avuto diverse discussioni con i colleghi e con l'Istituto finlandese a Stoccolma che mi aveva invitato alla fiera. E sono arrivata alla conclusione che qualunque decisione sarebbe stata cattiva. Che al di là della mia decisione, tutto questo circo finirà per dare solo visibilità a degli estremisti. Trovo problematico anche il modo in cui questo show serve alla visibilità di noi autori. Ci viene offerto il ruolo dei buoni in un dramma in cui I dialoghi sono per lo più scritti in anticipo. Ho provato a immaginare come io stessa prenderei il palco per recitare la parte che mi viene offerta la parte. Con una bella t-shirt di Nelson Mandela? Con un discorsetto “I Have A Dream”?».

Il politicamente corretto è morto, ma i problemi dell'intolleranza, del razzismo, della violenza verbale e fisica rimangono tutti. «Mi infastidiscono, mi sento frustrata e mi sento stremata al solo pensiero. A chi giova tutto questo? Sento anche un'irritazione sempre crescente sul modo in cui gli scrittori sono costretti a dimenarsi in questo spazio di scelte solo apparenti. Molti colleghi andranno lì per manifestare a favore della libertà di espressione e dei valori democratici. Io rispetto la loro decisione. Credo che la Fiera genererà delle buone discussioni, dopo tutto, gli scrittori sono i professionisti della parola».

Alla fiera, «parteciperanno molti scrittori che ammiro e l’organizzazione Pen. Avrei voluto essere del gruppo. Incontrare I colleghi e I lettori. Certamente avrei volute anche fare la mia parte per lanciare la traduzione in svedese del mio romanzo Oneiron.

Ma più ci pensavo e meno mi sentivo convinta. Ho sentito che alla fine di tutto ci sia una sola domanda, a cui devo rispondere. E cioè: è giusto o sbagliato vendere uno stand a una rivista di estrema destra, che si posiziona ai margini dell'ideologia nazionalsocialista, in nome della società aperta, della democrazia e della libertà di espressione? Credo che la decisione del comitato della Fiera sia sbagliata e le argomentazioni addotte non mi convincono. Capisco che partecipare al boicottaggio non cambia nulla, perché la fiera ha già preso la sua decisione in proposito. Ma non vedo altre opzioni. Tra le due scelte sbagliate, ho scelto con sofferenza quella che ritengo meno sbagliata».

Una scelta sofferta, anche per altri scrittori. «Ho perso anche il sonno», afferma Kjell Westö, del quale appena uscito per Iperborea un suo libro. Alla fine, più duecento scrittori – tra cui ci sono anche membri dell'Accademia svedese – hanno annunciato il boicottaggio della più grande fiere del libro d'Europa, che raccoglie ogni anno circa centomila visitatori e mille espositori.

Kjell Westö, finlandese che scrive in svedese (lo svedese è la seconda lingua ufficile della Finlandia), che non ha ancora deciso se partecipare o meno: «sarà una delle decisioni peggiori della mia carriera e qualunque sarà la scelta che farò, mi rimarrà l’amaro in bocca». Westö vorrebbe boicottare perché odia la violenza che Nya Tider in collegamento stretto con l’organizzazione palesemente nazionalsocialista Nordfront rappresenta. L'autore di Miraggio 1938 (traduzione di Laura Cangemi, Iperborea, 2017) ricorda che questa è una tattica spesso usata dai movimenti estremisti antidemocratici. Apparentemente l’ala interna “pulita” gioca con le regole della democrazia, e l’altra più aggressiva, spaventa e minaccia o addirittura ricorre alla violenza.

«Non ho nulla contro il fatto che la società discuta e che non siamo tutti d’accordo su tutto. Anzi, questo è un prerequisito della democrazia. Ma ora si tratta di un movimento estremista che utilizza i suoi diritti democratici per diffondere odio e paura, e per allungare i limiti della democrazia nella direzione della violenza». Westö, che è anche giornalista, lancia poi un altro sasso, in quella che oramai è diventata una palude: gli scrittori stanno prendendo posizione, ma le case editrici? È singolare, osserva, che «le grandi case editrici in Svezia assumendo al riguardo una posizione chiara e tempestiva».

La Fiera di Göteborg si terrà a fine settembre. Mancano ancora quattro mesi. Non è difficile pensare che, in questi quattro mesi, il dibattito crescerà di intensità e livello e altre voci si uniranno. E questo sarà un bene per tutti.

(La traduzione, dal finlandese, dell'intervento di Laura Lindstedt, è di Irene Sorrentino)


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