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Le Ong si preparano a lasciare le isole greche

Dopo la dichiarazione della fine dell’emergenza umanitaria, lo scorso dicembre, le Ong dovranno lasciare i cinque hotspot sulle isole entro la fine di luglio. Un passaggio naturale secondo Unhcr, che però solleva molte domande tra le organizzazioni: chi gestirà i progetti e i servizi sviluppati negli ultimi anni al loro posto?

di Ottavia Spaggiari

Le Ong lasceranno gli hotspot sulle isole greche, cedendo così il passo al governo che dovrà assumersi l’intera gestione dei centri. Lo ha annunciato l’Independent, sottolineando che il ritiro delle organizzazioni è dovuto ad una deviazione dei fondi UE che le lascerà senza contratto a partire dal 31 luglio. Negli anni, le Ong hanno infatti ricevuto finanziamenti dalla Direzione generale per gli Aiuti Umanitari e la Protezione Civile della Commissione Europea (ECHO), per fornire servizi che vanno dalla lavanderia, alla distribuzione dei vestiti, al salvataggio in mare, fino alla protezione dei minori.

Una decisione che, secondo l’Unhcr, non dovrebbe lasciare sorpresi. “La Grecia non è più in uno stato di emergenza da dicembre 2016, riadattare la strategia degli aiuti in questa fase è inevitabile.” Ha dichiarato a vita.it, Leo Dobbs, Communications Officer di Unhcr, Grecia. Gli arrivi, dopo l’accordo UE-Turchia di marzo 2016 sono in effetti calati notevolmente. Se nei primi 5 mesi del 2016 erano stati 156.067 i profughi ad entrare nel Paese, nello stesso periodo, quest’anno sono appena 6.395. “Nel 2010 e nel 2011 il flusso degli arrivi era cresciuto molto e il sistema dell’accoglienza greco, già allora, si era rivelato inadeguato”, ha affermato Dobbs, da qui il forte coinvolgimento delle Ong, nel momento dell’emergenza, nel 2014 e nel 2015, quando il numero di profughi aveva toccato la cifra record di 800mila profughi approdati sulle coste greche, nello stesso anno gli arrivi in Italia erano stati 150mila. La situazione è cambiata completamente, in Italia da inizio 2017, sono arrivate invece 50.041 persone, cifre nettamente inferiori rispetto alla crisi umanitaria che ha vissuto la Grecia, ma che riporta l’Italia al primo posto come meta dei migranti per entrare in Europa.

Secondo l’Unhcr oggi sono circa 6mila le persone bloccate sulle isole greche, nei 5 hotspot e nei due campi profughi gestiti dalle amministrazioni locali di Lesbo e Chios, anche se il dato non combacia con le stime del governo greco, secondo cui i profughi sulle isole sarebbero 13mila.

“Il governo greco si assumerà sempre di più la responsabilità della gestione dei servizi che oggi sono portati avanti dall’Unhcr e dalle altre organizzazioni. C’è ancora molto lavoro da fare ma il sistema di accoglienza governativo ha fatto molti passi avanti.” Eppure non tutti sono d’accordo. Sono diverse le Ong ad aver espresso preoccupazioni davanti al modo in cui questa fase di transizione è gestita. “Le persone non sanno cosa succederà”, ha dichiarato all’Independent Nicholas Millet dell’organizzazione svizzera, Be Aware and Share, che si occupa di un progetto scolastico sull’isola di Chios. “Non ci sono piani chiari sul passaggio di consegne e sulla transizione, il Governo non ha dato indicazioni rispetto a cosa prenderà in carico.” Proprio rispetto all’Isola di Chios, il Ministro per le migrazioni, Yiannis Mouzalas aveva descritto recentemente la situazione sull’isola come vicina al tracollo, dopo diversi tentativi di suicidio da parte dei profughi e attacchi dell’estrema destra. “Chi si occuperà dei servizi di protezione minori sull’isola? Dell’istruzione e della distribuzione alimentare?” Be Aware and Share infatti si occupa della distribuzione di circa 800 pasti, 2 volte al giorno sull’isola. Le preoccupazioni di Millet sono condivise da altre Ong.

Il presidente di Médecins du Monde (MDM) ha raccontato all’Independent che il governo greco lo scorso Marzo aveva chiesto all’organizzazione di lasciare Moria entro la fine di aprile, il che aveva portato l’organizzazione a ridurre i membri dello staff. Ben presto però si è capito che il governo non era pronto per prendere il comando e l’Ong è dovuta rimanere un altro mese. “Non è una cattiva idea il fatto che lo stato assuma la gestione dei campi”, ha dichiarato il presidente di Médecins du Monde (MDM), Nikitas Kanakis. “La questione è come lo faranno e in molti casi non hanno alcuna esperienza.”

Anche Save the Children non ha ricevuto indicazioni più precise. “Rimaniamo in attesa. Non è ancora chiaro come i servizi saranno gestiti.”

La situazione nei campi rimane di fatto difficile, ammette Dobbs: “In molti aspettano da mesi. Per fare spazio ai nuovi arrivi diverse persone sono state trasferite nei campi sulla terraferma, ricavati in ex capannoni e magazzini industriali. Per questo cerchiamo di sistemare o casi che presentano più fragilità in appartamenti o in hotel”. Da novembre 2015 sono stati circa 30mila i profughi ad avere avuto questa, secondo Unhcr, la maggior parte però ha continuato a vivere in condizioni estreme, nei campi profughi, per mesi. Sulla terraferma, sono ancora 45mila le persone in attesa dell’asilo, della relocation o del ricongiungimento famigliare.

Foto: Save the Children


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