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Sanità & Ricerca

Swan Europe, un cigno per le sindromi senza nome

Ogni anno in Europa nascono 65mila bambini con una condizione sconosciuta e che rischiano di non avere mai una diagnosi. Pensa a loro la federazione Swan (Syndromes Without A Name) che riunisce associazioni italiane, francesi, spagnole, olandesi, inglesi oltre alla federazione europea dei malati rari Eurordis. Per l'Italia ci sono fondazione Hopen e Uniamo

di Redazione

Sono un milione i ragazzi sotto i 16 anni che in Italia non hanno una diagnosi. È un dato spaventoso. A fornirlo Federico Maspes, presidente della Fondazione Hopen che in Italia rappresenta la neonata Federazione Swan Europe che si occupa proprio delle malattie senza nome.

“Swan”, in inglese, significa cigno. Ma la federazione appena nata si occupa di una problematica molto grave che riguarda più di 65mila bambini nati ogni anno in Europa con una condizione genetica così rara che spesso è impossibile da diagnosticare. SWAN è infatti l'acronimo di Syndromes Without A Name, sindromi senza nome. La coalizione di Swan Europe, capitanata dall'inglese Swan UK, riunisce le associazioni italiane, francesi, spagnole e olandesi, oltre alla federazione europea dei malati rari EURORDIS. L'Italia è rappresentata oltre che dalla Fondazione Hopen, dalla Federazione Italiana Malattie Rare UNIAMO.

Più della metà di tutti i bambini che si sottopongono a un test genetico in Europa non avrà mai una diagnosi confermata per condizioni che spesso sono complesse, gravi e potenzialmente letali. I bambini con sindromi senza nome sono impossibili da seguire, perché i sistemi sanitari nazionali non gestiscono un registro delle persone senza diagnosi: ciò significa che i malati incontrano molte difficoltà ad accedere all'assistenza sanitaria e ad un supporto adeguato.

Tutte le organizzazioni che fanno parte di Swan Europe sostengono le Raccomandazioni internazionali congiunte per affrontare le esigenze specifiche dei pazienti con malattie rare non diagnosticate, linee guida pubblicate nell'ottobre 2016 dalle associazioni dei pazienti in Europa, Nord America, Australia e Giappone.

In Italia dunque un milione di ragazzi sotto i 16 anni non ha una diagnosi certa per la propria malattia, o sta cercando di ottenerla da anni. Il 40% di loro – 400mila – non la troverà. Sono dati dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, quelli citati dal dottor Federico Maspes, presidente della Fondazione Hopen. «Il problema delle sindromi senza nome è relativamente recente: in Italia siamo stati i primi ad interessarci a questo tema», spiega Maspes ad Osservatorio Malattie Rare. «Il sequenziamento di nuova generazione è uno strumento potentissimo, ma in più della metà dei casi non è sufficiente per identificare patologie ultra rare, o nella migliore delle ipotesi permette di individuare mutazioni che magari, nel mondo, vengono condivise da pochissimi pazienti. Così i pazienti restano senza alcun tipo di tutela e senza la possibilità di accedere al supporto dei sistemi sanitari».

Tre gli obiettivi fondamentali per contrastare questa condizione che si pone Swan Europe: il primo, più pratico, è quello di sostenere le famiglie, raccogliere informazioni, condividere esperienze e buone pratiche, e dare visibilità alle associazioni che ne fanno parte, anche tramite il sito internet che presto verrà messo online.

Il secondo è aumentare la consapevolezza dei professionisti sanitari, stabilire linee guida e procedure condivise, sostenere la ricerca e magari promuovere degli ambulatori specifici per i pazienti senza una diagnosi, come quello diretto dal Andrea Bartuli all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma: nato nell'ottobre 2016, è l'unico di questo tipo in Italia e ha rappresentato una grandissima novità nel panorama nazionale.

Il terzo obiettivo, quello fondamentale, sarà coinvolgere le istituzioni, perché alle persone non diagnosticate deve essere data un'identità, un riconoscimento. «Si tratta principalmente di bambini che sono stati valutati con test di ogni tipo – metabolici, neurologici, gastroenterologici – e che alla fine di questo lungo percorso sono costretti ad accettare la condizione di non diagnosi», conclude Maspes. «Non possono essere abbandonati in un limbo»

In apertura foto di David Cohen/Unsplash


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