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Giorgia Linardi (MSF): Così i libici aprono il fuoco in mare

L’intervista alla Responsabile Affari Umanitari di Medici Senza Frontiere, uno dei 40 membri dello staff di Medici Senza Frontiere a bordo della nave Acquarius, dopo l’ennesima tragedia sfiorata causata dall’intervento della Guardia Costiera Libica, che ha sparato colpi di kalashnikov durante un’operazione di soccorso che ha coinvolto oltre mille persone

di Ottavia Spaggiari

“Abbiamo 1004 persone a bordo. Stiamo passando la Sicilia ma per via del G7 tutti i porti sull’isola sono chiusi, così siamo diretti a Salerno.” Giorgia Linardi, Responsabile Affari Umanitari di Medici Senza Frontiere (MSF), uno dei 40 membri dello staff di MSF sull’Acquarius al telefono, ha la voce provata. Questa deviazione aggiunge altre 18 ore ad una navigazione già parecchio difficile. “La portata massima dell’Acquarius è di 600 persone. Siamo al limite, ci troviamo a spostare le persone da una parte all’altra della nave, perché rischia di inclinarsi. Abbiamo a bordo un centinaio di donne, molti bambini anche piccolissimi e poi almeno 20 ragazzini sotto i sedici anni che viaggiano soli”.
Non è però il numero da record delle persone soccorse ad aver segnato questa operazione di MSF (la nave non aveva mai accolto a bordo così tante persone), quanto piuttosto l’ennesima tragedia sfiorata causata dall’intervento della Guardia Costiera Libica, che ha sparato colpi di kalashnikov durante i soccorsi. Un altro episodio dopo quello del 10 maggio, che avevamo raccontato qui, e che è stato denunciato da Amnesty International.

Giorgia, ci spieghi cos’è successo.

Martedì mattina, intorno alle nove meno dieci, abbiamo ricevuto una chiamata dal Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo di Roma (IMRCC) che ci ha segnalato la presenza di diverse imbarcazioni in difficoltà (9 gommoni e 2 barche di legno n.d.r.), ci siamo così subito diretti sulla loro posizione per distribuire i giubbotti di salvataggio. Dopo che avevamo già iniziato l’operazione, è arrivata una motovedetta della Guardia Costiera Libica. Hanno sparato colpi di Kalashnikov in aria. Due ufficiali sono anche saliti su un gommone e ne hanno preso il comando portandolo verso sud, secondo alcune testimonianze chiedevano soldi ai migranti. Anche loro hanno sparato in aria, forse l’intenzione era quella di mantenere il controllo, l’esito però è stato l’opposto. Gli spari hanno creato il caos, le persone spaventate si sono buttate in acqua.

Ci sono state vittime?

Da quanto ci risulta, miracolosamente nessuno è annegato ma non possiamo affermarlo con certezza. In un’operazione così vasta, con così tante imbarcazioni e così tante persone è difficile avere il quadro completo. L’ operazione di salvataggio è stata resa ancora più difficile, abbiamo dovuto interrompere i soccorsi per andare ad estrarre dall’acqua 67 persone che si erano buttate in mare.

Nel momento in cui entra in gioco la Guardia Costiera Libica, chi coordina l’operazione?

Tutte le operazioni sono gestite dal Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo di Roma che nominano sempre un’imbarcazione responsabile del coordinamento, in questo caso si trattava della Vos Hestia, la nave di Save The Children. Il controllo dovrebbe essere assunto dalla Guardia Costiera nel momento in cui interviene, ma il passaggio di consegne dovrebbe avvenire sempre con una comunicazione ufficiale. Abbiamo provato a metterci in contatto con la motovedetta ma la comunicazione è stata difficile, la Guardia Costiera non ha assistito al recupero delle persone. In un caso specifico hanno cercato di recuperare una persona dal mare, ma l’hanno presa per il salvagente, questo gli si è sfilato ed ha rischiato di affogare. Non è questo il modo di condurre un’operazione, mi viene da dire che si tratti quasi di omissione di soccorso. Dal canto nostro, noi ci siamo attenuti al solito modo di operare.

Abbiamo visto i segni della tortura, cicatrici di sigarette, di armi da fuoco. Abbiamo ascoltato ripetutamente testimonianze di uomini che hanno subito di tutto, donne stuprate, minori venduti al mercato come schiavi.

Qualcuno è stato riportato in Libia?

Sì. La Guardia Costiera Libica si è accostata a un barcone e ha caricato le persone a bordo per riportarle in Libia. L’intenzione sarebbe stata la stessa anche per il gommone su cui erano salite i due ufficiali ma, dopo che avevano sparato i colpi in aria, a bordo ormai erano rimaste solo 38 persone. In quel caso ci hanno chiesto se volevamo soccorrerle noi o se dovevano riportarle in Libia.

Sono passate due settimane dall’incidente sfiorato con la nave Sea Watch e dalla deportazione in Libia di quasi 500 migranti, raccolti in acque internazionali. C’è un cambiamento nella linea della Guardia Costiera Libica?

All’Acquarius non era mai successa una cosa simile ma non è la prima volta che viene aperto il fuoco. Nell’ultimo anno ci sono stati diversi episodi gravi, l’ultimo è quello del 10 maggio riportato da Sea Watch. La Guardia Costiera sta riprendendo possesso della propria area di competenza ma le persone non possono essere soccorse così e non possono essere riportate in Libia.

Salvare le persone in mare è importante, ma non è l’unica cosa da fare. Le persone vanno salvate anche dalla Libia

Perché?

Siamo in mare da un anno con l’Acquarius e abbiamo soccorso migliaia di persone, tutti ci hanno raccontato storie di violenza inimmaginabili. Non c’è nessuno che abbia descritto la Libia come un luogo sereno. I loro corpi ne sono testimoni. Abbiamo visto i segni della tortura, cicatrici di sigarette, di armi da fuoco. Abbiamo ascoltato ripetutamente testimonianze di uomini che hanno subito di tutto, donne stuprate, minori venduti al mercato come schiavi. In particolare chi proviene dall’Africa Subsahariana, non è nemmeno considerato un essere umano. Gli si spara addosso per testare se le armi funzionano. Di sicuro non è il porto vicino più sicuro, questo Paese non è pronta per l’accoglienza, è quasi ridicolo parlarne e lo dimostra il fatto che l’Italia sia già stata condannata dalla Corte Europea per i Diritti Umani, per i respingimenti in Libia. Il punto è che solo una minima parte delle persone che partono dai propri Paesi riesce ad imbarcarsi, la traversata del Mediterraneo è solo l’ultimo tratto di un viaggio terribile che rende le persone degli zombie. Salvare le persone in mare è importante, ma non è l’unica cosa da fare. Le persone vanno salvate anche dalla Libia.

Foto: MSF


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