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Imputati messi in prova solo in “grandi associazioni”: perché?

Una recente nota dell’Esecuzione penale esterna del Dipartimento della Giustizia Minorile invita a scegliere «associazioni strutturate» per la messa in prova di imputati per reati minori. All’origine della preoccupazione ci sono aspetti assicurativi legati all’Inail, ma le “piccole” non ci stanno: così si tagliano fuori esperienze di recupero che fanno bene alla società

di Gabriella Meroni

La “messa in prova” di imputati per reati minori in Italia ha vissuto un vero e proprio boom negli ultimi anni, passando dai 4000 soggetti del 2014 agli oltre 9000 di fine 2016. Un istituto, questo, che prevede la possibilità per quei soggetti imputati per reati puniti con pena inferiore a 4 anni, o condannati per guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di sostanze e per reati di lieve entità in materia di stupefacenti, di lavorare gratuitamente presso associazioni di volontariato, parrocchie o cooperative sociali o senza “sporcare” la fedina penale ma soprattutto vivendo con consapevolezza la restituzione sociale del danno causato.

Ora, una “nota esplicativa” della direttrice dell’Esecuzione penale esterna del Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità (DGMC), Lucia Castellano, affronta una spinosa questione emersa nei mesi scorsi riguardo la copertura assicurativa contro gli infortuni per questi “lavoratori”. All’origine della vicenda c’era stato il caso di un’associazione genovese che nel 2016 era stata multata per la mancata assicurazione Inail di un soggetto in messa alla prova. Un obbligo che risulta faticoso per le organizzazioni più piccole, che infatti preferivano accogliere soggetti in “messa alla prova” coprendoli tramite un’assicurazione privata (soci e volontari), spesso in accordo con le amministrazioni competenti, cioè gli Uepe (Uffici esecuzione penale esterna) e i tribunali.

La nota quindi dà “indicazioni operative” agli Uepe affinché i lavori di pubblica utilità siano svolti preferibilmente presso le associazioni più strutturate, poiché si tratta di prestazioni lavorative, seppur non retribuite, con tutti gli obblighi che ne conseguono in termini di sicurezza nei luoghi di lavoro e di assicurazione Inail – i cui costi vengono comunque rimborsati grazie a un fondo istituito presso il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

Una situazione che ha provocato la reazione di CSVnet e Conferenza nazionale volontariato giustizia-CNVG che, pur apprezzando lo sforzo di chiarimento contenuto nella nota (unitamente alla disponibilità dell’Inail), segnalano una sua possibile conseguenza molto negativa. «La dichiarata preferenza per le organizzazioni più strutturate rischia di tagliare fuori un numero altissimo di piccole associazioni», si legge in un comunicato, «che spesso dimostrano maggiore capacità di accoglienza e di innovazione rispetto alle grandi. Questa situazione, senza una capacità di attenta valutazione da parte degli Uepe, potrebbe comportare ora un forte impatto per l’intera attuazione della messa alla prova,diminuendo sia la qualità che la quantità dei progetti ammissibili». CSVnet e CNVG, continuando a fornire ai CSV soci e a tutte le associazioni, piccole e grandi, il supporto necessario affinché rispettino gli obblighi sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, chiederanno pertanto di proseguire la discussione su questo e altri temi in prossimi confronti con il DGMC.


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