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Volontariato in carcere, rischiano le piccole organizzazioni

La denuncia della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia e di CSVnet che criticano una nota del Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità che sulla messa alla prova nel volontariato privilegia le associazioni più strutturate

di Redazione

Dopo il confronto promosso da CSVnet e CNVG, il Dipartimento di Giustizia Minorile e di Comunità ha chiarito gli aspetti della normativa sulla copertura assicurativa delle persone ammesse a lavori di pubblica utilità. Ma la scelta di privilegiare le grandi organizzazioni rischia di tagliare fuori le quelle più piccole, che spesso hanno maggiori capacità di accoglienza e di innovazione.

Per affrontare le difficoltà nell’attuare i progetti di “messa alla prova” di imputati per reati minori presso le organizzazioni di volontariato, si sono mossi gli enti pubblici competenti. È di pochi giorni fa una “nota esplicativa” della direttrice dell’Esecuzione penale esterna del Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità (DGMC), Lucia Castellano, che fornisce chiarimenti e interpretazioni corrette della normativa, e che allega una circolare rassicurante dell’Inail su una delle questioni più spinose emerse nei mesi scorsi. I due testi sono stati scritti in seguito all’iniziativa di CSVnet e della Conferenza nazionale Volontariato Giustizia (CNVG) che, raccogliendo le preoccupazioni di alcuni Centri di servizio e di varie associazioni, avevano sollecitato a dare delle risposte prima l’Istituto per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e subito dopo il DGMC.

All’origine della vicenda c’era stato un caso scoppiato a Genova nel novembre 2016, quando un’associazione di volontariato era stata multata per la mancata assicurazione Inail di un soggetto in messa alla prova. Dal CSV di Genova (Celivo), ma anche da altre regioni, era stato fatto presente quanto ciò stesse preoccupando le associazioni, rendendone difficile il coinvolgimento in questo tipo di esperienze. Molte infatti, in particolare di piccole dimensioni e prive di personale retribuito, avevano accolto soggetti in “messa alla prova” e li avevano coperti tramite un’assicurazione privata (soci e volontari), spesso in accordo con le amministrazioni competenti, cioè gli Uepe (Uffici esecuzione penale esterna) e i tribunali. Si rischiava insomma di mettere in pericolo la possibilità per migliaia di imputati di non arrivare al processo grazie a un periodo di lavoro di pubblica utilità (Lpu) presso enti pubblici, ma soprattutto in associazioni di volontariato, centri parrocchiali, cooperative sociali.

La normativa di cui stiamo parlando riguarda quei soggetti imputati per reati puniti con pena edittale non superiore a 4 anni o con la sola pena pecuniaria, o soggetti condannati per guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di sostanze e per reati di lieve entità in materia di stupefacenti. Quello della messa alla prova è un istituto importante sia nella pratica (per contrastare il sovraffollamento delle carceri) sia a livello culturale: dalla sua istituzione nel giugno 2014 è passato dalle circa 4.000 persone ammesse dell’anno successivo alle oltre 9.000 di fine 2016. E ha permesso alla quasi totalità di esse non soltanto di non “sporcare” la fedina penale, ma anche di vivere con consapevolezza la restituzione sociale del danno causato. La nota di Castellano dà ora “indicazioni operative” agli Uepe affinché i lavori di pubblica utilità siano svolti preferibilmente presso le associazioni più strutturate, poiché si tratta di prestazioni lavorative, seppur non retribuite, con tutti gli obblighi che ne conseguono in termini di sicurezza nei luoghi di lavoro e di assicurazione Inail – i cui costi vengono comunque rimborsati grazie a un fondo istituito presso il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

Dal canto suo l’Inail si rende disponibile, attraverso le proprie articolazioni territoriali, a dare il necessario supporto alle associazioni che ne facciano richiesta per “agevolare l’attivazione della copertura assicurativa”, in altre parole per ridurre le incombenze burocratiche ad essa legate. È ancora la direttrice Castellano, però, a ricordare che accanto ai progetti ufficiali per lavori di pubblica utilità, la norma prevede che le persone ammesse possano svolgere anche “attività di volontariato facoltative”, senza l’obbligo della copertura Inail (basta la semplice assicurazione privata). E sempre Castellano suggerisce quindi agli Uepe di rivolgersi, per queste ultime attività, alle associazioni più piccole e meno strutturate, “a cui verrà conferito ampio spazio per l’alto valore trattamentale”.

CSVnet e CNVG, pur apprezzando lo sforzo di chiarimento contenuto nella nota del DGMC (unitamente alla disponibilità dell’Inail), segnalano tuttavia una sua possibile conseguenza molto negativa. Infatti, la dichiarata preferenza per le organizzazioni più strutturate rischia di tagliare fuori un numero altissimo di piccole associazioni, che spesso dimostrano maggiore capacità di accoglienza e di innovazione rispetto alle grandi, proprio nel gestire lavori di pubblica utilità (e non solo il volontariato facoltativo). Questa situazione, senza una capacità di attenta valutazione da parte degli Uepe, potrebbe comportare ora un forte impatto per l’intera attuazione della messa alla prova, diminuendo sia la qualità che la quantità dei progetti ammissibili. CSVnet e CNVG, continuando a fornire ai CSV soci e a tutte le associazioni, piccole e grandi, il supporto necessario affinché rispettino gli obblighi sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, chiederanno pertanto di proseguire la discussione su questo e altri temi in prossimi confronti con il DGMC.


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