Politica & Istituzioni

Che ci azzecca Pier Paolo Pasolini con il PD? È polemica tra i lacaniani

Il PD apre una scuola di partito intitolata a Pier Paolo Pasolini. L'idea, venuta allo psicoanalista Massimo Recalcati, non piace ai suoi colleghi lacaniani, che lanciano un appello. A firmarlo, tra gli altri, Bernard-Henri Lévy e il curatore testamentario di Jacques Lacan: Jacques-Alain Miller

di Marco Dotti

Pasolini val bene una messa? Non scherziamo. Devono pensarla così i firmatari dell'appello, lanciato dallo psicoanalista lacaniano Marco Focchi, contro – testuale – «la riduzione di Pier Paolo Pasolini a intellettuale organico» di partito. E quale partito. I tentativi di appropriazione politicamente indebita dell'autore (corsaro) degli Scritti corsari non sono cosa nuova. Da destra, dove persino l'ormai in tutt'altre faccende affaccendato Gianfranco Fini tentò di ascriverlo a sé nel patheon della fu Alleanza Nazionale, un po' meno – per imbarazzi evidenti – questo è avvenuto da sinistra. Ci provò Craxi, poi venne (con qualche ragione biografica) Veltroni.

Oggi, però, ci si è buttato anima e corpo il PD, che in molti faticano a collocare a sinistra e comunque di imbarazzi e conti aperti con la (propria) storia sembra averne oramai pochi. La storia parla di un PCI che il 26 ottobre del 1949 espulse Pasolini dalla sezione di Pordenone per immoralità. Il Partito Democratico, che del PCI è figlio, gli ha ora intitolato la scuola di formazione politica «di partito» inaugurata il 20 maggio a Milano. Tutto normale? Tutto tranquillo? Nulla è tranquillo, quando c'è di mezzo Pasolini. Figuriamoci se, nel mezzo, ci mettiamo anche Jacques Lacan, i rissosissimi lacaniani transalpini, e il più noto dei lacaniani di qua dalle Alpi, Massimo Recalcati. Proprio a Recalcati, riconosce l'Unità, «spetta indiscutibilmente la partenità dell'intuizione della scuola Pier Paolo Pasolini». È stato lui a inaugurarla il 20 maggio, anticipando l'intervento di Matteo Renzi.

La federazione del PCI di Pordenone ha deliberato in data 26 ottobre l’espulsione dal partito del Dott. Pier Paolo Pasolini di Casarsa per indegnità morale.Prendiamo spunto dai fatti che hanno determinato un grave provvedimento disciplinare a carico del poeta Pasolini per denunciare ancora una volta le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre e di altrettanto decantati poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della generazione borghese.

L’annuncio dell’espulsione di PPP sull’Unità

Sull'Unità del 20 aprile scorso, Recalcati raccontava: «L’idea è sorta nella mia testa grazie a due inciampi. Il primo contingente: quello della sconfitta referendaria. Il secondo più strutturale: la difficoltà del partito di parlare alle nuove generazioni. Sono due inciampi legati, in realtà, l’uno all’altro perché gran parte della sconfitta referendaria è stata provocata proprio dalla difficoltà di convincere il mondo dei giovani sulla bontà di quella riforma».

Malgrado voi, resto e resterò comunista, nel senso più autentico di questa parola.

Pasolini, lettera a Ferdinando Mautino (Casarsa 31 ottobre 1949)

Sul perché intitolarla a Pasolini, Recalcati non ha dubbi: ​«Pasolini è stato uno tra gli intellettuali più generosi e anticonformisti del nostro paese. La sua forza non escludeva la contraddizione: era marxista, ma profondamente attratto dalla cultura cristiana; critico con l’apparato del Pci, ma capace di riconoscere al Pci il luogo di una resistenza culturale e antropologica ai miti del consumismo; era per la contestazione al sistema, ma nel ’68 si è schierato dalla parte dei servitori dello Stato contro il movimento studentesco; era un laico, difensore della causa omosessuale, ma avversario deciso dell’aborto; generoso sino al sacrificio di se stesso, ma anche un divo che non disdegnava il suo ruolo mediatico; era un nostalgico della tradizione e della cultura contadina, ma anche uno sperimentatore straordinario di nuovi linguaggi artistici. Io penso che i grandi maestri siano anzitutto uno stile. E Pasolini ha incarnato lo stile di un intellettuale impegnato, coinvolto nella vita della comunità, non ingombrato dai pesi dell’ideologia, con il cuore a sinistra, critico irriducibile dei falsi miti di uno sviluppo senza progresso. In Pasolini convergono inoltre le anime multiple del Pd: l’anima di derivazione socialista e comunista, quella del cristianesimo e del cattolicesimo sociale e quella ecologista».

Questa visione di Pasolini non è piaciuta ai firmatari dell'appello redatto da Marco Focchi, presentato da Jacques-Alain Miller e approvato per acclamazione dai 450 partecipanti all'Assemblea generale della SLP, la Scuola lacaniana di Psicoanalisi che si è tenuta a Torino sabato 27 maggio, sette giorni dopo l'inaugurazione della Scuola del Partito Democratico.

«Chiediamo con forza – si legge nell'Appello – che Pier Paolo Pasolini, uno degli intellettuali più liberi della nostra storia recente, venga rispettato per quel che è stato. Nell’epoca in cui in Italia i politici considerati di qualità venivano definiti “cavalli di razza” Pasolini è stato un “maverick”, come nel West venivano chiamati quei cavalli selvaggi che non portavano il marchio di nessun proprietario. Vogliamo che Pasolini non venga profanato né ridotto a “intellettuale organico”. Vogliamo che nessuna Chiesa politica se ne appropri apponendogli il marchio di un partito, come si sta tentando di fare ora quando si battezza con il suo nome la scuola di formazione politica del Partito Democratico».

A firmare l'appello, oltre ai membri della SLP, anche figure di spicco dell'intelligencija francese: il "nouveau philosophe" Bernad-Henri Lévy, lo scrittore Philippe Sollers, l'ex direttore del Collège international de philosophie, nonché allievo di Althusser Jean-Claude Milner e altri ancora.

Ma è sul nome di Jacques-Alain Miller che si sono levate le polveri. Miller dichiara di non avere alcuna ostilità di principio verso il Partito Democratico, tutt'altro. Come scrive su La Regle du Jeu, la rivista diretta da Bernard-Henri Lévy, «fra Grillo e la destra, molti amici italiani, tra cui Focchi (il redattore dell'appello, ndr), mi hanno detto di preferire Matteo Renzi». Il discorso si fa ostico, quando Miller rimanda a una «République des Lettres» che aspira a rinascere, in Francia e in Europa. fuori da ogni condizionamento politico, facendosi «rispettare nella persona di uno dei suoi, il miglior esemplare che l'Europa abbia da tempo conosciuto di poeta maledetto o, piuttosto, di artista eretico».

I media, spiega Miller, hanno sostituito «la République des Lettres par une Dictature sur les Lettres». Proprio per questo, osserva Miller, che cita Marc Fumaroli e Marlon Brando, Lacan e Erasmo vanno evitate indebite commistioni politiche, per non svilire ciò che, in forma embrionale, aspira a rinascere.

Ma chi è Jacques-Alain Miller e perché il suo intervento ha tanto l'aria di una – i lacaniani ci passino il termine – scomunica? Miller è oltre che psicoanalista, il curatore testamentario degli scritti di Jacques Lacan. Di più: Jacques-Alain Miller – leggiamo nella sua biografia – fu da Lacan nominato «il mio unico lettore». In sostanza, da Lacan ebbe l'onere e l'onore della curatela e la custodia dei suoi scritti e della trascrizione dei suoi seminari. Poco prima della morte di Lacan, dopo lo scioglimento dell'Ecole freudienne de Paris, Jacques-Alain Miller fu tra i fondatori dell'Ecole de la Cause freudienne, che Lacan adottò come sua e di cui fu il primo direttore.

«A partire da quel momento – leggiamo nella sua biografia ufficiale – numerose sono state le Scuole psicoanalitiche che J.-A. Miller ha fondato in tutto il mondo e che sono riunite nell'Associazione Mondiale di Psicoanalisi, a cui appartiene in Italia la Scuola lacaniana di Psicoanalisi del Campo freudiano». Non solo, proprio con Miller Recalcati ha compiuto il proprio percorso di formazione, in sostanza è stato in analisi da lui. Un bel groviglio in cui perdersi. E in cui perdere i contorni della stessa querelle pasoliniana.


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