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Non profit, riparti dal lavoro

L’editoriale di Riccardo Bonacina sul numero di Vita in distribuzione. «Il ruolo del Terzo settore non è più solo come riserva valoriale ma come motore di un’economia diversa, sostenibile, inclusiva, capace di generare un’occupazione in cui senso e reddito si possano abbracciare»

di Riccardo Bonacina

Nell’intervista a Joseph Stiglitz che trovate nel book di questo mese, il premio Nobel per l’economia 2001 ci dice che per cambiare l’economia: «per cercare di ridisegnarne i confini, occorre spingere sul Terzo settore, sulla sua capacità di agire sul legame sociale e di produrre valore condiviso e inclusivo. Se non ripartiamo da questa forza motrice, sarà difficile. Se vogliamo riscrivere le regole e ridefinire la forma dell’economia, dobbiamo partire dal lavoro e ricordarci che abbiamo delle alternative alla crisi, all’austerity, alla crescita delle diseguaglianze. Una di queste alternative è imparare dal non profit come si opera un vero cambiamento sociale». Si tratta di un grande riconoscimento al ruolo del Terzo settore non solo e non più come sola riserva valoriale ma come motore di un’economia diversa, sostenibile, inclusiva, capace di generare un’occupazione in cui senso e reddito si possano abbracciare. Ma le considerazioni di Stiglitz rappresentano anche un ulteriore invito al Terzo settore perché non si sottragga a questa sfida accontentandosi di ciò che già è. 
In un numero dedicato alla crescita del lavoro nel non profit che, vale la pena ricordarlo, ha sfondato la soglia dei 700mila occupati (+ 169,4% di crescita occupazionale tra il 2001 e il 2011 sottolinea l’Istat), abbiamo perciò cercato di ragionare non solo sugli aspetti quantitativi, ma soprattutto sulla qualità del lavoro che il Terzo settore continua a creare.

Il Terzo settore non è più solo una riserva valoriale ma un motore di un’economia diversa, sostenibile, inclusiva, capace di generare un’occupazione in cui senso e reddito si possano abbracciare

In questa direzione il recente discorso di Papa Francesco all’Ilva di Genova ci aiuta ad individuare almeno tre sfide importanti.

La prima. Non c’è buona economia e lavoro dignitoso senza buoni imprenditori. Ha detto Francesco: «L’imprenditore è una figura fondamentale di ogni buona economia: non c’è buona economia senza buon imprenditore. Non c’è buona economia senza la capacità di creare, creare lavoro, creare prodotti. Il vero imprenditore conosce i suoi lavoratori, perché lavora accanto a loro, lavora con loro. Non dimentichiamo che l’imprenditore dev’essere prima di tutto un lavoratore. Se lui non ha questa esperienza della dignità del lavoro, non sarà un buon imprenditore».

Un’economia che voglia essere degna del suo nome si deve concepire come cura dell’oikos, della casa comune

Un invito prezioso, anche per il Terzo settore. Credo che oggi ogni sforzo delle realtà di Terzo settore debba indirizzarsi verso l’obiettivo di formare una nuova leva di imprenditori sociali, attirando i giovani verso una pratica dell’economia degna del suo nome. Per troppi anni il Terzo settore ha corso dietro ai manager e ai fiscalisti, torniamo a formare imprenditori. Un’economia che voglia essere degna del suo nome, infatti, (oikos nomos, ovvero legge della casa), si deve concepire come cura dell’oikos, della casa comune. Ma negli ultimi 30 anni abbiamo assistito a una perversione dell’economia in business. Così come abbiamo assistito a uno stravolgimento della concezione d’azienda. Azienda, in- segnavano i sacri testi anche in Bocconi, è organizzazione economica e sociale (economia e sociale stavano insieme), organizzazione di beni e capitale umano (il capitale umano era considerato una ricchezza) finalizzata alla soddisfazione di bisogni umani attraverso la produzione, la distribuzione di beni economici e servizi. Poi abbiamo assistito a una separazione nella concezione dell’azienda tra la creazione di profitto e la sua funzione sociale. Bisogna ricongiungere ciò che è stato separato e per farlo occorrono imprenditori che sentano, innanzitutto per loro, questa necessità.

Le organizzazioni non profit e il mondo cooperativo non possono sottrarsi alla sfida della creazione di lavoro dignitoso pensando di aver la coscienza a posto perché così non è, si può fare molto di più e molto meglio

La seconda sfida, è quella della creazione di lavoro dignitoso, una sfida alla quale le organizzazioni non profit e il mondo cooperativo non possono sottrarsi pensando di aver la coscienza a posto perché così non è, si può fare molto di più e molto meglio. Ai lavoratori dell’Ilva Francesco ha detto: «È importante riconoscere le virtù dei lavoratori e delle lavoratrici. Il loro bisogno — dei lavoratori e delle lavoratrici — è il bisogno di fare il lavoro bene perché il lavoro va fatto bene. A volte si pensa che un lavoratore lavori bene solo perché è pagato: questa è una grave disistima dei lavoratori e del lavoro, perché nega la dignità del lavoro, che inizia proprio nel lavorare bene per dignità, per onore. Gli uomini e le donne si nutrono del lavoro: con il lavoro sono “unti di dignità”. Per questa ragione, attorno al lavoro si edifica l’intero patto sociale. Questo è il nocciolo del problema. Perché quando non si lavora, o si lavora male, si lavora poco o si lavora troppo, è la democrazia che entra in crisi, è tutto il patto sociale».

Ecco l’orizzonte, la cura del lavoro e del lavoro con dignità.


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